Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13149 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13149 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME COGNOME nato a Palermo il 15/09/1992, avverso la sentenza in data 07/12/2023 della Corte di appello di Palermo; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 07/12/2023, la Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza con cui, il precedente 24/02/2023, il Tribunale di Palermo aveva affermato la penale responsabilità di COGNOME NOME COGNOME in ordine ai delitti di inottemperanza all’obbligo di fermarsi a seguito dell’investimento di un pedone, di omissione di soccorso e di lesioni personali stradali gravi, aggravaiite dalla fuga e alla contravvenzione di guida in stato di ebbrezza, ritenendo la contravvenzione assorbita nel più grave delitto contro la persona, unificando sotto il vincolo della continuazione tutti i delitti per cui v’era stata condanna, concedendo al predetto le attenuanti generiche e rideterminando in melius il trattamento sanzionatorio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato tre motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 157 e 160 cod. pen., essendo maturata, in relazione a ciascuno dei delitti per cui v’era stata conferma della condanna, la causa estintiva della prescrizione.
Sostiene, in particolare, che, pur tenendo conto delle tre sospensioni del suo decorso medio tempore intervenute (disposte alle udienze del 03/04/2020, del 26/06/2020 e del 26/11/2021), risulterebbe maturato il 15/08/2024 il termine massimo stabilito dal combinato disposto degli artt. 157 e 160 cod. proc. pen. per il caso in cui siano intervenuti più atti interruttivi.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità di cui agli artt. 63, 64, 188 e 191 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità.
Assume segnatamente che l’individuazione nel Sanfilippo del conducente dell’auto investitrice, così come il recupero del mezzo e delle targhe, elementi cardine dell’impianto probatorio a base della condanna, sarebbero conseguiti alle dichiarazioni autoaccusatorie da costui rese in esito a un non consentito stratagemma degli inquirenti (consistito nel rappresentargli il sopraggiunto decesso del soggetto investito), che, in violazione del disposto dell’art. 188 cod. proc. pen., avrebbe compromesso la sua libertà di autodeterminazione e determinato, per l’effetto, l’inutilizzabilità dei suoi dieta; aggiunge, altresì, che, in ragione dell’avvenuta insorgenza di indizi di reità a carico del predetto, la sua audizione avrebbe dovuto essere interrotta a norma dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen. e si sarebbe dovuto procedere, nei suoi confronti, con un rituale interrogatorio ex art. 64 cod. proc. pen., sicché, in difetto, le dichiarazioni rese avrebbero dovuto ritenersi, anche per altra via, inutilizzabili; conclude, quindi, che, nella decisione della Corte territoriale, si sarebbe illegittimamente pervenuti alla conferma della pronunzia di condanna resa in primo grado, posto che, in ragione dell’affermata inutilizzabilità delle indicate dichiarazioni autoindizianti, non si sarebbe dovuto tener conto neanche dell’avvenuto rinvenimento dell’auto investitrice e delle relative targhe, conseguendo essi, a quanto dichiarato dal COGNOME e non ad un’autonoma attività investigativa degli inquirenti.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso lamenta infine, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 590-bis, comma 4, cod. pen. e 186 comma 2, lett. b), d.lgs. n. 285 del 1992 e vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di ritenuta configurabilità dell’aggravante dello stato di ebbrezza del conducente.
Sostiene, in specie, che, nella sentenza impugnata, pur essendosi ritenuto che la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza originariamente contestata fosse assorbita nel più grave delitto di lesioni personali stradali, si sarebbe illegittimamente riconosciuta la configurabilità, con riguardo a tale illecito, della menzionata aggravante ad effetto speciale, a dispetto del rilevante lasso temporale intercorso tra il momento del sinistro e quello dell’accertamento del tasso alcolemico, valso, in tesi, a rendere non quantificabile con certezza la percentuale di alcool esistente nel sangue, in ragione del processo di metabolismo dell’etanolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME COGNOME è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare innanzitutto il secondo motivo di ricorso, che si ritiene destituito di fondamento, posponendo al suo scrutinio e al vaglio del terzo motivo la disamina di quello formulato come primo.
Nello specifico, con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità di cui agli artt. 63, 64, 188 e 191 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, sostenendo, per un verso, che l’individuazione nel COGNOME del conducente dell’auto investitrice sarebbe avvenuta per effetto delle dichiarazioni autoaccusatorie da costui rese in esito a un non consentito stratagemma degli inquirenti, che ne avrebbe compromesso la libertà di autodeterminazione e avrebbe determinato l’inutilizzabilità dei suoi dicta e, per altro verso, che, in ragione dell’avvenuta insorgenza di indizi di reità a carico del propalante, la sua audizione avrebbe dovuto essere interrotta ai sensi dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen. e si sarebbe dovuto procedere, nei suoi confronti, con un rituale interrogatorio ex art. 64 cod. proc. pen., sicché, in difetto, le dichiarazioni rese avrebbero dovuto ritenersi inutilizzabili.
Ritiene il Collegio che la decisione della Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non sia inficiata dall’inosservanza dalle evocate norme processuali stabilite a pena d’inutilizzabilità, né presenti i dedotti vizi
motivazionali, posto che i giudici del merito sono pervenuti alla conferma della decisione di condanna assunta in primo grado mercè il legittimo utilizzo di una pluralità di elementi indiziari, ulteriori rispetto alle dichiarazioni autoaccusatorie rese dal COGNOME per effetto dello stratagemma posto in essere dagli inquirenti.
In particolare, la Corte di appello, con argomentato lineare, coerente e tutt’altro che illogico, ha individuato nel predetto il soggetto resosi autore dell’investimento del pedone in base: a) alle specifiche dichiarazioni della persona offesa COGNOME COGNOME che, nell’immediato, riferì di essere stato investito da un’auto, che l’aveva urtato violentemente, nel mentre attraversava la strada, con la sua parte anteriore destra; b) alle convergenti dichiarazioni del testimone oculare COGNOME COGNOME che asserì che l’auto investitrice era una FIAT Panda, targata TARGA_VEICOLO e che alla guida della stessa vi era un giovane; c) agli accertamenti eseguiti nell’immediato dalle forze dell’ordine, che appurarono che tale veicolo era intestato a NOME COGNOME NOME; d) alle dichiarazioni del predetto intestatario, che asserì che il mezzo era in uso esclusivo a sua sorella NOME e al di lei figlio NOME NOME; e) all’infruttuoso tentativo di ostacolare l’attività investigativa effettuato da NOMECOGNOME che riferì agli inquirenti che l’auto a lei in uso era stata asportata da ignoti durante la notte appena trascorsa, pur se non risultava sporta alcuna denunzia al riguardo; f) alla circostanza fattuale costituita dall’improvviso sopraggiungere presso la propria abitazione, durante l’espletamento dell’attività investigativa, di COGNOME NOME COGNOME in evidente stato di ebbrezza; g) al successivo rinvenimento dell’auto, recante danni pienamente compatibili con l’avvenuto investimento di un uomo.
Orbene, a fronte di un compendio probatorio siffatto, rivelatosi ex se idoneo ad individuare nell’imputato il conducente dell’auto investitrice, non assume concreta rilevanza la supposta inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti rese dal predetto agli inquirenti, che, peraltro, la Corte territoriale non ha iT:hlebOr: indicato nel novero degli elementi posti a fondamento della conferma della decisione di condanna.
In particolare, è a dirsi che l’inutilizzabilità dei dicta del Sanfilippo non inficia il successivo rinvenimento dell’auto investitrice e delle targhe ad essa abbinate, conseguito alle citate propalazioni, trovando applicazione, nella subiecta materia, il principio secondo cui «In tema di prove, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti rese dall’imputato in assenza di garanzie difensive non si trasmette agli accertamenti successivi autonomamente svolti dalla polizia giudiziaria, in quanto non opera in materia di inutilízzabilità il principio, previsto per le nullità, della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo» (così: Sez. 6, n. 9009 del 04/02/2020, Raffa, Rv. 278563-01).
