Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22498 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22498 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/12/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 10 dicembre 2024 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 12 gennaio 2021 con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione ed euro 1.800,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due distinti motivi: violazione di legge per mancata declaratoria dell’intervenuta estinzione del reato in data 6 gennaio 2024, perciò prima della pronuncia della sentenza di appello (10 dicembre 2024); erronea applicazione di legge, nonché carenza e illogicità della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento in suo favore della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Manifestamente infondata, in primo luogo, è l’introduttiva censura, non essendo maturato il termine di prescrizione del reato anteriormente alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, infatti, la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale ex art. 99, comma 4, cod. pen. – nella specie contestata all’imputato – rileva, ai fini del termine di prescrizione, tanto i ordine al computo del termine ex art. 157 cod. pen., comportando un aumento pari a due terzi, quanto in merito agli effetti dell’interruzione, determinando un ulteriore aumento di due terzi, così da portare il limite edittale, nel caso i esame, a undici anni e quaranta giorni di reclusione, quindi ben oltre la data di emissione della sentenza impugnata.
2.2. In ordine, poi, alla seconda doglianza, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la motivazione resa dalla Corte di merito (cfr. pp. 1 e s.) in replica alle analoghe doglianze dedotte con l’atto di appello, di fatto reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è
innanzitutto e indefettibilimente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della decisione impugnata, per ciò
solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo
grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una
presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n.
27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME,
Rv. 243838-01).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2025
Il Consigliere estensore
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Il FJrsidente