Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36042 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36042 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MOLA DI BARI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE di APPELLO di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ;
ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Bari ha parzialmente riformato la condanna dell’imputato per il reato di usura, escludendo la continuazione, riducendo la pena, concedendo all’imputato la sospensione condizionale della pena e revocando le statuizioni civili.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione la difesa de ll’imputato, formulando due motivi.
2.1. Innanzitutto, si lamentano (sotto l’egida dell’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) indistintamente tutti i vizi motivazionali con riferimento alle
dichiarazioni rese dalle parti civili nel dibattimento nonché con riferimento alla comparazione delle relazioni dei consulenti. Si lamenta ( ex art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.), inoltre, la violazione di legge sia in relazione all’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato al proprio consulente (art. 62 cod. proc. pen.) che con riferimento al mancato contributo conoscitivo da parte dell’imputato, restato estraneo al processo ( artt. 208 e 490 cod. proc. pen.).
2.2. Con il secondo motivo si lamenta il vizio motivazionale (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) in relazione alle circostanze del reato di usura, la cui sussistenza è contestata dall’imputato. La Corte, sul punto, non ha speso alcuna considerazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per distinte ragioni.
1.1. Il primo motivo è aspecifico e versato sul fatto.
In violazione delle prescrizioni codicistiche, così come interpretate costantemente da questa Corte, il motivo è innanzi tutto generico, costituendo sostanzialmente la riproduzione del cahier de doléances presentato alla Corte d’appello; in tale ipotesi, le censure appaiono ripetitive, aspecifiche e, in definitiva, soltanto apparenti, giacché omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425 – 01). In conclusione, il motivo, privo della specificità prescritta dall’art. 581, lett. c), è inammissibile in relazione all’art. 591, lett. c), cod. proc. pen.
E tale prescrizione si invera, nel caso specifico, poiché nella sentenza d’ appello, dopo aver fatto puntuale riferimento ai rilevanti passaggi della sentenza di primo grado, si replica all’analogo motivo d’appello in tema di responsabilità, evidenziando (pg. 6 e seg.) le ragioni che impongono la considerazione e la adozione, in via esclusiva, in tema di carattere usurario dell’obbligazione assunta da NOME COGNOME (e poi, per nemesi familiare, andata a gravare anche sui figli NOME e NOME), delle sole conclusioni della consulente COGNOME, svalutando quelle della consulente della difesa (COGNOME). Si tratta di ragioni (la autoreferenzialità dell’elaborato , l ‘ assenza di riscontri, il sistematico ricorso alla allegazione non verificabile perché proveniente da chi -legittimamente, ma non senza portarne le conseguenze: cuius commoda, eius et incommoda -si è sempre sottratto al confronto ed ancor prima a fornire la propria versione) del tutto congrue che non possono essere in questa sede censurate.
Val la pena ricordare che, nella fattispecie, si è innanzi ad una c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità per il reato contestato, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Appare del tutto congruo il ragionamento strutturato nella motivazione, poiché si fonda sulla prova documentale, interpretata alla luce delle conclusioni della relazione del consulente del Pubblico Ministero, la quale trova puntuale addentellato e riscontro nelle deposizioni delle persone offese e non viene smentito dalla deposizione del teste AVV_NOTAIO.
E se è vero che la motivazione non si sofferma a confutare ogni aspetto della rilettura delle dichiarazioni dei testi a carico, oggetto dell’atto di appello, ciò è dovuto alla complessiva valutazione di tenuta delle prove, alla luce dell’essenza incontrovertibile delle deposizioni (in particolare dei due figli della persona offesa), così come sunteggiata a pg. 9, nonché della osservazione -sulla quale non viene spesa da parte della difesa alcuna considerazione, nonostante la indiscutibile centralità dell’a rgomento -della insussistenza di rapporti, tra l’imputato e la persona offesa e i suoi figli, idonei a giustificare in un qualche modo il flusso di denaro, da una parte all’altra, negli anni 2006 -2009.
Il motivo di ricorso, pertanto, più che formulare una critica ex art. 606, comma 1, l ett. e) cod. proc. pen., ‘ritorna’ sul giudizio di merito, proponendo ricostruzioni alternative, ma senza riuscire ad elevare o spostare la critica dal fatto alla legittimità. Sintomatica di tale erronea impostazione del motivo, è l’indicazione promiscua e cumulativa, nella rubrica, di tutti i vizi di motivazione, indice di genericità del motivo di ricorso e, in definitiva, ‘segno’ della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi (cfr., ex multis , Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 – 01).
