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Inammissibilità ricorso: i limiti del riesame cautelare

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato da due indagati contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La decisione si fonda sull’impossibilità di valutare in sede di legittimità nuove circostanze di fatto non presentate al Tribunale del Riesame e sulla genericità del motivo relativo alla presunta disparità di trattamento rispetto a un altro indagato. La Corte ha ritenuto logica e sufficiente la motivazione del provvedimento impugnato riguardo al concreto pericolo di reiterazione del reato, confermando la condanna degli indagati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso: Quando l’Appello in Cassazione non Supera il Vaglio

L’esito di un procedimento cautelare può determinare in modo significativo il percorso processuale di un indagato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi paletti che delimitano l’accesso al giudizio di legittimità, sottolineando come l’inammissibilità del ricorso sia una conseguenza diretta di motivi non correttamente formulati. Il caso in esame riguarda due fratelli, indagati per spaccio di stupefacenti e detenzione di arma da fuoco, che si sono visti respingere l’appello contro l’ordinanza che confermava la loro custodia cautelare in carcere.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Torino aveva inizialmente confermato la misura della custodia cautelare in carcere per due fratelli e un terzo complice, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per plurimi episodi di spaccio e, per i primi due, anche per il porto e la detenzione di una pistola. Avverso tale decisione, gli indagati proponevano ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione del pericolo di reiterazione del reato.

In particolare, i fratelli sostenevano che il Tribunale avesse erroneamente desunto l’esistenza di un supporto organizzativo, in realtà inesistente. A loro dire, avendo ammesso gli addebiti e indicato il nome del loro fornitore, avrebbero dimostrato la volontà di recidere ogni legame con l’ambiente criminale. Un terzo ricorrente, invece, si era definito un “cane sciolto”, dedito allo spaccio solo per finanziare il proprio consumo personale, e aveva rinunciato al ricorso dopo essere stato posto agli arresti domiciliari. Tutti, infine, lamentavano una disparità di trattamento rispetto al loro fornitore, a cui era stata applicata una misura meno afflittiva.

L’Inammissibilità del Ricorso e le Ragioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei due fratelli, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti del giudizio di legittimità in materia cautelare.

Motivi di Fatto non Valutabili in Sede di Legittimità

Il primo e fondamentale motivo di rigetto risiede nella natura stessa del ricorso. Gli appellanti avevano basato le loro argomentazioni su circostanze di fatto – come la presunta interruzione dei legami criminali – che non risultavano documentate né erano state specificamente sottoposte all’attenzione dei giudici del riesame. La Corte di Cassazione ha ricordato che il suo compito non è quello di riesaminare i fatti, ma di valutare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione del provvedimento impugnato. Non è possibile, quindi, introdurre in sede di legittimità nuovi elementi fattuali o valutazioni che spettano esclusivamente al giudice di merito.

La Logicità della Motivazione sulla Pericolosità Sociale

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte ha ritenuto che la motivazione dell’ordinanza fosse non solo presente, ma anche priva di vizi logici manifesti. Il pericolo concreto e attuale di reiterazione criminosa era stato desunto da una serie di elementi convergenti:

* L’eloquente affermazione di uno degli indagati, intercettata, secondo cui lo spaccio era “un lavoro, non un hobby”.
* La loro pronta ricerca di canali di rifornimento alternativi subito dopo l’arresto del fornitore abituale.
* La disponibilità di una pistola.
* Il rinvenimento di un’ingente somma di denaro contante presso la loro abitazione.

Questi elementi, valutati nel loro complesso, delineavano un quadro di “pervicace e persistente risoluzione a delinquere” che rendeva la motivazione del Tribunale del tutto lineare e non censurabile in Cassazione.

La Genericità del Motivo sulla Disparità di Trattamento

Infine, anche la doglianza relativa al trattamento deteriore rispetto al fornitore è stata respinta. La Corte ha chiarito che il principio della parità di trattamento non è un criterio autonomo per la scelta delle misure cautelari. Inoltre, per poter contestare una presunta disparità, è onere del ricorrente illustrare puntualmente una “perfetta simmetria, oggettiva e soggettiva” delle diverse posizioni individuali. Nel caso di specie, il ricorso era del tutto generico, non accennando minimamente alle ragioni del diverso trattamento applicato al coindagato, rendendo impossibile qualsiasi apprezzamento.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione di inammissibilità su principi procedurali consolidati. In primo luogo, il ricorso per Cassazione non può diventare un terzo grado di giudizio sul merito, ma deve limitarsi a denunciare vizi di legittimità, come l’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica o assente. Le argomentazioni dei ricorrenti, incentrate su elementi di fatto nuovi o non adeguatamente rappresentati in sede di riesame, esulavano da tale perimetro. In secondo luogo, le censure devono essere specifiche e non generiche. La semplice lamentela di una disparità di trattamento, senza un’analisi comparativa dettagliata delle posizioni processuali, non è sufficiente a integrare un valido motivo di ricorso.

Le conclusioni

Questa sentenza offre una lezione fondamentale: l’accesso alla Corte di Cassazione richiede un’impostazione tecnica rigorosa. Qualsiasi ricorso che tenti di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti o che si basi su doglianze generiche è destinato all’inammissibilità del ricorso. Per gli indagati, ciò si è tradotto non solo nella conferma della misura cautelare, ma anche nella condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro ciascuno, a causa della “manifesta carenza di diligenza” nella proposizione dell’impugnazione. La decisione riafferma la necessità di concentrare il dibattito sui fatti nella fase di merito e di riservare il giudizio di legittimità alle sole questioni di diritto.

Perché il ricorso dei due fratelli è stato dichiarato inammissibile?
Perché era fondato su circostanze di fatto non documentate né presentate in sede di riesame, e su un motivo generico relativo alla disparità di trattamento, argomenti che non possono essere valutati dalla Corte di Cassazione, la quale si occupa solo di errori di diritto.

Quali elementi sono stati ritenuti sufficienti a giustificare il pericolo di reiterazione del reato?
La Corte ha ritenuto sufficienti una serie di elementi coordinati: un’intercettazione in cui uno degli indagati definiva lo spaccio “un lavoro, non un hobby”, la ricerca di nuovi fornitori dopo l’arresto del precedente, la disponibilità di una pistola e il ritrovamento di una cospicua somma di denaro contante.

È possibile contestare in Cassazione una disparità di trattamento rispetto a un coindagato?
Sì, ma solo a condizione che il ricorrente dimostri puntualmente e in dettaglio una perfetta simmetria, sia oggettiva che soggettiva, tra la propria posizione e quella del coindagato. Secondo la sentenza, una lamentela generica non è sufficiente per fondare un valido motivo di ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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