Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1154 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1154 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato ad AVELLINO il 18/10/1950 avverso la sentenza del 04/11/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la parte civile, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 4 novembre 2022 dalla Corte di appello di Napoli, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza
del Tribunale di Avellino, che aveva ritenuto COGNOME Giorgio responsabile del reato di atti persecutori, commesso in danno di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato avrebbe, con più condotte reiterate nel tempo, minacciato e molestato il COGNOME e la COGNOME, in modo tale da cagionare nelle persone offese un perdurante e grave stato di ansia e di paura nonché il fondato timore per la propria incolumità.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali.
Rappresenta che la Corte di appello, all’udienza del 4 novembre 2022, a istanza della parte civile, aveva acquisito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa a carico dell’imputato, nell’ambito di altro procediment:o penale.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non si sarebbe limitata a utilizzare l’ordinanza al solo fine della dimostrazione del mero dato formale dell’emissione, in una determinata data, del provvedimento cautelare, ma l’avrebbe utilizzata per la decisione, anche ai fine della dimostrazione del fatto storico in esso ricostruito. Infatti, a partire dalla pagina 5 della sentenza, la Cort territoriale avrebbe fatto riferimento ai reati oggetto di quell’ordinanza, che sarebbero «ancora sub iudice».
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 603 cod. proc. pen., avendo acquisito la suddetta ordinanza di custodia cautelare, senza disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, come le avrebbe imposto di fare la suddetta norma del codice di rito.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 157 cod. pen.
Rappresenta che, nel capo di imputazione, il reato risulta commesso dal 2011 fino al giugno 2015.
Tanto premesso, sostiene che la consumazione del reato dovrebbe essere retrodatata al 20 febbraio 2013, poiché tutti i fatti successivi avvenuti dopo tale data sarebbero oggetto di altro procedimento penale e, in particolare, di quello nell’ambito del quale era stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare sopra citata.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo e il secondo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, atteso che sono strettamente correlati tra loro – sono inammissibili, per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, sono generici, perché ii ricorrente non specifica né i fatti oggetto dell’ordinanza acquisita, né la concreta utilizzazione che la Corte di appello avrebbe fatto del provvedimento cautelare. Sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente si limita a rinviare genericamente alla pagina 5 della sentenza di appello, dove, però, non vi è alcun riferimento all’ordinanza di custodia cautelare.
I motivi sono generici anche perché il ricorrente non indica la presunta rilevanza che il dato probatorio desunto dall’ordinanza cautelare avrebbe assunto nella struttura della decisione della Corte di appello. Al riguardo, va ribadito che «nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identi convincimento» (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829).
Con particolare riferimento al secondo motivo, deve essere rilevato che esso è anche manifestamente infondato, atteso che, nel giudizio di appello, l’acquisizione di documenti può avvenire solo nel rispetto del principio del contraddittorio, ma non è subordinata alla pronuncia di un’ordinanza che disponga la rinnovazione parziale del dibattimento (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231676; Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, S., Rv, 280504).
1.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Invero, l’eventuale pendenza di altro procedimento, avente a oggetto alcuni dei fatti contestati nel presente processo, non avrebbe certamente l’effetto di retrodatare il tempus commissi delicti, ma semmai legittimerebbe il ricorso agli strumenti processuali che consentono di evitare la duplicazione delle pronunce (se l’altro procedimento, ad esempio, si trovasse ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero dovrebbe chiedere l’archiviazione in relazione ai fatti oggetto della sentenza oggi impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalle costituite parti civili, che vanno liquidate complessivamente in euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 24 novembre 2023.