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Inammissibilità ricorso Cassazione: motivi generici

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso per falsa testimonianza, evidenziando come la riproposizione di motivi generici e già trattati non sia ammissibile in sede di legittimità. La decisione sottolinea l’impossibilità di una nuova valutazione dei fatti e condanna la ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, confermando l’importanza di formulare censure specifiche contro la sentenza impugnata.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso Cassazione: quando i motivi sono troppo generici

L’accesso alla Corte di Cassazione, ultimo grado del sistema giudiziario italiano, è soggetto a regole precise che ne delimitano il perimetro di intervento. Non ogni doglianza può essere esaminata: il ricorso deve presentare censure specifiche e pertinenti, evitando di trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Una recente ordinanza della Suprema Corte offre un chiaro esempio di inammissibilità del ricorso in Cassazione, ribadendo principi consolidati in materia di genericità dei motivi e di limiti del giudizio di legittimità.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna per il reato di falsa testimonianza. L’imputata, dopo la conferma della sentenza in secondo grado da parte della Corte d’Appello, decideva di proporre ricorso per Cassazione. La difesa lamentava un presunto errore di fatto e un difetto di motivazione da parte dei giudici d’appello, sostenendo che la valutazione delle prove fosse stata errata.

In particolare, il ricorso si concentrava sulla presunta infondatezza delle critiche mosse alla testimonianza resa dall’imputata, ritenuta dai giudici di merito assolutamente inconciliabile con la versione dei fatti descritta dagli agenti operanti e con le stesse dichiarazioni spontanee rese in precedenza dalla donna.

La Decisione: la netta dichiarazione di inammissibilità del ricorso Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputata, ma si ferma a un livello procedurale, stabilendo che il ricorso non aveva i requisiti per essere esaminato.

Di conseguenza, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale per i casi di rigetto o inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri fondamentali della procedura penale che regolano il giudizio di legittimità.

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché riproponeva questioni già affrontate e respinte con adeguata motivazione dalla Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno osservato che la sentenza di secondo grado aveva motivato in modo congruo e puntuale su tutti i punti sollevati dalla difesa, evidenziando le contraddizioni insanabili nella narrazione dell’imputata. Il ricorso in Cassazione si limitava a ripresentare la medesima prospettazione di parte, senza un confronto effettivo e critico con le argomentazioni della sentenza impugnata. Questo atteggiamento processuale trasforma il ricorso in un tentativo, non consentito, di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato la genericità delle doglianze. I motivi formulati, secondo i giudici, denunciavano solo in apparenza un errore logico o giuridico. In realtà, miravano a contestare l’apprezzamento delle prove operato dal giudice di merito, attività che è preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti, ma solo verificare che la motivazione di questi ultimi sia logica, coerente e non viziata da errori di diritto. Come richiamato nell’ordinanza (citando la sentenza n. 44882 del 2014), un ricorso è inammissibile quando le censure sono generiche e non si confrontano specificamente con la decisione impugnata.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: per accedere al giudizio della Corte di Cassazione non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione di merito. È necessario formulare censure specifiche, che individuino un preciso vizio di legge o un’evidente illogicità nella motivazione della sentenza impugnata. La semplice riproposizione delle stesse argomentazioni difensive già esaminate e rigettate in appello, senza un’analisi critica della decisione di secondo grado, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione. La decisione serve da monito sull’importanza di redigere ricorsi tecnicamente impeccabili, focalizzati sui vizi consentiti dalla legge, per evitare non solo il rigetto dell’impugnazione, ma anche la condanna a sanzioni pecuniarie.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva questioni già adeguatamente motivate e respinte dalla Corte d’Appello, presentando motivi generici che non si confrontavano specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione opera come giudice di legittimità. Il suo compito non è rivalutare le prove o i fatti (valutazioni di merito), ma controllare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze dei giudici dei gradi precedenti.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base all’ordinanza esaminata e all’art. 616 c.p.p., la parte il cui ricorso viene dichiarato inammissibile è condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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