3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 590-bis, comma 4, cod. pen. e 186 comma 2, lett. b), d.lgs. n. 285 del 1992 e di vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di ritenuta configurabilità della circostanza aggravante dello stato di ebbrezza del conducente, sostenendo che, nella sentenza impugnata, pur essendosi ritenuto che la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza in origine contestata fosse assorbita nel più grave delitto di lesioni personali stradali, si sarebbe illegittimamente riconosciuta la configurabilità, con riguardo a tale illecito, della menzionata aggravante ad effetto speciale, a dispetto del rilevante lasso temporale intercorso tra il momento del sinistro e quello dell’accertamento del tasso alcolemico, valso, in tesi, a rendere non quantificabile in termini di certezza la percentuale di alcool esistente nel sangue, a causa del processo di metabolismo dell’etanolo.
Ritiene il Collegio che il motivo di ricorso di cui trattasi si caratterizzi per un’evidente genericità estrinseca o aspecificità, atteso che la parte ricorrente, nell’articolare la doglianza, ha omesso di confrontarsi con le argomentazioni spese dalla Corte territoriale con riguardo al tema indicato, finendo col riproporre le medesime osservazioni critiche dalla stessa già vagliate e confutate.
E invero, i giudici di secondo grado, alla pag. 8 della sentenza impugnata, hanno puntualmente affrontato la questione, già in quella sede prospettata, del lasso temporale intercorso tra il momento in cui, con prelievo ematico, fu eseguito, nei confronti del conducente dell’auto investitrice, l’accertamento del tasso alcolemico e quello, precedente, in cui ebbe a verificarsi il sinistro stradale, sostenendo, per un verso, che costituisce principio consolidato quello secondo cui «In tema di guida in stato di ebbrezza, il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolimetrico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento alcolemico» (in tal senso: Sez. 4, n. 13999 dell’11/03/2014, COGNOME, Rv. 259694-01), per altro verso, che confortava l’esito dell’accertamento tecnico quanto percepito de visu dai carabinieri operanti allorquando incontrarono l’imputato e, per altro verso ancora, la circostanza che quest’ultimo non ebbe mai a riferire di aver assunto bevande alcoliche successivamente all’investimento del pedone.
A fronte di un tale impianto argomentativo, il ricorrente ha finito col riproporre, con l’agitata doglianza, le medesime osservazioni critiche già prospettate ai giudici di merito, senza confrontarsi in alcun modo con gli argomenti da questi utilizzati per confutare le sue deduzioni.
Deve, tuttavia, rilevarsi che i motivi di doglianza con cui, a fronte di un argomentato esauriente com’è quello dianzi riportato, si ripropongono le
medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame risultano, per pacifica acquisizione della giurisprudenza di legittimità, affetti da un’evidente aspecificità.
La mancanza di specificità del motivo ricorre, infatti, tanto nel caso della sua genericità, intesa come Indeterminatezza della doglianza, quanto in quello del difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità del gravame (così, ex multis, Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01).
La ritenuta manifesta infondatezza dei motivi scrutinati, cui consegue l’inammissibilità del ricorso, rende irrilevante l’intervenuta prescrizione dei delitti per cui v’è stata condanna, dedotta, sub specie di violazione di legge e, in particolare, del disposto di cui agli artt. 157 e 160 cod. pen., con il primo motivo di ricorso.
Ciò perché la maturazione dell’indicata causa estintiva è intervenuta, secondo la stessa prospettazione difensiva in data 15/08/2024, ossia in epoca successiva alla pronunzia della sentenza impugnata, risalente al 07/12/2023.
In proposito, è d’uopo richiamare il principio enunciato da questa Suprema Corte, secondo cui «L’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità» (in tal senso: Sez. 2, n. 28848 dell’08/05/2013, C:COGNOME, Rv. 256463-01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025