Inammissibilità ricorso: Quando i motivi sono generici e reiterativi
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del nostro sistema processuale: per essere esaminato, un appello deve presentare motivi specifici e non limitarsi a ripetere argomentazioni già respinte. L’ordinanza in esame chiarisce i criteri che portano a una declaratoria di inammissibilità ricorso, specialmente quando l’imputato ha un passato giudiziario che ne influenza la valutazione. Il caso riguardava un cittadino straniero condannato per non aver ottemperato a un ordine di espulsione, il cui appello è stato bruscamente fermato dai giudici di legittimità.
I fatti del caso
Un individuo, già destinatario di un provvedimento di espulsione, proponeva ricorso in Cassazione contro la sentenza del Giudice di Pace che lo aveva condannato. L’imputato lamentava principalmente due aspetti: la mancata applicazione dell’istituto della ‘particolare tenuità del fatto’, previsto dall’art. 34 del D.Lgs. 274/2000, e un vizio di motivazione riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il Giudice di Pace aveva già respinto tali richieste, motivando la sua decisione sulla base di elementi concreti: l’imputato era rimasto a lungo sul territorio nazionale senza fissa dimora, ma soprattutto, aveva accumulato diverse condanne a partire dal 2018. Questa storia criminale, secondo il giudice di merito, dimostrava la non sporadicità della sua condotta illecita. Inoltre, era emerso che l’uomo era pienamente consapevole dell’ordine di espulsione e del termine per lasciare il Paese, ma aveva deliberatamente scelto di non obbedire.
La decisione della Corte e l’inammissibilità del ricorso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La decisione si basa su una valutazione netta della qualità dei motivi presentati.
La questione della particolare tenuità del fatto
I giudici supremi hanno osservato che la critica mossa dal ricorrente non era una vera e propria censura di legittimità, ma si risolveva in una ‘doglianza di fatto’. In altre parole, l’imputato stava semplicemente riproponendo un argomento già vagliato e motivatamente respinto dal Giudice di Pace. La Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. In questo caso, la motivazione del giudice di merito era stata chiara e logica: i precedenti penali e il comportamento complessivo del ricorrente escludevano la possibilità di considerare il fatto come di ‘particolare tenuità’.
La genericità dei motivi sulle circostanze attenuanti
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alle circostanze attenuanti (art. 62 bis c.p.), è stato giudicato inaccoglibile. La Corte ha definito la doglianza ‘assolutamente generica’. Il ricorrente, infatti, non aveva indicato alcuna circostanza o situazione specifica meritevole di considerazione che potesse giustificare la concessione del beneficio. Al contrario, i suoi precedenti penali, che avevano già portato al riconoscimento della recidiva, giocavano a suo sfavore, rendendo ancora più evidente la carenza di argomenti validi a sostegno della sua richiesta.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sul principio secondo cui il ricorso per Cassazione deve basarsi su vizi di legge e non su una riconsiderazione dei fatti. Il tentativo del ricorrente di ottenere una nuova valutazione del suo comportamento e della sua storia personale è stato interpretato come un’istanza di merito, non consentita in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato come la decisione del Giudice di Pace fosse ben argomentata, avendo correttamente valorizzato elementi oggettivi come la pluralità di condanne e la piena coscienza dell’illegalità della propria condotta. La genericità dei motivi, soprattutto quello sulle attenuanti, ha rappresentato la violazione di un requisito essenziale del ricorso, che deve essere specifico e puntuale per consentire alla Corte di esercitare il proprio controllo.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: l’inammissibilità ricorso è la conseguenza inevitabile quando l’impugnazione è formulata in modo vago, generico o meramente ripetitivo di questioni già decise. Per avere successo in Cassazione, non è sufficiente lamentare un presunto errore del giudice precedente; è necessario individuare un preciso vizio di legge e argomentarlo con specificità. La presenza di precedenti penali, inoltre, costituisce un ostacolo significativo all’ottenimento di benefici come la ‘particolare tenuità del fatto’, poiché dimostra una tendenza a delinquere che mal si concilia con la natura occasionale e minima del reato richiesta dalla norma.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché i motivi presentati erano o una semplice ripetizione di argomenti già valutati e respinti dal giudice di merito (trasformando l’appello in una richiesta di riesame dei fatti), oppure erano formulati in modo ‘assolutamente generico’, senza specificare le circostanze concrete a sostegno delle richieste.
Quali elementi hanno impedito l’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’?
L’applicazione di tale beneficio è stata esclusa a causa del comportamento complessivo del ricorrente, caratterizzato da una lunga permanenza illegale sul territorio, dall’assenza di fissa dimora e, soprattutto, da una serie di precedenti condanne penali a partire dal 2018. Questi elementi dimostravano, secondo i giudici, una non sporadicità dell’azione illecita.
Cosa comporta la condanna al versamento di una somma alla Cassa delle ammende?
È una sanzione pecuniaria, in questo caso di 3.000 euro, che viene inflitta a chi propone un ricorso dichiarato inammissibile, in aggiunta al pagamento delle spese processuali. Lo scopo è quello di sanzionare l’abuso dello strumento processuale e di scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o pretestuosi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2563 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2563 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 01/01/1985
avverso la sentenza del 26/06/2024 del GIUDICE COGNOME di AVEZZANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che la censura contenuta nel ricorso di COGNOME circa la mancata applicazione dell’art. 34 d. Igs.28 agosto 2000, n. 274, oltre a risolversi in doglianza di fatto, sia reiterativa di un profilo già vagliato dal giudice di merito 7 GLYPH Mq’ nv -iA O PJLttJ SVo GLYPH ePts t,1 7 .a,fe.C4 rh-Pt Un-D k l; Il Giudice di pace di Avezzano, invero, ha escluso l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto ai sensi del suddetto art. 34 in ragione de comportamento tenuto dal ricorrente, il quale è rimasto a lungo nel territorio dello Stato, risultando essere senza fissa dimora, ma soprattutto in ragione della sottoposizione ad altri procedimenti terminati con varie condanne fin dal 2018, a riprova della non sporadicità di tale azione. Inoltre, rileva che l’imputato era cosciente dell’esistenza del provvedimento di espulsione e della circostanza di avere un tempo determinato per lasciare il territorio, e, ciò nonostante, decideva di non ottemperarvi.
Rilevato, inoltre, che la doglianza sul vizio di motivazione circa la mancata concessione delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen. è assolutamente generica, non indicandosi le circostanze o situazioni meritevoli di particolare considerazione per la concessione del beneficio, a fronte dei precedenti penali dell’imputato fondanti il riconoscimento nei suoi confronti della recidiva.
Osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.