Inammissibilità ricorso per cassazione: quando i motivi sono manifestamente infondati
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione, Sezione Penale, offre un’importante lezione sull’inammissibilità del ricorso per cassazione, specialmente quando i motivi presentati dall’imputato si rivelano privi di fondamento giuridico. La vicenda riguarda un soggetto condannato per furto che ha tentato di far valere l’estinzione del reato per prescrizione e l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte, con una decisione netta, ha respinto ogni doglianza, confermando la condanna e sanzionando il ricorrente per aver adito la Suprema Corte con argomentazioni palesemente infondate.
I fatti del caso
Un individuo, già condannato in primo grado e in appello per il reato di furto (art. 624 c.p.), ha presentato ricorso per cassazione. L’obiettivo era ottenere l’annullamento della sentenza della Corte di Appello di Milano, basando la propria difesa su tre motivi principali: la presunta estinzione del reato per decorso dei termini di prescrizione, la mancata motivazione da parte dei giudici d’appello su questo specifico punto e, infine, la violazione dell’articolo 131-bis del codice penale, relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto.
I motivi del ricorso e la risposta della Cassazione
La Corte Suprema ha esaminato ciascun motivo, giungendo a una declaratoria di inammissibilità totale del ricorso. L’analisi dei giudici di legittimità chiarisce i limiti entro cui un ricorso può essere considerato ammissibile e quali argomenti non possono trovare accoglimento in sede di Cassazione.
La questione della prescrizione e della recidiva
Il primo motivo, relativo alla prescrizione, è stato giudicato manifestamente infondato. La difesa sosteneva che il tempo per punire il reato fosse ormai scaduto. Tuttavia, la Corte ha sottolineato un elemento cruciale: la ‘recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale’ contestata all’imputato. Questa circostanza aggravante, che si verifica quando un soggetto commette un reato dello stesso tipo entro cinque anni da una precedente condanna, comporta un aumento di due terzi del termine di prescrizione. Calcolando questo aumento, il termine passava a dieci anni, un periodo non ancora trascorso dalla data del fatto (10 giugno 2015). Di conseguenza, il reato non era affatto estinto.
L’inammissibilità della censura sulla motivazione
Il secondo motivo, con cui si lamentava un vizio di motivazione sull’eccezione di prescrizione, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha richiamato un principio consolidato: su questioni puramente di diritto (‘quaestiones iuris’), come il calcolo della prescrizione, l’unica censura ammissibile in Cassazione è la violazione di legge, non il difetto di motivazione. In altre parole, non si può criticare il giudice per ‘come’ ha spiegato una norma, ma solo per averla applicata in modo errato. Inoltre, poiché il motivo di appello sulla prescrizione era già in origine infondato, un’eventuale accoglimento della doglianza sulla motivazione non avrebbe portato alcun beneficio all’imputato.
L’inapplicabilità della ‘particolare tenuità del fatto’
Anche il terzo motivo, relativo all’art. 131-bis c.p., è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte d’Appello aveva già escluso questa causa di non punibilità, valorizzando elementi come la durata dell’impossessamento e l’intensità del dolo. A ciò si aggiungevano i precedenti penali specifici dell’imputato, che configurano un ‘comportamento abituale’ ostativo all’applicazione del beneficio. La Cassazione ha ribadito che il tentativo del ricorrente di ottenere una diversa valutazione di questi elementi costituiva un’inammissibile richiesta di riesame del merito, preclusa in sede di legittimità.
Le motivazioni della decisione sull’inammissibilità del ricorso per cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione perché tutti i motivi proposti erano palesemente privi di fondamento. La manifesta infondatezza emerge quando le argomentazioni della difesa si scontrano con dati normativi chiari (come il calcolo della prescrizione in caso di recidiva) o con principi giurisprudenziali consolidati (come i limiti del sindacato della Cassazione). La decisione sottolinea che il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. L’evidente inammissibilità dell’impugnazione ha portato non solo alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver promosso un ricorso dilatorio e temerario.
Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza ribadisce alcuni principi fondamentali del processo penale. In primo luogo, evidenzia l’importanza di una corretta valutazione di tutte le circostanze del reato, come la recidiva, che possono avere effetti determinanti su istituti come la prescrizione. In secondo luogo, serve da monito sulla necessità di formulare motivi di ricorso specifici e giuridicamente fondati, evitando argomentazioni generiche o volte a ottenere un inammissibile riesame del merito. Infine, la condanna alla Cassa delle ammende sanziona l’abuso dello strumento processuale, disincentivando ricorsi proposti senza reali prospettive di accoglimento e che contribuiscono a sovraccaricare il sistema giudiziario.
Quando un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono manifestamente infondati, ovvero quando le argomentazioni si scontrano con dati normativi chiari o principi giurisprudenziali consolidati, come nel caso di specie per i temi della prescrizione e della particolare tenuità del fatto.
In che modo la recidiva influisce sulla prescrizione del reato?
Secondo quanto chiarito nell’ordinanza, la recidiva reiterata, specifica e commessa entro cinque anni da una precedente condanna, comporta un aumento significativo (in questo caso di due terzi) del termine necessario per la prescrizione del reato, rendendo più difficile la sua estinzione.
Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La sua applicazione è stata esclusa a causa di elementi ostativi come l’intensità del dolo e la durata della condotta illecita, ma soprattutto a causa dei precedenti penali specifici dell’imputato, che dimostrano un comportamento abituale incompatibile con i requisiti previsti dalla norma.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2933 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BONIFATI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che ha confermato la condanna riportata in primo grado dal predetto in ordine al reato di cui all’ar 624 cod. pen.;
ritenuto che il primo motivo di ricorso – con cui si deduce l’estinzione del reato prescrizione – è manifestamente infondato poiché, anche a voler collocare il fatto il 10 giugn 2015, tenuto conto della recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale (art. 99, comma 4, cod. pen.) e del conseguente aumento di due terzi di esso ex art. 161, comma 2, cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328 – 01; Sez. 5, n. 32679 del 13/05/2018, COGNOME, Rv. 273490 – 01), non è decorso il termine di prescrizione di dieci anni;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso – con il quale si denuncia l’omessa motivazione sull’eccezione di prescrizione del reato – è inammissibile in quanto sulle quaestiones iuris come quella in discorso può utilmente dedursi soltanto la violazione della legge penale (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 05), il che esime dal dilungarsi per osservare che in ogni caso «è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio» (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, R 277281 – 01);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso – con cui si adduce la violazione dell’art. 131-bis pen. e, a ben vedere, si censura la motivazione resa dalla Corte di merito – è manifestamente infondato perché il provvedimento impugnato ha argomentato mediante un iter immune da vizi, valorizzando elementi ostativi all’applicazione della causa di non punibilità contemplati dall’a 133, comma 1, cod. pen. (segnatamente, il tempo in cui l’impossessamento si è protratto e l’intensità del dolo) nonché i precedenti specifici riportati dall’imputato, ed il rico irritualmente prospettato un diverso apprezzamento di merito, muovendo peraltro censure generiche in relazione alle precedenti condanne dell’imputato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME e altro, Rv. 268360 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Co cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 ottobre 2023
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Il consigliere estensore
Il Presidente