Inammissibilità ricorso Cassazione: perché i motivi devono essere specifici
L’esito di un processo non dipende solo dalla fondatezza delle proprie ragioni, ma anche dal rigore con cui queste vengono presentate nelle sedi opportune. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la genericità e la ripetitività dei motivi di impugnazione portano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione. Questo caso offre uno spaccato chiaro su come la forma e la sostanza di un atto di appello siano inscindibili per ottenere una revisione del giudizio.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di una condanna confermata dalla Corte d’Appello di Roma, decideva di presentare ricorso per Cassazione. I suoi motivi di doglianza si concentravano su due punti principali:
1. Mancata applicazione dello stato di necessità: Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva errato nel non riconoscere la scriminante prevista dall’art. 54 del codice penale, omettendo di valutare circostanze che avrebbero giustificato la condotta dell’imputato.
2. Omessa applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: Si contestava inoltre il mancato riconoscimento dell’art. 131-bis c.p., sostenendo che il fatto, per le sue modalità, fosse di minima offensività e quindi non meritevole di sanzione penale.
Entrambi i motivi, tuttavia, sono stati giudicati dalla Suprema Corte non meritevoli di un esame nel merito.
La Decisione della Corte e l’Inammissibilità del Ricorso Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una multa di tremila euro. La decisione si articola sull’analisi di entrambi i motivi di ricorso, evidenziandone le medesime, fatali, carenze strutturali.
Il Primo Motivo: L’Assenza di un Confronto Critico
In relazione alla presunta violazione dell’art. 54 c.p., la Corte ha bollato il motivo come aspecifico e manifestamente infondato. Il ricorrente, infatti, non aveva instaurato un reale confronto con le argomentazioni complesse e dettagliate fornite dalla Corte d’Appello per escludere lo stato di necessità. Invece di criticare punto per punto il ragionamento del giudice di secondo grado, la difesa si era limitata a riproporre la propria tesi, ignorando di fatto la motivazione della sentenza impugnata. Questo atteggiamento viola il requisito di specificità dei motivi previsto dall’art. 591 c.p.p.
Il Secondo Motivo: La ‘Pedissequa Reiterazione’ degli Argomenti
Anche il secondo motivo, relativo all’art. 131-bis c.p., è stato respinto per ragioni analoghe. La Corte lo ha definito una “pedissequa reiterazione” di censure già sollevate in appello e puntualmente respinte. I giudici di legittimità hanno sottolineato che i motivi erano solo “apparenti”, in quanto non assolvevano alla funzione tipica di una critica argomentata avverso la sentenza. La Corte d’Appello aveva già spiegato congruamente perché la causa di non punibilità non fosse applicabile, e il ricorso non faceva altro che riproporre le stesse istanze senza aggiungere nuovi elementi di critica giuridica.
Le Motivazioni della Corte
Il cuore della decisione risiede in un principio cardine del processo di legittimità. Il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. È, invece, un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione della sentenza impugnata. Per questo motivo, non è sufficiente lamentare un errore, ma è necessario dimostrare, attraverso una critica puntuale e argomentata, dove e perché il giudice di merito ha sbagliato.
La Corte, citando precedenti consolidati, ha ribadito che un ricorso è inammissibile quando si limita a riproporre le stesse questioni già decise, senza confrontarsi specificamente con le ragioni addotte dal giudice precedente. Questa prassi, oltre a essere processualmente scorretta, appesantisce il sistema giudiziario con impugnazioni prive di reale contenuto critico. La sanzione dell’inammissibilità del ricorso in Cassazione e la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende servono proprio a scoraggiare tali pratiche.
Conclusioni
L’ordinanza in commento è un monito per ogni difensore. Per superare il vaglio di ammissibilità della Corte di Cassazione, un ricorso deve essere redatto con estremo rigore tecnico. È indispensabile abbandonare la mera riproposizione di tesi difensive già respinte e concentrarsi su una critica mirata e specifica della sentenza d’appello. Bisogna sezionare la motivazione del giudice, evidenziarne le eventuali contraddizioni, le violazioni di legge o i vizi logici. Solo un ricorso che svolge questa funzione critica può sperare di essere esaminato nel merito, evitando una declaratoria di inammissibilità che rende definitiva la condanna e comporta ulteriori oneri economici per l’imputato.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano generici, manifestamente infondati e si limitavano a ripetere argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza sviluppare una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata.
Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘aspecifico’?
Secondo l’ordinanza, un motivo è ‘aspecifico’ quando omette un effettivo confronto con la complessità delle ragioni di fatto e di diritto esposte nella sentenza impugnata, non rispettando così i requisiti richiesti dall’articolo 591, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito dell’inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46106 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a ROMA il 30/10/1982
avverso la sentenza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen., non è consentito in questa sede perché privo dei requisiti di cui all’art. 591, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. – in quanto aspecifico, omettendo un effettivo confronto con la complessità delle ragioni di fatto e di diritto addotte dalla Corte territoriale per ritenere insussistenti i presupposti per l’operatività della suddetta scrinninante -, oltre che manifestamente infondato;
che, infatti (come emerge dalle pagg. 2 e 3 della impugnata sentenza) la Corte territoriale ha adeguatamente motivato la mancata applicazione dell’art. 54 cod. pen., facendo corretta applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. Sez.2, n. 10694 del 30/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278520 – 01, già richiamata nella pronuncia impugnata; Sez. 2, n. 28067 del 26/03/2015, COGNOME Rv. 264560 – 01);
ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’omessa applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., non è consentito in questa sede, oltre che manifestamente infondato, risolvendosi nella pedissequa reiterazione di profili di censura già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso, nella cui parte motiva la Corte territoriale ha congruamente esplicato le ragioni a base del proprio convincimento circa l’impossibilità dell’operatività della causa di non punibilità de qua, confermandosi all’orientamento espresso da questa Corte (si veda in particolare pag. 3, là dove è richiamata la pronuncia, Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, COGNOME, Rv. 276096 – 01);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.