Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34593 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34593 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2025 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità sostenendo che la Corte territoriale abbia offerto una motivazione del tutto apparente omettendo qualsiasi confronto con i motivi di appello laddove potevano essere molteplici i motivi, puntualmente evidenziati nell’atto di gravame, per i quali non c’era coincidenza con il tracciamento del cellulare asseritamente in uso al ricorrente con quello del coimputato. In tal senso si ritiene che la Corte territoriale non abbia correttamente Applicato i principi giurisprudenziali affermati dalla Corte di legittimità in tema di motivazione per relationem. Con un secondo motivo lamenta vizio motivazionale con riferimento alla dosimetria della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in s,ede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Quanto al secondo, lo stesso poi afferisce al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, non limitandosi, come afferma il ricorrente, ad un mero richiamo dei contenuti della sentenza di primo grado che pure legittimamente viene operato a pag. 3 della sentenza impugnata – ma rispondendo, punto per punto, ai motivi di gravame nel merito, ed in particolare a quelli afferenti all’individuazione del COGNOME in ragione degli spostamenti da Napoli a Rimini, al compendio indiziario univoco che ha portato ad individuarlo come il secondo soggetto, alla desistenza volontaria e alla nozione di privata dimora dello studio professionale.
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Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente, con deduzioni generiche e che non si confrontano criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
2.2. Manifestamente infondato è il motivo in punto di trattamento sanzionatorio e di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Quanto a queste ultime il ricorso, in particolare, non si confronta con l’ampia motivazione offerta a scstegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche (pag. 6) negate in ragione dei precedenti penali dell’imputato e sul motivato rilievo che il fatto che l’imputato e il complice si siano spostati dal luogo di residenza per perpetrare il loro disegno criminoso denota un agire professionale che si rileva peraltro anche dal fatto che l’azione è stata svolta travisati ed utilizzando utenze cellulari non a loro direttamente intestate.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato, inoltre, è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto di avere valutato a tal fine, che la pena è stata determinata nel minimo edittale per il delitto consumato e poi dimezzata per il tentativo con una valutazione che i giudici di appello hanno dato atto di condividere stante il fatto che il tentativo, ben pianificato, è arrivato ad una fase avanzata.
L’onere motivatorio, pertanto, è pienamente adempiuto costituendo ius receptum che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo
edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di m2rito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Ed invero, il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Il che non è nel caso che ci occupa.
Il reato per cui, si procede non era prescritto all’atto dell’emanazione della sentenza impugnata, e non lo è nemmeno oggi, in quanto i reati per cui si procede, commessi nel novembre, non sono prescritti, atteso che ricadono sotto le previsioni della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019, data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla I. legge 27 settembre 2021, n. 134 ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado (cfr. sul punto Sez. U., n. 20989 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. Rv. 288175 – 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 07/10/2025