1.2. Il secondo motivo è del tutto generico per le carenti modalità di formulazione dello stesso.
1.2.1. È stato infatti affermato, con orientamento che oramai costituisce ius receptum di questa Corte, anche alla luce del maggior rigore richiesto per la formulazione delle impugnazioni a seguito della introduzione, prima, della c.d. ‘Riforma Orlando ‘ nel 2017 e, in seguito, della c.d. ‘Riforma Cartabia’ nel 2022, che, per l’impugnazione di un punto autonomo della decisione gravata, sia necessaria, ex art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (prescrizione da
rispettare a pena di inammissibilità ex art. 591 cod. proc. pen.), la proposizione del motivo attraverso la deduzione di una specifica e autonoma richiesta (Sez. 2, n. 21432 del 15/03/2023, I., Rv. 284718 – 01). Questo è, infatti, il significato della nuova formulazione del citato articolo, che richiede, in relazione alla questione ora in trattazione, ‘ l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità: a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; … c) delle richieste … d) dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.
1.2.2. Risulta pertanto chiarito che, ai sensi della predetta disposizione, tutte le richieste debbano avere forma specifica a pena di inammissibilità e che, rispetto ad ogni capo o punto della decisione oggetto di gravame, l’impugnante, sia in fase di proposizione dell’appello che in sede di ricorso per cassazione, deve formulare una specifica ed autonoma richiesta, non potendo il singolo motivo affastellare e cumulare doglianze separate aventi ad oggetto punti autonomi della decisione. E da ciò consegue affermare che è inammissibile il motivo di impugnazione formulato in relazione ad un punto autonomo della decisione gravata che non sia formulato attraverso la proposizione di un’autonoma e specifica richiesta.
In particolare, nel caso specifico, in relazione al secondo motivo, non al capo della decisione, bensì al punto deve farsi riferimento, cioè a ciascuna statuizione, suscettibile di autonoma considerazione e necessaria per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, in motivazione). Così, all’interno dell’unico capo riferito al reato di usura, contestato all’imputato, si riconoscono una pluralità di punti, inerenti alla affermazione di responsabilità, alla determinazione della pena ed alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla prevalenza sulle aggravanti contestate, al minimo aumento per la continuazione ed, infine, alla concessione della sospensione condizionale della pena, oltre che alla provvisionale, aspetto poi superato dalla revoca della costituzione di parte civile.
1.2.3. Ebbene, a fronte di questa ricostruzione, si riscontra nel caso concreto che la necessaria formulazione della contestazione è stata totalmente carente nell’atto di appello, ove il motivo attinente alle aggravanti non ha alcuno specifico ed autonomo rilievo, né è elaborato oltre la generica allegazione in un motivo pluricomprensivo, che mirava ad una generica attenuazione del trattamento sanzionatorio attraverso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in prevalenza sulle aggravanti contestate ovvero la esclusione di queste ultime.
Né vale contestare che la genericità della allegazione difensiva trovi la propria giustificazione nella mancata elaborazione del punto in primo grado. Va infatti evidenziato che la conferma della imputazione da parte del giudice di primo grado, anche negli aspetti circostanziali, affrontati e risolti in senso affermativo a pg. 5, non ha richiesto una specifica elaborazione motivazionale, dato che la stessa difesa nelle proprie conclusioni, così come trascritte nella intestazione della sentenza, si era limitata a formulare conclusioni assolutorie (eventualmente con ricorso alla ‘formula dubitativa’) senza spingersi ad elaborare ulteriormente in merito al trattamento sanzionatorio.
1.2.4. Ne consegue, pertanto, che tale doglianza risulta inammissibile in quanto irritualmente proposta già in appello, essendo principio incontestato che la causa di inammissibilità possa essere dichiarata ora per allora. Infatti, l’inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità dei motivi può essere rilevata anche in cassazione ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen. e che, per altro verso, deve ritenersi inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine , in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez 6, n. 47722 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265878 – 01; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157 – 01).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 ottobre 2025
Il Consigliere relatore Il Presidente
NOME NOME COGNOME