Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15965 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15965 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di: COGNOME nato a Locri il 12/05/1994, avverso la ordinanza del 13 dicembre 2024 del Tribunale di Roma, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento parziale della ordinanza impugnata, limitatamente al reato descritto al capo 10 della provvisoria imputazione.
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale per il riesame delle misure coercitive di Roma accoglieva parzialmente (annullando il titolo impugnato con riferimento al solo capo 20, art. 316 ter, 416 bis.1, cod. pen.) l’istanza proposta, ex art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza cautelare, che applicava la misura di massima afflittività, emessa in data 28 ottobre 2024 dal G.i.p. del medesimo Tribunale.
1.1. Il Tribunale dell’incidente cautelare, scontata la sussistenza del grave quadro indiziario per le ipotesi contestate in cautela (trasferimento fraudolento di valori, capi da 1 a 6; violazioni tributarie di carattere penale, capi da 7 a 15; delitti di autoriciclaggio, c 16 e 17; con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l’associazione per delinquere di stampo ndranghetistico denominata cosca COGNOME), neppure oggetto di censura con i motivi scritti che accompagnavano la richiesta di riesame, stimava concrete ed attuali le esigenze cautelari già divisate in sede genetica del titolo, desunte dalle modalità iterate dei fatti e dal contesto di derivazione e finalistico delle risorse provento dei reati contestati.
L’indagato, a mezzo dei difensori di fiducia nominati, ricorre avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Roma ha rigettato l’istanza di riesame della difesa, deducendo:
2.1. Violazione e falsa applicazione della legge penale, per insussistenza dei gravi indizi dell’aggravante ad effetto speciale della finalità agevolatrice della associazione mafiosa;
2.2. Violazione e falsa applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 280, comma 2, cod. proc. pen., per avere applicato la misura cautelare per fattispecie di reato per la quale risulta preclusa, sia rispetto al capo 10 (art. 4 del D. Lgs. 74/2000), sia rispetto al capo 7-bis, dovendosi riqualificare il reato contestato ai sensi dell’articolo 4 del D. Lgs. 74/2000, il quale non consente, per effetto del trattamento sanzionatorio applicabile, anche alla luce della contestata aggravante ad effetto speciale, l’applicazione della custodia cautelare in carcere;
2.3. Vizio di motivazione, per mancanza, sul tema dedotto con memoria depositata in udienza, ovvero violazione del bis in idem cautelare in riferimento ad altra contestazione cautelare per reati omogenei (precedente rigetto della richiesta di misura cautelare per difetto delle esigenze cautelari attuali).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile giacché proposto per motivi non deducibili e, comunque, del tutto aspecifici rispetto all’ordito motivazionale della ordinanza impugnata.
1.1. I motivi scritti posti a sostegno dell’istanza di riesame attingevano solo la ritenuta sussistenza dell’aggravante finalistica della agevolazione mafiosa, oltre l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari. Il che esclude che nei successivi sviluppi della catena devolutiva possano essere dedotti temi nuovi, non rappresentati al giudice della revisione nel merito del provvedimento genetico (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 02; Sez. 2, n. 2146 del 04/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.).
1.2. Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile a cagione della sua natura inedita.
1.3. Il tema dell’aggravante della finalità di agevolazione mafiosa è stato viceversa ampiamente trattato sia nell’ordinanza del GIP, sia in quella del Tribunale, cha ha dedicato all’argomento la gran parte della motivazione (pagine 13-31 sull’esistenza dell’associazione; pagine 31 e ss. sull’aggravante ad effetto speciale). Sotto il profilo oggettivo, dalla motivazione emerge come il ricorrente, insieme a COGNOME NOME e COGNOME NOME, agisse con il dolo specifico di avvantaggiare la cosca di derivazione territoriale, essendo personaggi di riferimento dell’associazione, le cui attività criminali (anche e soprattutto quelle di natura tributaria) erano realizzate nell’interesse dell’organizzazione ed allo scopo di estenderne le ramificazioni ed accaparrarsi il controllo del territorio, oltre ai cospicui dividendi delle attività illecite locupletative.
Il suo ruolo di referente del clan di Gioiosa Ionica nel territorio capitolino è stat espressamente valorizzato dall’indagato ricorrente nei colloqui intrattenuti con NOME COGNOME e NOME COGNOME, come pure la sua capacità di relazionarsi con referenti di altri sodalizi mafiosi, chiamati in suo aiuto nei momenti di fibrillazione. Sono stati inoltre evidenziati i rapporti di affari tenuti con alcuni imprenditori stanziati a Roma, contigui a contesti di criminalità organizzata calabrese, siciliana o campana, ai quali viene manifestato l’interesse del clan COGNOME per l’acquisto di un deposito di carburanti a Città di Castello, riferibile all’imprenditore NOME COGNOME.
Il motivo costituisce, pertanto, mera reiterazione della censura svolta nel merito, cui il Tribunale della cautela (v. pag. 43 e 44 della ordinanza impugnata) ha offerto logica e congruente risposta argomentativa; difetta, dunque, della necessaria specificità estrinseca, espressamente richiesta dal testo dell’art. 581, comma 1 bis, cod. proc. pen., quale requisito di ammissibilità della impugnazione (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; Sez. 5, n. 34504 del 25/05/2018, COGNOME, Rv. 273778 – 01).
1.4. Del pari è a dirsi per il terzo motivo di ricorso.
Il tema del bis in idem è posto in modo del tutto generico. Il Tribunale ha offerto anche sul punto (pag. 46, terzo cpv. della ordinanza impugnata) congrua risposta argomentativa, motivando compiutamente in ordine alla assoluta diversità dei fatti contestati e dei soggetti attinti dalle distinte mozioni cautelari, che hanno ricevuto in sorte un opposto epilogo: compagine sociale, non omogeneità dei titoli di reato contestati, oltre alla differente esposizione delle esigenze poste a sostegno della cautela.
1.5. Quanto ad attualità e concretezza delle esigenze .cautelari, il Tribunale .della cautela ha argomentato la sua decisione di rigetto dell’istanza di riesame, valorizzando la
sussistenza delle concrete esigenze cautelari, desunte dall’analisi delle gravi condotte articolate nel tempo, che denotano particolari capacità nello specifico settore d’impresa,
oltre che efficaci collegamenti con gruppi criminali particolarmente virulenti sul territorio;
il Tribunale ha altresì richiamato sul punto (v. pag. da 45 a 47 della ordinanza impugnata)
la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e quella di adeguatezza della misura di massima afflittività (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.); entrambe le
presunzioni, argomenta il Tribunale, non sono vinte da elementi dubitativi preesistenti o sopravvenuti (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698 – 01).
2. I profili proposti alla valutazione del Tribunale risultano pertanto esaminati e respinti sulla base di criteri logici lineari e massime di esperienza condivise, tanto da determinare
un apparato motivazionale altrettale, esente da vizi sindacabili in questa sede (Sez. 3, n.
7268, del 24/1/2019, Rv. 275851).
3. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
3.1. Ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen., la condizione detentiva del ricorrente impone al direttore dell’istituto penitenziario di provvedere agli adempimenti indicati al comma 1 bis della medesima disposizione normativa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 aprile 2025.