Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando i Motivi sono di Fatto
L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di un principio fondamentale del nostro sistema processuale: l’inammissibilità del ricorso in cassazione quando i motivi proposti non denunciano una violazione di legge, ma mirano a ottenere una nuova valutazione dei fatti. Questo principio, che delimita nettamente le competenze della Corte di Cassazione rispetto ai giudici di merito, è stato applicato in un caso di condanna per false dichiarazioni sui redditi. Analizziamo la decisione per comprendere i confini del giudizio di legittimità.
I Fatti del Caso
Una persona veniva condannata sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’accusa era di aver dichiarato un reddito di soli 1.140,00 euro a fronte di percezioni reali per 18.660,00 euro, al fine di ottenere indebitamente dei benefici. La difesa, non accettando la condanna, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione.
I Motivi del Ricorso e la Pronuncia di Inammissibilità in Cassazione
Il ricorso si fondava essenzialmente su due punti: la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero accertato adeguatamente l’intenzionalità della falsa dichiarazione.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione risiede nel fatto che le censure mosse dalla difesa erano “doglianze in fatto”. In altre parole, la ricorrente non stava indicando un errore nell’applicazione della norma penale, ma stava criticando il modo in cui i giudici avevano interpretato le prove, proponendo una propria ricostruzione alternativa dei fatti. Questo tipo di valutazione è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito è solo quello di verificare la corretta applicazione del diritto (giudizio di legittimità) e non di riesaminare il merito della vicenda (giudizio di fatto).
La Valutazione del Dolo e delle Circostanze Attenuanti
I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione logica e coerente per affermare la sussistenza del dolo. Erano stati valorizzati elementi concreti, come l’esercizio della potestà genitoriale sui percettori di alcuni dei redditi non dichiarati e la titolarità di un’azienda agricola che riceveva contributi pubblici. Questi fattori, secondo i giudici, dimostravano una piena consapevolezza della situazione reddituale complessiva, rendendo la falsa dichiarazione volontaria e cosciente.
Anche il motivo relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti prevalenti è stato respinto. La Corte ha ritenuto congrua la motivazione dei giudici di merito, che avevano negato tale beneficio a causa di un precedente penale a carico dell’imputata per il reato di cui all’art. 388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice).
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ribadito che, ai sensi dell’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, il ricorso è inammissibile quando si limita a riproporre le stesse questioni di fatto già esaminate e respinte dai giudici di merito. La difesa, nel caso specifico, non aveva condotto un’analisi critica delle argomentazioni della sentenza impugnata, ma si era limitata a contrapporre la propria versione. Un ricorso, per essere ammissibile, deve individuare un vizio logico manifesto o una contraddittorietà nella motivazione della sentenza, e non semplicemente proporre una lettura alternativa delle prove.
Di conseguenza, in assenza di vizi di legittimità, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Questa decisione comporta, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver inutilmente attivato la giurisdizione della Suprema Corte.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio cardine del processo penale: il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. La Corte Suprema non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, logicamente motivata, dei giudici dei gradi inferiori. L’inammissibilità del ricorso cassazione per motivi di fatto è una sanzione processuale che garantisce l’efficienza del sistema giudiziario, evitando che la Corte venga sommersa da ricorsi che mirano solo a ritardare l’esecuzione della pena attraverso un riesame completo del processo. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’atto di impugnazione in Cassazione deve essere redatto con estremo rigore tecnico, concentrandosi esclusivamente su reali violazioni di legge o vizi logici manifesti della motivazione.
Perché un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, invece di contestare errori nell’applicazione della legge (violazioni di legge), solleva questioni che riguardano la ricostruzione dei fatti o la valutazione delle prove. Queste ultime sono di esclusiva competenza dei giudici di merito e non possono essere riesaminate in Cassazione.
Come hanno fatto i giudici a stabilire che la falsa dichiarazione era intenzionale (dolosa)?
I giudici hanno basato la loro valutazione su elementi concreti, come il fatto che l’imputata esercitasse la potestà genitoriale sui percettori di alcuni redditi omessi e fosse titolare di un’azienda agricola che riceveva contributi. Questi elementi dimostravano la sua piena consapevolezza della reale situazione reddituale.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata a pagare le spese del procedimento e una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso non consentito dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27311 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27311 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a LONGOBUCCO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/12/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che il difensore di COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che ha confermato quella del Tribunale di Castrovillari di condanna per il reato di cui all’art. 95 d. P. R 115/2002 (euro 1.140,00 dichiarati, a fronte di euro 18.660,00 percepiti, in Castrovillari il 24/6/2015);
ritenuto che il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., avendo la difesa dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento all’asserito, mancato accertamento dell’elemento psicologico del reato, articolando la censura in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, trattandosi di doglianze in fatto e non scandite da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), avendo la Corte distrettuale dato conto della infondatezza della ricostruzione difensiva, con un ragionamento che, siccome scevro da profili di manifesta illogicità o contraddittorietà (avendo i giudici valorizzato, ai fini della sussistenza del dolo, l’esercizio della potestà dei genitori sui percettori di alcuni dei redditi omessi e titolarità dell’azienda agricola che aveva percepito i contributi RAGIONE_SOCIALE), deve ritenersi estraneo al vaglio di legittimità, essendosi la difesa limitata a opporre la sua diversa valutazione, proponendola a questo giudice come più corretta;
che, parimenti, quanto al giudizio di bilanciamento, i giudici di merito hanno giustificato il diniego della prevalenza delle attenuanti alla stregua del dato che l’imputata era gravata da una precedente per violazione dell’art. 388, cod. pen., con motivazione, dunque, del tutto congrua, secondo i parametri legali di cui all’art. 133, cod. pen.;
rilevato che alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (Corte cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 26 giugno 2024
La Consigliera est.
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