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Inammissibilità ricorso Cassazione: motivi non nuovi

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità di un ricorso avverso una condanna per evasione. I motivi, incentrati su stato di necessità e richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p., sono stati giudicati mere repliche di censure già respinte in appello e privi di specificità. L’esito sottolinea l’importanza di presentare motivi di ricorso specifici e non meramente ripetitivi per evitare una dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando i Motivi d’Appello non Bastano

L’inammissibilità del ricorso in Cassazione rappresenta uno degli esiti più comuni e, al tempo stesso, più insidiosi del giudizio di legittimità. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre l’occasione per analizzare i requisiti di ammissibilità di un ricorso, sottolineando come la mera riproposizione delle argomentazioni già esaminate e respinte nei gradi di merito non sia sufficiente a superare il vaglio della Corte. Il caso in esame riguarda una condanna per il reato di evasione, dove i motivi del ricorso sono stati giudicati generici e ripetitivi.

I Fatti alla Base del Ricorso

Una persona condannata in primo e secondo grado per il reato di evasione decideva di presentare ricorso per Cassazione. I motivi del ricorso erano principalmente due: in primo luogo, si contestava il dolo del reato, adducendo uno stato di necessità che, a dire della difesa, avrebbe dovuto escludere la colpevolezza. In secondo luogo, si criticava la decisione della Corte d’Appello di non concedere le circostanze attenuanti generiche, basandosi sui precedenti penali della ricorrente.

L’Analisi della Corte e l’Inammissibilità del Ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, concludendo per la loro totale inammissibilità. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale che meritano un’attenta riflessione.

Il Primo Motivo: Ripetitività delle Censure e Genericità

Con il primo motivo, la difesa cercava di rimettere in discussione l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. Tuttavia, la Suprema Corte ha osservato come tali argomentazioni non fossero altro che una pedissequa ripetizione di quanto già sostenuto e rigettato dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva fornito una motivazione giuridicamente corretta, puntuale e coerente, escludendo lo stato di necessità. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma di controllo sulla corretta applicazione della legge. Riproporre le medesime questioni fattuali, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella sentenza impugnata, rende il motivo inammissibile.

Inoltre, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) è stata giudicata inammissibile per la sua manifesta genericità, confermando la valutazione già espressa dalla corte territoriale.

Il Secondo Motivo: La Motivazione Sufficiente sul Diniego delle Attenuanti

Anche il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è stato respinto. La Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione facendo riferimento ai precedenti della ricorrente. La Cassazione ha ritenuto tale motivazione “sufficiente e non illogica”, e pertanto non censurabile in sede di legittimità. La valutazione del merito circa la concessione o meno delle attenuanti rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e può essere sindacata in Cassazione solo in caso di motivazione assente, manifestamente illogica o contraddittoria, vizi che in questo caso non sono stati riscontrati.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale dell’ordinanza risiede nel principio secondo cui il ricorso per Cassazione deve presentare motivi specifici che attengano a questioni di diritto o a vizi logici della motivazione, e non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni fattuali già esaminate nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha ritenuto che i motivi del ricorso in esame non fossero consentiti dalla legge in sede di legittimità, in quanto si traducevano in una richiesta di nuova valutazione del merito, preclusa alla Suprema Corte. La decisione della Corte d’Appello è stata considerata immune da vizi, con argomenti giuridicamente corretti, puntuali e coerenti rispetto alle doglianze difensive.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione: la necessità di strutturare un ricorso che vada oltre la semplice contestazione dei fatti. È indispensabile individuare specifici errori di diritto o palesi vizi di motivazione nella sentenza impugnata. La mera riproposizione delle tesi difensive già vagliate e respinte conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Come conseguenza diretta, la ricorrente è stata condannata non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, un onere economico che si aggiunge alla conferma della condanna.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità. Essi si limitavano a replicare le censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza sollevare nuove questioni di diritto o evidenziare vizi logici nella sentenza impugnata.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi già presentati in Appello?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che la mera riproposizione di censure già esaminate e respinte nel merito, senza individuare specifici vizi di legittimità (errori di diritto o vizi di motivazione), rende il ricorso inammissibile.

Quali sono state le conseguenze economiche per la ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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