Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 24570 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 24570 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il TRIBUNALE DI NAPOLI nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato il 20/03/1962 a GIUGLIANO IN CAMPANIA NOME nata il 14/05/1957 a NAPOLI avverso l ‘ordinanza in data 25/02/2025 del TRIBUNALE DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugnata nei confronti di NOMECOGNOME limitatamente alle esigenze cautelari e per il rigetto nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli impugna l ‘ordinanza in data 25/02/2025 del Tribunale di Napoli che, in sede di riesame, ha annullato l’ordinanza in data 20/12/2024 03/02/2025 del G.i.p. del Tribunale di Napoli, che aveva disposto nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di
trasferimento fraudolento di valori, aggravato dalla finalità agevolatrice dell’associazione di tipo mafioso denominato Clan COGNOME , contestato ai capi 36, 37, 38, 39 oltre che per il delitto di estorsione pluriaggravata contestato al capo 40.
Più in particolare, il tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza soltanto per i capi 36 e 39 e soltanto a carico di NOME COGNOME e non anche nei confronti di NOME COGNOME; inoltre, il Tribunale ha escluso la sussistenza di esigenze cautelari a carico della COGNOME.
Sotto tale ultimo profilo il Tribunale ha osservato che l’indagata risulta gravata solo da precedenti per guida senza patente e di contrabbando di Tabacco Lavorato Estero e che non poteva considerarsi sussistente il requisito dell’attualità, in quanto i reati risalgono al 2019 e non vi sono elementi per ritenere che la condotta si sia protratta fino all’attualità.
L’Ufficio del Pubblico Ministero d educe:
Inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in punto di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
Secondo l’Ufficio ricorrente vi sono elementi concreti da cui dedurre i gravi indizi di colpevolezza, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale.
In particolare:
2.1. In relazione ai capi 35 (prescritto) e 36, si assume che i gravi indizi di colpevolezza a carico di COGNOME‘ Aquila si rinvengono nel contenuto della conversazione intercettata il 26/06/2020, intercorsa tra COGNOME NOME e COGNOME NOME. I contenuti di tale conversazione vengono illustrati e compendiati per dimostrare che COGNOME‘aquila aveva la disponibilità effettiva dell’immobile adibito a ristorante cinese;
2.2. In relazione ai capi 37 e 38 -per i quali il Tribunale ha escluso la gravità indiziaria sia per Giuliano che per D ell’Aquila , non ritenendo dimostrato che il denaro versato nelle mani di COGNOME NOME pervenissero successivamente a Dell’Aquila e a NOME– il pubblico ministero ricorrente osserva che il Tribunale non ha considerato che Dell’ Aquila era stato condannato in via definitiva per il delitto di cui all’art. 416 -bis cod. pen.. Aggiunge che la dimostrazione che i canoni di locazione venissero versati da RAGIONE_SOCIALE nell’interesse di Dell’Aquila proveniva dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME oltre che dei rapporti di reciprocità intercorrenti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME come emergenti dalle conversazioni intercettate, i cui contenuti vengono compendiati.
2.3. In relazione ai capi 39 e 40, il Tribunale ha ritenuto i gravi indizi di colpevolezza per il solo capo 39 nei confronti della COGNOME e li ha esclusi per entrambi i capi nei confronti di Dell’ Aquila e per il capo 40 nei confronti della COGNOME.
A tale riguardo il pubblico ministero dichiara di non condividere le conclusioni raggiunte dal tribunale, in quanto dalle dichiarazioni rese da COGNOME -ritenute affidabili dai giudici- e dai contenuti delle intercettazioni, si doveva pervenire all’esistenza di un rapporto di dipendenza di NOME COGNOME nei confronti della coppia dell’Aquila NOME.
Quanto alle esigenze cautelari, si osserva come il procedimento penale abbia disvelato un complesso sistema corruttivo di pubblici amministratori collegati con il sodalizio mafioso del clan COGNOME, così che i fatti non vanno guardati isolatamente, in quanto si inseriscono in una sistematica modalità di gestione del Comune di Giugliano in Campania, in funzione del perseguimento di interessi illeciti.
In tale contesto viene rimarcata la figura apicale di Dell’Aquila nell’ambito del sodalizio mafioso e la funzione di longa manus del marito rivestita dalla NOME, così che deve ritenersi sussistente il pericolo di recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. In punto di gravità indiziaria, in ordine alla posizione di NOME COGNOME, i l Tribunale del Riesame ha valorizzato la situazione detentiva dell’indagato, caratterizzata da particolari cautele, osservando che la detenzione in regime carcerario differenziato ex art. 41 bis OP -perdurante dal 2011- e la connessa restrizione dei colloqui, in numero di uno solo al mese, peraltro videoregistrato, impedisce all’indagato di veicolare all’esterno le proprie determinazioni e indicazioni sulla gestione dei beni patrimoniali.
La presunzione di efficacia delle peculiari limitazioni previste dallo speciale regime detentivo, finalizzate proprio a impedire contatti del detenuto con l’esterno , impongono l’indicazione di elementi concreti , utili a superare tale presunzione e tali da dimostrare che Dell’Aquila sia riuscito a superare le misure frapposte tra lui e l’esterno dal regime c.d. di carcere duro.
Il tribunale ha osservato che in tal senso non può ritenersi sufficiente l ‘unico indizio, consistente nel passo di una conversazione riportato in fondo alla pag. 9 del provvedimento impugnato («… no, no lasciamo stare, aspettiamo a lui… »), che è stato ritenuto labile ed insufficiente stante la sua assoluta genericità.
