Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30663 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30663 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MARTINA FRANCA il 26/05/1980 NOME nato a GRUMO APPULA il 25/02/1988
avverso la sentenza del 19/04/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
parti;
dato avviso alle udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
R.G.
rilevato che, con un unico motivo di ricorso, NOME COGNOME ha dedotto il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione all’art. 27 Cost. e dei criteri legali dettati dall’art. 133, cod. pen. in considerazione della pena sproporzionata rispetto al fatto (dolendosi, in particolare, poiché, in relazione alla condotta costituente un’ipotesi di spaccio di piccola portata e di dimensioni locali, la pena inflitta di otto anni di reclusione sarebbe inadeguata e sproporzionata, tenuto conto del fatto che si verserebbe in una classica ipotesi di “droga parlata”, frutto di attività captativa con uso di linguaggio non chiaro, senza alcun riscontro da parte della polizia giudiziaria; si duole, infine, sia del diniego delle attenuant generiche per il sol fatto di essere coniuge del COGNOME, nonché dell’applicazione della recidiva, che avrebbe dovuto essere disapplicata per rendere proporzionata la risposta sanzionatoria);
rilevato, ancora, che, con quattro motivi di ricorso, NOME COGNOME ha dedotto: 1) il vizio di motivazione sotto il profilo della totale carenza della stessa con riferimento a quanto lamentato attraverso l’appello (dolendosi, in particolare, della mancata integrazione da parte della sentenza d’appello delle lacune rilevate nella prima sentenza, segnatamente in relazione al significato diverso che avrebbe dovuto attribuirsi al contenuto delle intercettazioni telefoniche, rimaste prive di riscontr affinché si potesse ritenere che gli incontri fossero finalizzati alla commissione dei reati contestati) 2) il vizio di nullità della sentenza per violazione di legge e viz motivazionale in ordine alla valutazione della prova ex art. 192, cod. zu. pen. (dolendosi, in particolare, dell’esame degli elementi probatori da parte dget giudici di merito, i quali avrebbero disatteso le tesi difensive senza adeguata motivazione, valorizzando solo le intercettazioni in atti, il cui significato avrebbe dovuto essere interpretato diversamente, anche per l’utilizzo di termini impiegati, quale “cosa” o “canne mozze”, considerando che il Derasmo in sede di intercettazioni non avrebbe mai fatto riferimento a rapine nemmeno con linguaggio criptico, né essendo possibile il suo riconoscimento quale autore del fatto attraverso le telecamera di sicurezza in quanto la persona ritratta indossava una calzamaglia); 3) il vizio di nullità della sentenza sotto il profilo del vizio motivazionale e in relazione all’ar 533, comma 1, cod. proc. pen., stante la violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (dolendosi, in sintesi, del fatto che la responsabilità dell’imputato sarebbe stata affermata sulla scorta di valutazioni ipotetiche e presuntive, prive di sostrato probatorio); 4) il vizio di mancanza della motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (dolendosi, in particolare, della motivazione
fondata sull’assenza di argomento per riconoscere le invocate attenuanti; si censura, inoltre, il trattamento sanzionatorio inflitto, poiché alla luce dell personalità dell’imputato ed il ruolo svolto, nonché della circostanza che i precedetti penali sono remoti nel tempo, ricorrevano tutte le condizioni per il riconoscimento delle attenuanti generiche da ritenersi prevalenti sull’aggravante contestata);
ritenuto che i motivi di ricorso proposti dalla difesa di entrambi i ricorrenti sono inammissibili in quanto tutti riproducono profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici e di merito e non scanditi da specifica criticità delle argomentazioni a base della sentenza impugnata, prefigurando peraltro una rivalutazione e rilettura alternativa delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità, avulsa da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, e comunque manifestamente infondati perché inerenti ad asserita contraddittorietà motivazionale non emergente dal provvedimento impugnato (si v., in particolare, quanto alla COGNOME, le considerazioni espresse a pag. 13 della sentenza impugnata, che, con argomentazioni immuni dai denunciati vizi, chiariscono le ragioni per le quali le doglianze afferenti al trattamento sanzionatorio non sono state ritenute accoglibili; in particolare, i giudici ricordano che la stessa ha riportato condanne irrevocabili per simulazione di reato e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, nonché una più recente condanna per associazione mafiosa finalizzata al narcotraffico, ciò che, si legge in sentenza, unitamente alla spregiudicatezza mostrata con il marito nel porre in essere i reati – valorizzando in particolare un’intercettazione del 14.06.2016 dal chiaro tenore in cui era proprio la donna a manifestarsi come istigatrice