Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43486 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43486 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/02/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATI – 0 E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta l’affermazion in ordine alla penale responsabilità, con particolare riguardo alla p dell’identificazione dell’imputata quale autrice del reato, è privo dei requi specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen.;
che, invero, la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per l’assenza correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisi impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, queste non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di manca di specificità;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso con corretti argomenti logici e giuridici, le doglianze difensive dell’app genericamente riproposte in questa sede (si veda, in particolare, pag. 5);
ritenuto che il secondo motivo, con il quale si censura la mancata riqualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi del furto tentato, oltre ad esse di concreta specificità, è anche manifestamente infondato;
che, invero, l’erronea qualificazione giuridica è basata su assunti relativi ricostruzione dinamica della fattispecie concreta, non rivisitabile nel pre giudizio di legittimità;
che, nel caso di specie, i giudici del merito hanno correttamente sussunto fatto, per come ricostruito, nell’ipotesi di rapina tentata, conformemente consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 14901 del 19/03/20 COGNOME, Rv. 263307; Sez. 2, n. 10599 del 27/09/1985, COGNOME, Rv. 171042) ed ampiamente argomentando sul punto (si veda pag. 6);
ritenuto che l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si contesta la mancata concessione dei benefici di legge, non è specifico né consentito in questa sede;
che, invero, la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nel sentenza impugnata, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto specificamente contestare nel ricorso, se incompleto o comunque non corretto (si vedano pagg. 4 e 5);
che, infatti, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il manca esercizio del potere-dovere di applicazione dei benefici in presenza delle condizio che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso pe cassazione, della mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta ne
corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno Rv. 275376);
che, peraltro, le ragioni del diniego dei benefici della sospensione condiziona della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellar giudiziale possono ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice ab negativamente valorizzato il profilo della capacità a delinquere dell’imputa desunto dai precedenti penali e giudiziari, dal momento che il legislatore dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elemen indicati dall’art. 133 cod. pen., come nel caso in esame (si veda pag. 6);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso, il 10 settembre 2024.