LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inammissibilità ricorso cassazione: motivi apparenti

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità di un ricorso contro una condanna per sfruttamento della prostituzione. La decisione si fonda sul principio che la mera riproposizione dei motivi già respinti in appello, senza una critica specifica alla sentenza impugnata, rende il ricorso inammissibile. L’ordinanza sottolinea come l’inammissibilità del ricorso cassazione derivi dalla mancanza di un confronto puntuale con le argomentazioni della corte di merito, comportando anche la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità ricorso cassazione: quando i motivi sono solo apparenti?

L’inammissibilità del ricorso cassazione è una delle sanzioni processuali più severe, che impedisce alla Suprema Corte di entrare nel merito della questione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 37254/2025, offre un chiaro esempio di quando un ricorso, pur formalmente presentato, viene considerato privo dei requisiti essenziali, portando a conseguenze significative per il ricorrente. Il caso analizzato riguarda una condanna per sfruttamento della prostituzione, ma il principio affermato ha una valenza generale per chiunque intenda adire il giudice di legittimità.

I fatti del processo e la doppia condanna

Il percorso giudiziario inizia con una condanna in primo grado emessa dal GUP del Tribunale di Aosta. Successivamente, la Corte di Appello di Torino, in data 12/12/2024, riforma parzialmente la sentenza, confermando la responsabilità dell’imputato per il reato di sfruttamento della prostituzione e condannandolo a 8 mesi di reclusione e 100 euro di multa, con la concessione delle attenuanti generiche.

La condanna si basava su una serie di elementi probatori, tra cui le dichiarazioni della persona offesa, riscontri derivanti da messaggistica, la deposizione di un testimone e l’individuazione del veicolo utilizzato dall’imputato.

Il vizio del ricorso: la mera ripetizione dei motivi d’appello

L’imputato decide di presentare ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione della sentenza d’appello. Tuttavia, l’analisi della Suprema Corte si concentra non sul merito delle accuse, ma sulla struttura stessa del ricorso. I giudici rilevano che il ricorrente non ha fatto altro che riproporre ‘pedissequamente’ (cioè in modo meccanico e identico) le stesse doglianze già sollevate e correttamente respinte dalla Corte di Appello.

Questo comportamento processuale determina l’inammissibilità del ricorso cassazione. La Corte ribadisce un principio consolidato: l’atto di impugnazione non può essere una semplice riproduzione dei motivi precedenti. Deve invece contenere una ‘critica argomentata’ rivolta specificamente contro la sentenza che si intende contestare. In altre parole, il ricorrente deve spiegare perché le ragioni fornite dal giudice d’appello sono sbagliate, illogiche o contrarie alla legge, instaurando un confronto diretto e puntuale con la motivazione della decisione impugnata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale chiarisce che un ricorso fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello deve considerarsi non specifico, ma solo ‘apparente’. Manca, infatti, la sua funzione tipica, che è quella di criticare la sentenza di secondo grado. Quando un ricorso ignora di fatto le argomentazioni del giudice d’appello, limitandosi a riproporre le vecchie tesi, si svuota di contenuto e non può essere esaminato.

La Corte cita la sua stessa giurisprudenza (tra cui le sentenze Furlan e La Gumina) per sottolineare come il contenuto essenziale dell’impugnazione sia proprio il confronto puntuale con il provvedimento contestato. Il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio in cui si possono riesaminare i fatti, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione. Di conseguenza, contestare genericamente la valutazione delle prove operata dai giudici di merito è un’operazione esclusa dal giudizio di legittimità. Essendo il ricorso privo di specificità, viene dichiarato inammissibile.

Conclusioni: le conseguenze dell’inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità del ricorso cassazione non è priva di conseguenze. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, tenuto conto della sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale, e non ravvisando una situazione di assenza di colpa nella proposizione del ricorso, lo ha condannato al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve da monito: l’accesso alla Corte di Cassazione richiede rigore e specificità. Un ricorso ‘fotocopia’ non solo è inutile, ma è anche costoso.

Perché il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente si è limitato a riproporre pedissequamente le stesse doglianze già presentate e respinte dalla Corte di Appello, senza formulare una critica argomentata e specifica contro le motivazioni della sentenza impugnata.

Cosa si intende per ‘critica argomentata’ in un ricorso per cassazione?
Per ‘critica argomentata’ si intende un confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento impugnato, indicando specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che fondano il dissenso. Non è sufficiente contestare genericamente la valutazione delle prove, ma bisogna attaccare la logica giuridica della decisione.

Quali sono le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati