Inammissibilità ricorso Cassazione: quando i motivi sono troppo generici
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi e sul calcolo della prescrizione. La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità ricorso Cassazione presentato da un imputato, confermando la decisione della Corte d’Appello. Questa pronuncia sottolinea un principio fondamentale del nostro sistema processuale: i motivi di impugnazione devono essere specifici e non possono limitarsi a una generica riproposizione di argomenti già esaminati e respinti nei gradi precedenti.
I Fatti del Processo
Il caso origina da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che aveva confermato la responsabilità penale di un individuo per diversi reati, determinando la relativa pena. L’imputato, tramite il suo difensore, sollevava diverse questioni, tra cui la presunta violazione di legge e il vizio di motivazione in merito sia all’affermazione di colpevolezza sia alla mancata declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’Inammissibilità del Ricorso
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La ragione principale risiede nella mancanza di specificità dei motivi addotti. Secondo i giudici, le argomentazioni della difesa erano fondate su “generici argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame”.
La Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale, l’inammissibilità deriva dalla “mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione”. In altre parole, un ricorso non può essere una semplice ripetizione, ma deve confrontarsi criticamente e in modo puntuale con la motivazione della sentenza che si intende contestare.
Le Motivazioni: Prescrizione e Recidiva
Un punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’eccezione di prescrizione. La difesa sosteneva che i reati, commessi fino al 25 ottobre 2012, fossero ormai estinti. La Cassazione ha smentito questa tesi con un’analisi dettagliata del calcolo dei termini.
Prendendo in esame il reato più grave (minaccia finalizzata a una tentata estorsione), che prevede un termine base di sei anni e otto mesi, la Corte ha applicato le maggiorazioni dovute a due fattori chiave:
1. Recidiva reiterata: La presenza di questa aggravante ha comportato un aumento di due terzi del termine base, portandolo a dieci anni (ai sensi degli artt. 157 e 99 c.p.).
2. Atti interruttivi: L’esistenza di atti che hanno interrotto il corso della prescrizione ha determinato un ulteriore aumento di due terzi, portando il termine finale a sedici anni e otto mesi (art. 161 c.p.).
Considerando che il reato si è consumato nell’ottobre 2012, il termine di prescrizione di 16 anni e 8 mesi non era ancora decorso alla data della sentenza d’appello (aprile 2023), né tantomeno a quella della decisione della Cassazione (marzo 2024).
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento ribadisce due principi di fondamentale importanza pratica. In primo luogo, un ricorso per cassazione, per superare il vaglio di ammissibilità, deve essere redatto con estrema specificità, evitando di riproporre in modo acritico le medesime doglianze già respinte in appello. È necessario un confronto diretto e puntuale con le argomentazioni della sentenza impugnata. In secondo luogo, il calcolo della prescrizione è un’operazione complessa che deve tenere conto di tutte le variabili, come la recidiva e gli atti interruttivi, che possono estendere significativamente i termini ordinari. La decisione serve da monito sulla necessità di una difesa tecnica e approfondita in ogni fase del procedimento penale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici e non specifici. Si limitavano a riproporre argomenti già esaminati e rigettati dalla Corte d’Appello, senza instaurare una critica puntuale e pertinente con la motivazione della sentenza impugnata.
Il reato contestato era prescritto al momento della decisione?
No, il reato non era prescritto. La Corte di Cassazione ha calcolato che il termine di prescrizione, considerando il reato più grave e tenendo conto delle aggravanti come la recidiva reiterata e degli atti interruttivi, era di 16 anni e 8 mesi. Tale periodo, a partire dalla data di commissione del reato (fino al 25/10/2012), non era ancora trascorso.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile?
In base a quanto deciso nell’ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14545 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14545 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
STILE NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della Corte d’appello di Napoli dato avviso alle parti;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO‘ difensore di RAGIONE_SOCIALE, il quale, dopo avere ribadito i motivi di ricorso, si è riportato alle conclusioni dello stesso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE;
ritenuto che tutti i motivi di ricorso, con i quali si deduce la violazione di legg e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato per i delitti contestati e alla determinazione della pena nonché per la mancata declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, sono privi di specificità perché fondati su generici argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravarne con motivazione esente da vizi logici e giuridici (si vedano le pagg. 4-6);
che, invero, la mancanza di specificità dei motivi, dalla quale, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., deriva l’inammissibilità, si desume dalla mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione;
che i reati, i quali sono stati contestati come commessi «fino al 25/10/2012», non risultano essersi prescritti, tanto meno alla data della sentenza di appello;
che, infatti, considerando il reato di minaccia (per quello di tentata estorsione è previsto il più lungo termine prescrizionale di sei anni e otto mesi), tenuto conto della ritenuta recidiva reiterata, esso si prescrive in 16 anni e 8 mesi (sei anni + due terzi ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, secondo comma, e 99, quarto comma, cod. pen. = dieci anni + due terzi, per la presenza di atti interruttivi, ai sensi dell’art. 161, secondo comma, cod. pen. = 16 anni e 8 mesi);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 6 marzo 2024.