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Inammissibilità ricorso Cassazione: motivi generici

Un’ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce l’inammissibilità del ricorso per motivi generici e ripetitivi. Il caso riguarda una condanna per furto aggravato, dove il ricorrente lamentava la mancanza di querela e l’errata qualificazione del reato come consumato anziché tentato. La Corte ha rigettato il ricorso, sottolineando che l’atto di impugnazione deve contenere una critica argomentata e specifica alla sentenza impugnata, non una mera riproposizione dei motivi d’appello. Questa decisione ribadisce il principio fondamentale sull’inammissibilità ricorso cassazione per carenza di specificità.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando i Motivi sono Troppo Generici

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel diritto processuale penale: l’inammissibilità ricorso cassazione quando i motivi presentati sono generici e si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello. Questa decisione offre uno spunto fondamentale per comprendere la funzione dell’impugnazione e i requisiti necessari per un suo efficace esperimento.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale e parzialmente riformata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato riconosciuto colpevole del reato di furto aggravato (artt. 624 e 625 c.p.), con la rideterminazione della pena a quattro mesi di reclusione e 110 euro di multa. La Corte d’Appello aveva ritenuto assorbito nel furto un’altra ipotesi di reato, quella di danneggiamento.

Contro questa decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due censure principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha articolato il suo ricorso su due distinti motivi:

1. Improcedibilità del reato: Si sosteneva la mancanza di una querela valida, atto indispensabile per procedere legalmente per il reato contestato.
2. Errata configurazione del fatto: Si contestava la qualificazione del reato come consumato, sostenendo che le circostanze avrebbero dovuto condurre a una condanna per tentato furto.

Queste doglianze miravano a demolire l’impianto accusatorio e la sentenza di condanna dei giudici di merito.

L’Analisi della Corte: L’Inammissibilità del Ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, esaminando e respingendo entrambi i motivi con argomentazioni nette e basate su principi consolidati.

Per quanto riguarda la prima censura, relativa alla mancanza di querela, i giudici l’hanno definita manifestamente infondata. Dagli atti processuali, infatti, emergeva chiaramente un verbale redatto dai Carabinieri in cui la persona offesa aveva sporto “formale denuncia/querela”, chiedendo espressamente la punizione dei responsabili.

La seconda doglianza, invece, è stata ritenuta inammissibile per una ragione di carattere prettamente processuale. La Corte ha osservato che il motivo non era deducibile in sede di legittimità, poiché si limitava a reiterare le medesime considerazioni critiche già espresse nell’atto di appello, senza confrontarsi con la motivazione della Corte territoriale. Quest’ultima aveva già congruamente spiegato le ragioni per cui si era verificato un autonomo impossessamento della refurtiva da parte dell’imputato, configurando così un furto consumato.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte Suprema si fonda su un principio cardine del sistema delle impugnazioni. La funzione tipica di un atto di impugnazione, che sia un appello o un ricorso per cassazione, è quella di svolgere una critica argomentata avverso il provvedimento che si contesta. Tale critica, per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità (ai sensi degli artt. 581 e 591 c.p.p.), deve indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che la sostengono.

In altre parole, non è sufficiente lamentare genericamente una carenza o un’illogicità della motivazione. È necessario, invece, un confronto puntuale e critico con le argomentazioni del giudice del grado precedente. Riprodurre pedissequamente i motivi già respinti, senza confutare le ragioni della reiezione, svuota il ricorso della sua funzione e lo destina inevitabilmente all’inammissibilità.

La Corte richiama la sua stessa giurisprudenza consolidata, secondo cui “è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato”.

Le Conclusioni

La decisione in commento si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Al di là dell’esito del caso specifico, questa ordinanza rappresenta un monito importante: il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di merito, ma un giudizio di legittimità. Per questo, i motivi devono essere specifici, pertinenti e devono dialogare criticamente con la sentenza impugnata. Un ricorso generico o meramente ripetitivo non solo è destinato al fallimento, ma comporta anche ulteriori conseguenze economiche per il proponente.

Quando un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è inammissibile quando si limita a riprodurre e reiterare gli stessi motivi già presentati in appello, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati dalla corte di secondo grado per respingerli.

È sufficiente riproporre gli stessi motivi dell’appello nel ricorso per cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione chiarisce che la funzione dell’impugnazione è quella di una critica argomentata. La mera riproposizione dei motivi, senza una critica puntuale alla motivazione della sentenza impugnata, porta all’inammissibilità del ricorso.

Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Come conseguenza dell’inammissibilità del ricorso, la legge prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso 3.000,00 euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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