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Inammissibilità ricorso Cassazione: motivi generici

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso contro una condanna per spaccio di lieve entità. I motivi, incentrati su uso personale, particolare tenuità del fatto e trattamento sanzionatorio, sono stati giudicati generici e riproduttivi di censure già adeguatamente respinte nei gradi di merito, senza una critica specifica alla sentenza impugnata. L’analisi sottolinea che l’inammissibilità del ricorso in Cassazione è una conseguenza diretta della mancanza di specificità e novità nelle doglianze presentate.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando i Motivi sono Generici

La Suprema Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: la specificità dei motivi di ricorso. Quando un appello si limita a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, senza una critica puntuale alla decisione impugnata, la conseguenza è netta: l’inammissibilità del ricorso in Cassazione. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e l’importanza di una difesa tecnica e mirata.

I Fatti del Caso

Il ricorrente era stato condannato in giudizio abbreviato alla pena di otto mesi di reclusione e 1066 euro di multa per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. La sostanza in questione era marijuana, sequestrata in una quantità corrispondente a oltre 180 dosi medie singole. Contro la sentenza della Corte d’Appello, che confermava la condanna, la difesa proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso e l’Inammissibilità in Cassazione

La difesa articolava il ricorso su tre punti principali, sostanzialmente identici in due distinti atti proposti da due diversi legali:

1. Mancato riconoscimento dell’uso personale: Si sosteneva che la sostanza stupefacente fosse destinata esclusivamente all’uso personale e non allo spaccio.
2. Omesso rilievo della particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., data la presunta minima offensività della condotta.
3. Trattamento sanzionatorio: Si contestava la conferma della pena, ritenuta eccessiva, il riconoscimento della recidiva e il diniego delle attenuanti generiche.

La Corte di Cassazione ha giudicato tutti i motivi inammissibili. La ragione di fondo risiede nel fatto che le argomentazioni proposte non erano altro che una sterile riproduzione di censure già esaminate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La decisione della Corte si basa su una logica procedurale rigorosa. Il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito, ma un giudizio di legittimità. Il suo scopo non è rivalutare i fatti, ma controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato in modo logico e non contraddittorio le loro decisioni.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva già spiegato, con argomenti giuridici corretti e non illogici, perché la destinazione allo spaccio fosse provata da indizi gravi, precisi e concordanti. Aveva inoltre motivato l’impossibilità di riconoscere la particolare tenuità del fatto, considerando la rilevante quantità di droga detenuta (oltre 180 dosi) e la natura abituale del comportamento. Infine, aveva giustificato la pena inflitta, di poco superiore al minimo, in relazione a un grave precedente non troppo lontano nel tempo.

I ricorsi presentati, secondo la Suprema Corte, non hanno mosso una critica specifica e puntuale a queste motivazioni. Si sono limitati a riproporre le stesse tesi difensive, senza spiegare dove e perché la Corte d’Appello avesse sbagliato nel suo ragionamento giuridico. Questa genericità e riproduttività delle doglianze rende il ricorso inidoneo a innescare un vero controllo di legittimità, portando inevitabilmente alla sua inammissibilità.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione sottolinea una lezione cruciale per ogni difensore: un ricorso per Cassazione non può essere una semplice riproposizione delle proprie tesi. Deve invece consistere in un’analisi critica e tecnica della sentenza impugnata, individuandone i vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti di motivazione) in modo chiaro e specifico. In assenza di tale specificità, l’esito più probabile è una declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione, con conseguente aggravio di spese per l’assistito.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici e si limitano a riprodurre censure già adeguatamente vagliate e respinte dal giudice di merito, senza muovere una critica specifica alle argomentazioni della sentenza impugnata.

È sufficiente non essere d’accordo con la valutazione dei fatti del giudice d’appello per ricorrere in Cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione non riesamina i fatti. Il ricorso deve evidenziare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza precedente, non un semplice disaccordo con la ricostruzione fattuale, che è compito esclusivo dei giudici di merito.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base a quanto stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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