Ricorso in Cassazione: Quando i Motivi sono Inammissibili
L’accesso alla Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma è un percorso irto di ostacoli procedurali. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come l’inammissibilità del ricorso possa porre fine alle speranze di un imputato, specialmente quando le argomentazioni difensive sono generiche o semplicemente ripetitive. Questo provvedimento sottolinea l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e incentrati su vizi di legittimità, piuttosto che tentare una nuova valutazione dei fatti.
Il Caso in Analisi
Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per due distinti reati: detenzione illecita di circa 20 grammi di cocaina (un reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti) e violazione delle prescrizioni della sorveglianza speciale, una misura di prevenzione a cui era sottoposto. A complicare il quadro, all’imputato era stata contestata anche la recidiva qualificata.
La Corte d’Appello di Palermo aveva confermato integralmente la sentenza di primo grado. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, articolando due principali motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso e la Dichiarazione di Inammissibilità
La difesa ha tentato di scardinare la sentenza di condanna su due fronti:
1. Sulla responsabilità penale: L’imputato contestava la ricostruzione dei fatti e l’affermazione della sua responsabilità, in particolare riguardo alla disponibilità della sostanza stupefacente.
2. Sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: La difesa chiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ limitatamente al reato di violazione della sorveglianza speciale.
Entrambi i motivi sono stati respinti dalla Suprema Corte, che ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile. Vediamo perché.
La Reiterazione dei Motivi come Causa di Inammissibilità del Ricorso
Il primo motivo è stato considerato una mera riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso in sede di legittimità non può essere un ‘terzo grado di giudizio’ dove si rivalutano le prove e i fatti. Il suo scopo è controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Presentare le stesse argomentazioni, senza un confronto critico e specifico con le ragioni esposte dal giudice precedente, trasforma il ricorso in un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo esame del merito.
L’Abitualità della Condotta che Esclude la Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero correttamente escluso l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La motivazione era del tutto pertinente: l’abitualità della condotta dell’imputato, che aveva già portato a un inasprimento della misura di prevenzione, è per legge ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La condotta, quindi, non poteva essere considerata episodica o di minima offensività.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata (incluse le Sezioni Unite, sent. Galtelli). I principi applicati sono chiari: non è sufficiente lamentare un vizio di motivazione in modo generico. È necessario che il ricorrente indichi le specifiche parti della motivazione che ritiene illogiche o contraddittorie e spieghi perché. In questo caso, la difesa si è limitata a proporre una lettura alternativa dei fatti, un’operazione che esula completamente dai poteri della Corte di Cassazione. La decisione evidenzia la natura tecnica del ricorso per cassazione e la necessità di una difesa che si concentri esclusivamente sui profili di legittimità.
Conclusioni
La conseguenza diretta dell’inammissibilità è la definitività della sentenza di condanna. Oltre a ciò, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve da monito: un ricorso per cassazione deve essere redatto con rigore tecnico, attaccando specificamente i vizi di legge o di motivazione della sentenza impugnata. La semplice riproposizione di tesi difensive già vagliate e respinte nei gradi di merito conduce inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità, con ulteriori conseguenze economiche per il condannato.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è inammissibile quando si limita a ripetere argomenti già presentati e respinti nei precedenti gradi di giudizio, senza una critica specifica alla motivazione della sentenza impugnata, oppure quando chiede una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
L’abitualità della condotta impedisce l’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’?
Sì. La Corte ha confermato che la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) è stata correttamente respinta a causa dell’abitualità della condotta dell’imputato, che aveva già determinato un aggravamento della misura di prevenzione a suo carico.
Quali sono le conseguenze di una dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La sentenza di condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata quantificata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27342 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27342 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con proprio difensore avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la sentenza del Tribunale di quella città di condanna del predetto in ordine al concorso nei reati di cui all’art. 73, comma 5, d. P.R. n. 309/199 per detenzione illecita di circa gr. 20 di cocaina e all’art. 75 comma 2, d. Igs. n. 159/20 (violazione prescrizioni inerenti alla misura della sorveglianza speciale alla quale e sottoposto), con la recidiva qualificata (in Palermo il 30/4/2023);
rilevato che il ricorrente, con due motivi, ha dedotto violazione di legge e vizio de motivazione sia quanto all’affermazione di responsabilità, che avuto riguardo all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis, cod. pen., limitatamente al reato sub 2) della rubrica;
ritenuto che il primo motivo è reiterativo di tesi difensiva già formulata al giudice gravame e da questi disattesa con motivazione che non evidenzia alcun vizio deducibile, avendo la Corte territoriale dato conto degli elementi ai quali ha agganciato la ritenut disponibilità in capo all’imputato della sostanza stupefacente, essendo così mancato un effettivo confronto con la decisione censurata (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione) e avendo in ogni caso la difesa proposto argomenti intesi a introdurre questioni di puro fatto, non deducibili i sede di legittimità;
che, allo stesso modo, la Corte ha motivatamente disatteso la richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità, con motivazioni del tutto pertinent (abitualità della condotta, tale da aver determinato un aggravamento della misura di prevenzione);
che alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost. n. 186/2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 26 giugno 2024
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