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Inammissibilità ricorso e recidiva: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso di un’imputata condannata per tentato furto pluriaggravato. Il ricorso, che contestava la valutazione della recidiva e la congruità della pena, è stato ritenuto meramente riproduttivo delle doglianze già respinte in appello. La Corte ha confermato la correttezza della motivazione del giudice di merito, basata sui precedenti penali e sulla gravità del fatto.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso: Quando le Doglianze Sono Insufficienti

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come l’inammissibilità del ricorso rappresenti un esito processuale frequente quando le censure mosse alla sentenza impugnata sono generiche o meramente ripetitive. Il caso analizzato riguarda un tentato furto pluriaggravato in abitazione e si concentra su due aspetti cruciali del giudizio penale: la valutazione della recidiva e la determinazione della pena. La Suprema Corte ribadisce principi consolidati, sottolineando i limiti del proprio sindacato di legittimità sulle valutazioni discrezionali del giudice di merito.

I Fatti del Processo

Una donna veniva condannata in primo e secondo grado alla pena di 1 anno e 8 mesi di reclusione e 333,00 euro di multa per il reato di tentato furto pluriaggravato in abitazione. Le erano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche come equivalenti alla recidiva reiterata contestata.

Tramite il proprio difensore, l’imputata proponeva ricorso per cassazione, lamentando la nullità della sentenza d’appello per carenza e vizio logico della motivazione. In particolare, le critiche si appuntavano su due profili:
1. Il trattamento sanzionatorio: ritenuto eccessivo.
2. La mancata esclusione della recidiva: secondo la difesa, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato la modesta gravità dei fatti, la confessione resa e l’assenza di elementi indicativi di un’elevata pericolosità sociale.

La Decisione della Corte di Cassazione: l’Inammissibilità del Ricorso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione principale di tale decisione risiede nel fatto che il motivo proposto era meramente riproduttivo delle doglianze già presentate in appello. La ricorrente, infatti, non si era confrontata criticamente con le argomentazioni con cui la Corte territoriale aveva già respinto le medesime censure, limitandosi a riproporle in modo identico.

Questo atteggiamento processuale rende il ricorso generico e, di conseguenza, inammissibile, poiché il giudizio di cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di merito dove rivalutare i fatti, ma deve concentrarsi sui vizi di legittimità della decisione impugnata.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha esaminato nel dettaglio le ragioni addotte dalla Corte d’Appello, ritenendole congrue e prive di vizi logici o giuridici.

La Valutazione sulla Recidiva e l’Inammissibilità del Ricorso

La Corte d’Appello aveva correttamente motivato il diniego di esclusione della recidiva. Aveva infatti valorizzato la pluralità di precedenti condanne per reati identici contro il patrimonio, evidenziando come queste fossero sintomatiche di una “stabile inclinazione a delinquere” e di una “accentuata colpevolezza”. La Cassazione, richiamando un principio consolidato delle Sezioni Unite, ha ribadito che il giudice deve verificare in concreto se la reiterazione del reato sia un sintomo effettivo di riprovevolezza e pericolosità dell’autore. Tale valutazione, rientrando nella discrezionalità del giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, è sorretta da una motivazione logica e coerente.

La Congruità del Trattamento Sanzionatorio

Anche per quanto riguarda la pena inflitta, la Corte ha ritenuto la motivazione adeguata. La Corte territoriale aveva giustificato il lieve scostamento dal minimo edittale facendo riferimento a specifici elementi:
* I mezzi impiegati.
* Le modalità del fatto (commesso in concorso con tre persone all’interno di un’abitazione privata).
* L’elevata pericolosità dell’imputata.

La Cassazione ha inoltre ricordato un altro principio fondamentale: quando la pena irrogata è inferiore alla media edittale, non è necessaria una motivazione specifica e dettagliata, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza. Poiché la pena applicata era inferiore a tale media, la motivazione fornita è stata considerata immune da censure.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida due importanti insegnamenti pratici. In primo luogo, un ricorso per cassazione, per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità, deve contenere critiche specifiche e puntuali alla motivazione della sentenza impugnata, evitando di riproporre in modo sterile le stesse argomentazioni già esaminate e respinte nei gradi di merito. In secondo luogo, le valutazioni del giudice di merito sulla recidiva e sulla commisurazione della pena, se supportate da una motivazione logica, non contraddittoria e giuridicamente corretta, sono difficilmente censurabili in sede di legittimità. La decisione finale comporta per la ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, a conferma dei rischi connessi a un’impugnazione priva di validi fondamenti giuridici.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse doglianze già presentate e respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, risultando così generico.

Come ha giustificato il giudice la mancata esclusione della recidiva?
La mancata esclusione della recidiva è stata giustificata valorizzando la pluralità di precedenti condanne per reati identici contro il patrimonio, considerati elementi sintomatici di una stabile inclinazione a delinquere e di un’accentuata colpevolezza dell’imputata.

Cosa succede in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
In base all’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con la condanna al versamento di 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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