Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23239 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23239 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a CAGLIARI il 28/04/2000 CORSO NOME COGNOME nato a CAGLIARI il 06/10/1996
avverso la sentenza del 18/09/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore di COGNOME Avv. NOME COGNOME il quale si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;
udito il difensore di COGNOME, Avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accogliment o del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 18 settembre 2024, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di rapina aggravata.
Avverso la sentenza ricorre il difensore di NOME COGNOME eccependo:
2.1. errata applicazione della legge penale con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto ed all’art. 628 , secondo comma, cod. pen. in quanto la Corte di appello aveva dato credito acriticamente alle dichiarazioni della persona offesa, senza prenderne in considerazione l’evidente contraddittorietà, visto che se davvero l’autista avesse tentato di investire la persona offesa NOME vi sarebbero state grida e i presenti ne avrebbero avuto una pur indiretta conoscenza e ne avrebbero parlato successivamente; la fuga, piuttosto che la violenza, apparivano peraltro suffragate dalla circostanza che la persona offesa avesse scagliato contro la vettura una pietra, infrangendone il vetro dello sportello lato autista;
2.2. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all’omessa assunzione e valutazione di una prova nuova presentata nei motivi di appello: la vettura indicata dai testimoni COGNOME COGNOME e COGNOME era stata riconosciuta come quella nella quale alle ore 20.40 del 15 settembre 2020 si trovava COGNOME in occasione di un incidente stradale per il quale era stato necessario l’intervento dei Vigi li del Fuoco e di un’ambulanza, ma era errata l’affermazione secondo cui COGNOME, pur avendo riportato lesioni, non si era recato nell’immediatezza dei fatti al Pronto soccorso: dalla scheda di valutazione del Pronto Soccorso (nuova prova di cui la Corte di appello aveva omesso l’acquisizione e la valutazione, nonostante l’evidente rilevanza) risultava infatti che COGNOME necessitava di soli due giorni di cura e che le lesioni erano di lievissima entità, tali da non necessitare di alcun intervento di soccorso. Era errata anche la considerazione della Corte di appello secondo cui ‘all’interno del veicolo coinvolto nel sinistro stradale erano presenti foglie di cannabis e steli, foglie e infiorescenze di canapa, del tutto simili a quelli rinvenuti nel sottotetto dell’abitazione del COGNOME‘, in quanto non era stata eseguita nessuna analisi sulle sostanze, né un’analisi comparativa tra i reperti rinvenuti sull’autovettura e la sostanza sequestrata al COGNOME ; tanto meno da questa circostanza poteva trarsi ‘un indubbio collegamento logico con il furto di canapa commesso poco tempo prim a ai danni del Pinna’, erroneamente affermato dalla Corte attraverso un illogico percorso deduttivo: errore che, peraltro, la Corte aveva ritenuto suffragato dalle dichiarazioni rese dall’imputato, della cui inutilizzabilità ai fini della decisione si sarebbe scritto più avanti; inoltre, gli operatori di polizia giudiziaria avevano qualificato la sostanza rinvenuta nel veicolo come riconducibile a quella precedentemente sottratta nella piantagione di Pinna, ma avevano omesso di riportare il medesimo giudizio di analogia in merito al materiale rinvenuto a casa di COGNOME e non vi era prova che quanto sottoposto a sequestro fosse di provenienza della piantagione di Pinna; era errata anche la considerazione che la felpa grigia rinvenuta nell’abitazione di COGNOME avesse avuto
lo scopo di nascondere i lineamenti del rapinatore, mentre per quanto riguardava la sega a mano pieghevole non era stata espressa alcuna riconducibilità allo strumento utilizzato dagli autori del reato;
2.3. utilizzo illegittimo delle dichiarazioni dell’indagato, rese in assenza delle garanzie difensive previste dagli artt. 63 e 64 cod. proc. pen.;
2.4. violazione del principio di proporzionalità della pena, errata determinazione della pena in violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen., mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Propone ricorso il difensore di NOME COGNOME eccependo:
3.1. violazione dell’art. 192 , comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui la Corte di appello di Cagliari, attraverso una motivazione manifestamente illogica, aveva ritenuto accertati, oltre ogni ragionevole dubbio, gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 628 , secondo comma, cod. pen., pur in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti da cui desumerne la prova, soprattutto in relazione alla asserita condotta violenta commessa dai correi; travisamento della prova dichiarativa; manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale non si confrontava con le censure proposte nell’atto di appello, attraverso le quali si denunciava l’inattendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa ed il relativo travisamento della prova dichiarativa; violazione dell’art. 192 , comma 1, cod. proc. pen. nella parte in cui il collegio giudicante aveva erroneamente ritenuto intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa e dei sommari informatori, senza dare conto dei criteri adottati per la loro valutazione probatoria; in particolare, il racconto della persona offesa proponeva una dinamica della condotta tenuta dalla stessa oggettivamente impossibile ed era smentita dalle dichiarazioni dei testimoni oculari;
3.2. erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 116 e 628, secondo comma, cod. pen. nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto applicabile al caso di specie l’istituto del cd. concorso anomalo, pur essendo insussistenti i requisiti previsti dalla relativa disciplina, con particolare riferimento alla prevedibilità dell ‘azione violenta in assenza di alcun elemento indiziario in tal senso, della progressione criminosa attuata dal guidatore della Fiat Stilo commettendo il denunciato tentativo di investimento in danno della persona offesa: già con l’atto di gravame si era evidenziato come il frettoloso raggiungimento dell’auto per darsi alla fuga rappresentasse una assoluta cesura rispetto alla precedente sottrazione delle piante, interrompendo quel nesso eziologico e volitivo richiesto per l’applicazione del concorso ex art. 116 cod. pen.;
3.3. violazione di legge con riferimento all’art. 133 cod. pen. nella parte in cui la Corte territoriale, omettendo di valorizzare opportunamente le circostanze oggettive e soggettive del fatto commesso in concreto, aveva posto come base di calcolo una pena eccessiva rispetto ai parametri stabiliti dalla norma, soprattutto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 16 aprile 2024: come era pacificamente emerso, l’azione dei correi era stata platealmente rudimentale e fallimentare, così co me l’azione violenta, oltre ad essersi fermata allo stadio del tentativo, appariva piuttosto frutto di una fuga repentina, incontrollata e confusionaria, come affermato dallo stesso estensore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
1.1. Relativamente al comune motivo di ricorso sulla inattendibilità della persona offesa, si deve rilevare che riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della stessa, il Collegio condivide la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Peraltro questa Corte, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice dì merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto; inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni ( ex plurimis , Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899-01; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004 COGNOME, Rv. 227493-01).
Contraddizioni che non si rinvengono nel caso in esame, nel quale la Corte di appello ha fornito congrua motivazione della attendibilità del racconto della
persona offesa, come già aveva fatto il giudice di primo grado; sul punto, si deve rilevare come nel caso in esame ci si trova dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè una doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado; il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243636-01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, COGNOME, Rv. 237207-01; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130-01; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432-01).
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato come non vi fosse alcun motivo per cui la persona offesa avrebbe dovuto ‘inventare’ un tentativo di investimento mai avvenuto, ritenendo anche realistico che COGNOME, dopo essersi gettato a terra, sia riuscito a scagliare una pietra contro l’auto mobile in fuga; peraltro, dalle sentenze di merito non emerge affatto, come affermato nei ricorsi, che COGNOME abbia scagliato una pietra che ha colpito il finestrino dell’auto che lo stava investendo, visto che a pag. 5 della sentenza di primo grado si afferma che ‘COGNOME istintivamente si scansò e scagliò una pietra, che probabilmente colpì il fines trino dal lato dell’autista, perc hè egli sentì rumore di cristalli infanti e poi vide in terra del vetro’ (affermazione ripetuta a pag.4 della sentenza di appello); pertanto, la premessa dalla quale partono i ricorsi per contestare l’attendibilità di COGNOME non è neppure relativa ad un fatto certamente avvenuto; inoltre, la Corte ha più volte rimarcato come non vi potessero essere riscontri alla versione dei fatti di COGNOME relativi all’investimento, in quanto i testimoni presenti erano in posizione tale da non poter vedere la manovra posta in essere dall’autista.
