Inammissibilità ricorso Cassazione: quando i motivi nuovi bloccano l’esame di merito
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: l’inammissibilità del ricorso in Cassazione qualora vengano proposti motivi non precedentemente sottoposti al giudice d’appello. La Suprema Corte, con questa decisione, chiarisce che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito dove introdurre per la prima volta nuove questioni. Analizziamo insieme il caso e le motivazioni della Corte.
I fatti di causa
Il ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione dopo essere stato condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e rifiuto di fornire le proprie generalità (art. 651 c.p.). L’impugnazione si basava su tre distinti motivi: l’intervenuta prescrizione del reato contravvenzionale, l’omessa motivazione sull’aumento di pena per la continuazione tra i reati e la violazione di legge per la mancata riduzione della pena prevista per il rito abbreviato in relazione al reato di cui all’art. 651 c.p.
La decisione della Cassazione: focus sull’inammissibilità del ricorso
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su una valutazione distinta per ciascuno dei motivi proposti, evidenziando errori di calcolo e, soprattutto, vizi procedurali insuperabili.
Le motivazioni della decisione
La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente, fornendo chiari principi di diritto applicabili in casi simili.
Il calcolo della prescrizione
Il primo motivo, relativo alla prescrizione del reato di cui all’art. 651 c.p., è stato giudicato manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato come il ricorrente non avesse tenuto conto, nel suo calcolo, di un fondamentale periodo di sospensione dei termini (un anno e sei mesi, oltre a 19 giorni) dovuto a una precedente riforma legislativa. Tale sospensione posticipava la data di estinzione del reato a una data futura (marzo 2026), rendendo l’argomento del tutto privo di fondamento.
Il divieto di motivi nuovi nel giudizio di legittimità
Il cuore della decisione, che sancisce l’inammissibilità del ricorso in Cassazione, risiede nell’analisi del secondo e del terzo motivo. La Corte ha rilevato che entrambe le questioni – quella sull’aumento di pena per la continuazione e quella sulla mancata riduzione per il rito alternativo – erano state sollevate per la prima volta in sede di legittimità. L’atto di appello, infatti, si era concentrato unicamente sull’eccessività della pena per il reato più grave (art. 337 c.p.), senza muovere alcuna contestazione specifica sugli altri aspetti della sentenza. Questo vizio procedurale è fatale: il ricorso per Cassazione non può ampliare il thema decidendum (l’oggetto della decisione) rispetto a quello definito nel giudizio d’appello.
Le conclusioni: implicazioni pratiche
Questa ordinanza è un monito fondamentale sull’importanza della strategia difensiva nei vari gradi di giudizio. Qualsiasi doglianza, sia di merito che di legittimità, deve essere articolata e proposta già nell’atto di appello. Introdurre ‘motivi nuovi’ in Cassazione è una pratica proceduralmente scorretta che conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. La Corte Suprema non è un terzo giudice di merito, ma un organo di legittimità che valuta la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi inferiori, basandosi esclusivamente sulle questioni già devolute in appello. La mancata osservanza di questo principio preclude ogni possibilità di esame nel merito delle proprie ragioni.
Perché il motivo sulla prescrizione del reato è stato respinto?
La Corte lo ha ritenuto manifestamente infondato perché il calcolo del ricorrente non considerava un periodo di sospensione della prescrizione di un anno e sei mesi, più altri 19 giorni, che spostava il termine di estinzione del reato al 14 marzo 2026.
È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in Appello?
No. La Corte ha dichiarato inammissibili i motivi relativi all’aumento di pena e alla mancata riduzione per il rito abbreviato proprio perché non erano stati sollevati nel precedente grado di giudizio, l’appello. Il ricorso per Cassazione non può introdurre questioni nuove.
Qual è stata la conseguenza finale per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la condanna è diventata definitiva. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33982 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33982 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PORDENONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/11/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per i reati di cui agli artt. 337 e 651 cod. pen.)
Esaminati i motivi di ricorso.
OSSERVA
Il primo motivo, con il quale il ricorrente deduce l’intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 651 cod. pen., è manifestamente infondato poiché ai cinque anni va aggiunto il periodo di sospensione per la riforma cosiddetta” Orlando” di un anno e sei mesi; il reato, pertanto, si prescriverà alla data del 14 marzo 2026 (oltre 19 giorni di sospensione verificatisi nel primo grado del giudizio) (cfr. pag. 6).
Il secondo motivo – avente ad oggetto la omessa motivazione sull’aumento di pena per la continuazione fra i reati – è inammissibile poiché non dedotto in appello.
Il terzo motivo, avente ad oggetto la violazione di legge in relazione alla mancata x riduzione per il rito in relazione al reato di cui all’art. 651 cod. pen. è, anch’esso, per la prima volta, dedotta in questa sede e, quindi, inammissibile. L’atto di appello era incentrato sulla eccessività della pena in relazione all’art. 337 cod. pen. e non anche in relazione alla contravvenzione contestata.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/06/2025.