LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inammissibilità ricorso Cassazione: motivi generici

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso presentato da un’imputata condannata per truffa. La decisione si fonda sulla genericità dei motivi, che si limitavano a riproporre questioni di fatto già valutate nei gradi di merito, senza una critica argomentata della sentenza d’appello. La sentenza ribadisce che l’inammissibilità del ricorso in Cassazione scatta quando l’impugnazione non svolge la sua funzione critica ma si risolve in una sterile reiterazione di doglianze già respinte.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso Cassazione: quando i motivi sono troppo generici

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34526 del 2024, offre un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi, sottolineando come la genericità e la ripetitività dei motivi portino inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso in cassazione. Questo principio è fondamentale per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e per strutturare un’impugnazione efficace. Analizziamo il caso di specie, relativo a una condanna per truffa, per capire le ragioni dietro la decisione della Suprema Corte.

La vicenda processuale: dalla condanna per truffa al ricorso

Il caso ha origine da una condanna per il reato di truffa, confermata sia in primo grado dal Tribunale di Rovereto sia in secondo grado dalla Corte di appello di Trento. L’imputata era stata ritenuta responsabile di aver partecipato a una truffa online legata alla vendita di un’autovettura. In particolare, una parte del denaro versato dalle vittime era confluita su una carta di pagamento intestata a lei.

Contro la sentenza d’appello, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, articolando diversi motivi, tra cui:
* Violazione di legge e vizio di motivazione sulla riconducibilità dei fatti all’imputata.
* Errata applicazione della recidiva qualificata.
* Mancato riconoscimento dell’attenuante della minima partecipazione al reato (art. 114 c.p.).
* Diniego della prevalenza delle attenuanti generiche e pena eccessiva.

I motivi del ricorso e la dichiarata inammissibilità in Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in toto, ritenendo i motivi proposti non solo generici, ma anche una mera riproposizione delle argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte di appello. Questo è un punto cruciale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti e le prove. La sua funzione è quella di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Quando un ricorso si limita a ripetere le stesse doglianze, senza confrontarsi criticamente e specificamente con le ragioni esposte dal giudice d’appello, perde la sua funzione tipica e diventa un atto meramente apparente. In questo caso, i giudici hanno evidenziato come tutti i motivi sollevati attenessero al merito della vicenda e implicassero una rivalutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha esaminato punto per punto le censure difensive, evidenziandone l’infondatezza e la genericità.

1. Riconducibilità della condotta: La Corte d’appello aveva logicamente desunto la partecipazione della ricorrente alla truffa da elementi fattuali precisi: era intestataria della carta, l’aveva attivata e aveva denunciato il suo smarrimento solo molto tempo dopo l’accredito illecito. La Cassazione ha ritenuto questa motivazione esauriente e priva di vizi logici.

2. Recidiva: La decisione di applicare la recidiva reiterata e qualificata era stata correttamente motivata sulla base dei precedenti penali specifici dell’imputata per reati contro il patrimonio, indicativi di una maggiore pericolosità sociale.

3. Minima partecipazione: È stato negato il riconoscimento dell’attenuante ex art. 114 c.p. perché il ruolo dell’imputata non era stato marginale. Aver fornito e attivato la carta su cui far confluire il profitto del reato è stata considerata una condotta essenziale e non trascurabile nell’economia generale del crimine.

4. Trattamento sanzionatorio: Anche la determinazione della pena è stata giudicata adeguatamente motivata, calibrata sugli elementi dell’art. 133 c.p. (gravità del fatto e capacità a delinquere), e non arbitraria.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per superare il vaglio di ammissibilità, il ricorso per cassazione deve contenere una critica argomentata e specifica della sentenza impugnata. Non è sufficiente riproporre le medesime questioni già decise, ma è necessario evidenziare in modo puntuale i vizi di legge o di logica in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado. Questa decisione serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi tecnicamente precisi, evitando di trasformare il giudizio di cassazione in un tentativo di riesame del merito, destinato all’insuccesso e alla condanna al pagamento delle spese processuali.

Quando un ricorso per cassazione viene considerato generico e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico quando si risolve in una pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del caso?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può effettuare una nuova valutazione delle prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e l’assenza di vizi logici evidenti nella motivazione della sentenza impugnata.

In un concorso di persone nel reato, quando si può ottenere l’attenuante della minima partecipazione (art. 114 c.p.)?
Secondo la sentenza, per l’integrazione di tale attenuante non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata rispetto a quella degli altri concorrenti, ma è necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, con un’efficacia causale così lieve da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati