Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando i Motivi Generici Precludono la Prescrizione
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sulla procedura penale, evidenziando le gravi conseguenze derivanti dalla presentazione di un ricorso mal formulato. La Suprema Corte di Cassazione, con una decisione netta, chiarisce come l’inammissibilità ricorso cassazione non sia un mero tecnicismo, ma una barriera che impedisce l’analisi di questioni sostanziali, inclusa l’eventuale estinzione del reato per prescrizione. Analizziamo questo caso per comprendere i principi applicati e le loro implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. La condotta illecita si era protratta per diversi mesi, dal marzo al novembre 2016. A seguito della conferma della condanna da parte della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi e chiedendo, in via preliminare, di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione maturata nel corso del giudizio di legittimità.
I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte
Il ricorrente basava la sua difesa su tre argomentazioni principali:
1. Violazione di legge sull’esclusione della punibilità: Sosteneva l’errata applicazione dell’art. 131-bis c.p., ritenendo che il fatto dovesse essere considerato di particolare tenuità.
2. Vizio di motivazione: Contestava l’accertamento del reato da parte dei giudici di merito.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Lamentava il diniego delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis c.p.
La Corte di Cassazione ha rigettato in toto le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione ha avuto un effetto a cascata, precludendo anche la valutazione sulla richiesta di prescrizione.
L’Inammissibilità del Ricorso Cassazione per Abitualità della Condotta
Il primo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la reiterazione della condotta, protrattasi per un periodo continuativo e prolungato, integra l’abitualità. Tale abitualità è una causa ostativa esplicita al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato questo aspetto, rendendo la censura del ricorrente un’interpretazione in palese contrasto con la norma.
Genericità delle Censure e Divieto di Rivalutazione dei Fatti
Anche il secondo e il terzo motivo sono stati considerati inammissibili. La Suprema Corte ha osservato che le critiche sollevate non erano vere e proprie violazioni di legge, ma mere doglianze di fatto. Il ricorrente, in sostanza, chiedeva alla Cassazione una nuova valutazione delle prove, un’attività che non rientra nelle competenze del giudice di legittimità. Le sentenze precedenti avevano adeguatamente motivato sia la sussistenza del reato (basandosi su prove documentali come i modelli DM10 inviati all’INPS dall’azienda stessa) sia il diniego delle attenuanti generiche (evidenziando l’assenza di qualsiasi elemento positivo o iniziativa dell’imputato per sanare la propria posizione).
Le Motivazioni della Suprema Corte
Il punto cruciale della decisione risiede nel principio, più volte affermato dalle Sezioni Unite, che lega l’inammissibilità del ricorso all’impossibilità di dichiarare la prescrizione. La Corte spiega che un ricorso inammissibile non instaura un valido rapporto processuale di impugnazione. Di conseguenza, il giudice di legittimità non ha il potere di esaminare il merito della vicenda, e ciò include la verifica di cause di estinzione del reato come la prescrizione.
La presentazione di un ricorso con motivi non consentiti dalla legge o manifestamente infondati, quindi, non solo non produce gli effetti sperati, ma cristallizza la decisione impugnata, rendendola definitiva. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie sussistessero profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un monito fondamentale per la difesa tecnica. L’inammissibilità ricorso cassazione non è un esito da sottovalutare. Dimostra che l’impugnazione deve essere fondata su vizi specifici e pertinenti al giudizio di legittimità, evitando di riproporre questioni di fatto già decise nei gradi di merito. La conseguenza più grave, come illustrato nel caso in esame, è la preclusione della possibilità di far valere cause di estinzione del reato potenzialmente favorevoli all’imputato, come la prescrizione. La sentenza di condanna diventa così irrevocabile, con l’aggiunta di ulteriori oneri economici per il ricorrente.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono manifestamente infondati, generici, non consentiti dalla legge (come la richiesta di una nuova valutazione delle prove), oppure ripropongono censure già adeguatamente esaminate e respinte dal giudice precedente senza introdurre nuove criticità.
Se il reato si prescrive durante il giudizio in Cassazione, la Corte può dichiararne l’estinzione?
No, se il ricorso presentato è inammissibile. Secondo un principio consolidato, l’inammissibilità del ricorso impedisce alla Corte di esaminare qualsiasi questione nel merito, inclusa la maturazione della prescrizione, poiché non si instaura un valido rapporto di impugnazione.
Perché una condotta illecita protratta nel tempo impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Perché una condotta reiterata e prolungata integra il presupposto dell'”abitualità”, che è una delle condizioni ostative espressamente previste dall’art. 131-bis del codice penale per l’applicazione di tale beneficio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5949 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5949 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CASERTA NOME nato a ATRIPALDA il 04/08/1978
avverso la sentenza del 16/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che Caserta NOME, condannato per il reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2 D.L. 463/1983 e succ. mod. alla pena di tre mesi di reclusione e di 500,00 euro di multa, articolando tre motivi di ricorso, richied dichiararsi la prescrizione maturata nelle more del presente giudizio (sul punto le argomentazioni sono sviluppate anche mediante memoria), e deduce violazione di legge in riferimento all’art. 131-bis c.p., in punto di ritenuta insussisten dei presupposti per l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (primo motivo), nonché violazion legge in relazione all’accertamento del reato (secondo motivo); nonché ancora violazione di legge in relazione all’art 62-bis, con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche (terzo motivo);
Considerato che il primo motivo espone censure manifestamente infondate, configurandosi la prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, quanto la Corte d’appello ha spiegato in modo corretto perché il fatto non può ritenersi di particolare tenui evidenziando, in particolare, che la reiterazione della condotta, siccome protratta per un periodo continuativo prolungato, dal marzo al novembre 2016, integra l’abitualità ostativa al riconoscimento della fattispecie di cui all 131-bis c. p.;
Osservato che il secondo motivo espone censure non consentite dalla legge in sede di legittimità, poiché le stesse sono costituite da mere doglianze in punto di fatto e riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliat disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non scanditi da specifica criticità delle argomentaz base della sentenza impugnata, nonché, volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fon probatorie estranea al sindacato di legittimità, ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisament emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, giacché la sentenza impugnata ha correttamente spiegato perché deve ritenersi provata la corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori, in quanto fondata specificamente sui modelli D 10 inviati proprio dall’azienda dell’imputato all’INPS (cfr., per identiche conclusioni, tra le tante, Sez. 3, n. 286 24/09/2020, Rv. 280089 – 01);
Reputato che il terzo motivo espone anch’esso censure non consentite dalla legge in sede di legittimità, poiché costituite da mere doglianze in punto di fatto, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattes corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non scanditi da specifica criticità delle argomentazioni a base sentenza impugnata, nonché, volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie estran al sindacato di legittimità, ed avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processua valorizzate dai giudici di merito, posto che il giudice di secondo grado ha rilevato come non sussistano elementi di segno positivo in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, anche per l’assenza di qualunque iniziativa dell’imputato al fine di regolarizzare la propria posizione;
Osservato la richiesta di dichiarazione di estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione (siccome sarebbe maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata), è manifestamente infondata, in quanto, come più volte enunciato dalle Sezioni Unite, l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di pronunciare, ai sensi degli artt. 129 comma 2 c.p.p., l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non essendosi formato un valido rapporto di impugnazione e non rivestendo l’art. 129 c.p.p. valenza prioritaria rispetto alla disciplina dell’inammissibilità (cf tutte, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01, e Sez. U, n. 32 del 22/11/2020, D.L., Rv. 217266 – 01);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.