1.2. Quanto alle censure del secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, se e ne deve rilevare la (non consentita) natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Corte di cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione
degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr., ex plurimis , Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259336-01).
1.3. Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è inammissibile in quanto si tratta di eccezione non proposta in appello e, per la quale, è intervenuta decadenza.
1.4. Relativamente all’applicazione dell’art. 116 cod. pen. (secondo motivo proposto nell’interesse di Corso) , si deve ribadire che, ‘i n tema di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., la responsabilità del concorrente, quali che siano il suo grado di partecipazione e il suo ruolo, trova fondamento nel necessario affidamento alla condotta e alla volontà dei compartecipi, che gli impone di non sottovalutare il pericolo che taluno di essi, deviando dall’azione esecutiva concordata per fronteggiare eventuali difficoltà improvvisamente sopravvenute, possa realizzare un reato diverso da quello inizialmente previsto ‘ (Sez. 1, n. 11495 del 12/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284246-01); nel caso in esame, la motivazione della Corte di appello contenuta a pag. 14 della sentenza impugnata, è perfettamente congrua e coerente con le risultanze processuali.
1.5. Quanto alla dosimetria della pena ed al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la motivazione della Corte di appello è contenuta alle pagine 11 e 12 della sentenza impugnata per COGNOME e alle pagine 15 e 16 per Corso e, essendo esente da manifesta illogicità, è insindacabile in cassazione.
1.6. Relativamente, infine, alla invocata applicazione della sentenza n. 86 del 2024 pronunciata dalla Corte Costituzionale, per potersi dolere, in questa sede di legittimità, della mancata applicazione della suddetta circostanza attenuante, la relativa questione avrebbe dovuto essere prospettata già davanti alla Corte d’appello, con i motivi aggiunti o in sede di formulazione delle conclusioni, e che la stessa questione non può essere prospettata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione.
In tale senso, si è già pronunciata la stessa Corte di cassazione con riguardo all’analoga circostanza attenuante della lieve entità del delitto di estorsione, introdotta con la sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023: è stato infatti chiarito, con argomentazioni che sono pienamente condivise dal Collegio e che qui, per brevità, ci si limita a richiamare, che, «n tema di impugnazioni, non è deducibile con ricorso per cassazione l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del delitto di estorsione, prevista dalla sentenza della Corte cost. n. 120 del 2023, ove la questione, già proponibile in quella sede, non sia stata prospettata in appello con i motivi aggiunti ovvero in sede di formulazione delle conclusioni» (Sez. 2, n. 19543 del 27/03/2024, G., Rv. 286536-01).
Il principio è stato successivamente espressamente ribadito anche con riguardo alla circostanza attenuante della lieve entità del delitto di rapina che è stata introdotta con la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 16/04/2024 e che viene qui in rilievo (Sez. 2, n. 44819 del 20/11/2024, Rodi, non mass.). Poiché nel caso in esame la questione della lieve entità della rapina impropria che è stata attribuita agli imputati non risulta essere stata prospettata né con motivi nuovi di appello né in sede di formulazione delle conclusioni nel giudizio di appello (entrambi in data successiva alla pronuncia della sentenza del giudice delle leggi), il motivo si deve ritenere tardivamente proposto e, perciò, di scrutinio non consentito.
Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili . Ai sensi dell’art. 616 c od. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 05/06/2025