del furto nell’abitazione della COGNOME -, denotava particolare pericolosità sociale, donde il diniego delle attenuanti generiche e la contemporanea applicazione della recidiva); Corte di Cassazione – copia non ufficiale rilevato che trattasi, all’evidenza, di motivazione che non merita censura, avendo fatto i giudici corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte che giustifica il diniego dell’art. 62-bis, cod. pen. con la gravità dei precedenti (Sez. 5 n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME Rv. 271269 – 01) e l’applicazione della recidiva proprio nei casi, come quello in esame, in cui la consumazione dell’illecito costituisce sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (per tutte: Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838 – 01);
rilevato, poi, quanto alla posizione del COGNOME, che rilevano, quanto al primo, al secondo ed al terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente attesa l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi, le argomentazioni sviluppate
alle pagg. 14/15 dell’impugnata sentenza, in cui i giudici danno atto del fatto, quanto al delitto di tentata rapina sub m), che le censure difensive – peraltro reiterate in maniera generica dinanzi a questa Corte – non si erano confrontate minimamente con il quadro probatorio costituito dal chiaro significato del contenuto delle intercettazioni telefoniche e con l’attività di PG svolta autonomamente e che aveva monitorato l’intera attività criminosa, dalle fasi organizzative della rapina fino alla fase esecutiva della mattina del 20.06.2016, in cui veniva monitorato in tempo reale il tentativo di rapina che il RAGIONE_SOCIALE stava perpetrando insieme alla COGNOME ed al coniuge COGNOME, travisato da passamontagna; quanto all’altra tentata rapina all’ufficio postale sub q), con i connessi reati in materia di armi sub r), i giudici valorizzano poi il contenuto delle conversazioni captate del tutto intelligibile, evidenziando peraltro come fosse stato monitorato in tempo reale il tentativo di rapina; chiaro anche il riferimento alla “cosa” di cui i due esecutori materiali del fallito tentativo di rapina tentavano di disfarsi, ossia un’arma, come desumibile da una conversazione captata il 22.06.2016, in cui proprio il RAGIONE_SOCIALE aveva fatto riferimento ad un “canne mozze” che avrebbe avuto certo maggiore impatto rispetto all’arma che avevano invece portato il giorno della rapina; i giudici, peraltro, sottolineano come sempre dalla stessa conversazione era emersa la prova dei reati sub o) e p), in quanto era risultata la disponibilità di un fucile a canne mozze);
ritenuto, in particolare, che il predetto percorso argomentativo, lungi dall’esporsi ai denunciati vizi, è immune da aporie logico – argomentative, facendo peraltro corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte quanto al valore probatorio delle intercettazioni ed al significato delle conversazioni captate (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01), ed alla non necessità di elementi di riscontro ex art. 192, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150 – 04), dovendosi, peraltro, osservare, quanto all’asserita violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, l’assoluta genericità della censura, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270108 – 01);
rilevato, infine, quanto all’ultimo motivo di ricorso del Derasmo, afferente al trattamento sanzionatorio, che lo stesso è del tutto privo di pregio, alla luce di quanto compiutamente argomentato alla pag. 15 della sentenza impugnata, in cui
si giustifica l’applicazione della recidiva per le plurime condanne ricevute, per essere stato lo stesso ritenuto socialmente pericoloso in quanto sottoposto a
misura di prevenzione, dunque conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte che ritiene corretta l’applicazione della recidiva proprio nei casi, come quello in
esame, in cui la consumazione dell’illecito costituisce sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (per tutte: Sez. U, n.
35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838 – 01); analogamente, quanto al diniego delle invocate attenuanti, vengono valorizzati i plurimi precedenti penali,
in assenza di elementi valorizzabili pro reo, dunque facendo i giudici corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte che giustifica il diniego dell’art.
62-bis, cod. pen. con la gravità dei precedenti (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017,
COGNOME Rv. 271269 – 01); alla luce di quanto sopra, pertanto, ineccepibile è la conclusione dei giudici di appello che hanno ritenuto congrua ed equa la pena alla
stregua della gravità dei fatti (plurimi tentativi di rapina a volto travisato e, in caso, anche a mano armata) e alla negativa personalità dell’imputato (desunta dal
preoccupante certificato penale);
ritenuto, conclusivamente, che entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella loro proposizione;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso 1’11 aprile 2025
Il Presidente