1.2. Con riguardo alla posizione di NOME COGNOME in relazione ai capi 37) e 38), 39 e 40), i l Pubblico Ministero lamenta l’omessa valorizzazione da parte del Riesame di alcuni elementi indiziari sulla riconducibilità dei beni alla coppia COGNOME, e segnatamente le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME le emergenze della sentenza irrevocabile n. 895/2014 del 24.1.2014
in punto di intestazione fittizia di beni da parte di COGNOME NOME e i rapporti di reciprocità tra COGNOME NOME, il figlio NOME e NOME
In realtà, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, il riesame ha espressamente valutato gli intrecci economici della coppia e le interposizioni fittizie realizzate attraverso altri soggetti vicini al clan (in particolare COGNOME Andrea), osservando, tuttavia, che nessuna delle conversazioni intercettate fa riferimento alla percezione pro quota di canoni locatizi da parte dei coniugi e che, più in generale, non erano emersi elementi da cui desumere che la coppia percepisse una quota dei canoni d’affitt o.
I giudici hanno altresì rilevato l’inidoneità indiziaria delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, teste de relato , non riscontrato e, anzi, contrastato dalle dichiarazioni di COGNOME NOME, che ha sempre detto nelle conversazioni intercettate di essere proprietario della metà dell’immobile, unitamente a COGNOME.
1.3. A fronte di una motivazione adeguata, logica, non contraddittoria e aderente alle emergenze procedimentali, il ricorso si presenta come una rilettura delle risultanze investigative antagonista a quella espressa dai giudici, la cui motivazione viene per lo più trascurata.
Va rilevato, infatti, come il pubblico ministero ricorrente nulla deduca in ordine al tema decisivo della mancanza di elementi utili a far ritenere che Dell’Aquila abbia avuto contatti con l’esterno nonostante il regime carcerario di 41 -bis O.P., non essendo a tal fine sufficiente rimarcare il ruolo occupato nel clan COGNOME.
Tale unico rilievo mostra come l’impugnazione non si confronti con il rilievo del regime carcerario ritenuto decisivo dal tribunale, persistendo in temi che si presentano privi di reali contenuti censori verso la struttura argomentativa dell’ordinanza impugnata.
T ale ultima notazione risalta il difetto di specificità che inficia l’intero ricorso, ove si consideri che la mancanza di specificità dei motivi deve essere apprezzata non solo intrinsecamente, ovverosia per la genericità e indeterminatezza delle ragioni di fatto e diritto a sostegno della censura, ma anche estrinsecamente, per l’apparenza degli stessi allorquando, non essendovi correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione e/o risolvendosi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso.
Va ribadito, infatti, che «è inammissibile il ricorso per cassazione nel caso in cui manchi la correlazione tra le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata e quelle argomentate nell’atto di impugnazione, atteso che questo non
può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 -01).
1.4. Quanto fin qui esposto vale anche per la posizione di NOMECOGNOME rispetto alla quale vanno aggiunti ulteriori rilievi, sia in relazione ai gravi indizi di colpevolezza, sia in relazione alle esigenze cautelari.
Il ricorrente fonda la propria valutazione di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza sull’interpretazione dei contenuti delle conversazioni intercettate.
A tale proposito va ricordato che «in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite», (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 -01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, 21/08/2013).
Tali patologie non si rinvengono nell ‘ordinanza impugnata e neanche vengono prospettate dal ricorrente che, in realtà -a dispetto delle intitolazioni- non denuncia vizi della motivazione censurabili in sede di legittimità, ma sollecita una rilettura dei contenuti delle intercettazioni, alternativa e antagonista a quella dei giudici del riesame.
1.5. Il ricorrente oppone, ancora, la mancata considerazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME in effetti non menzionate nel provvedimento impugnato.
Anche in questo caso, però, il ricorso si presenta come una ricostruzione alternativa rispetto a quella ritenuta dai giudici, tale dovendosi considerare la valorizzazione di taluni elementi rispetto ad altri non considerati nella struttura argomentativa, in quanto evidentemente ritenuti recessivi nella motivazione del provvedimento impugnato.
La censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, invero, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione delle emergenze processuali, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri.
Il pubblico ministero, peraltro, lamenta la mancata considerazione delle dichiarazioni rese da COGNOME, senza tuttavia illustrarne i contenuti, né la sussistenza di eventuali riscontri individualizzanti, né, tantomeno, la loro portata destrutturante rispetto all’ordito argomentativo dell’ordinanza impugnata, tale da farne emergere la contraddittorietà rispetto alle emergenze procedimentali.
Per il resto, il ricorso si presenta come una rilettura dei contenuti delle intercettazioni e delle emergenze investigative, senza mai dedurre censure astrattamente riconducibili ad alcuno dei vizi scrutinabili in sede di legittimità.
In relazione alle esigenze cautelari, il ricorrente espone argomentazioni relative al contesto corruttivo che, però, non riguarda i delitti contestati alla Giuliano, così che il richiamo a tale contesto risulta estraneo alla vicenda e alle finalità che qui ci occupano.
In tale maniera, il ricorrente trascura di confrontarsi con il punto centrale della decisione impugnata, ossia l’assenza di elementi utili a ritenere la protrazione delle condotte delittuose e l’attualità delle stesse, considerato che i fatti risalgono al 2019.
Nulla viene dedotto in relazione a tale tema, che pure viene ritenuto decisivo nell’ordinanza impugnata, in coerenza con l’insegnamento di questa Corte, a mente del quale «in tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito. (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 -02).
Oltre al già rilevato vizio di aspecificità, va conclusivamente ricordato che in tema di misure cautelari personali «il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 -01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME Rv. 252178).
L’applicazione di tale principio porta all’ulteriore causa di inammissibilità dell’impugnazione atteso che, a fronte di una motivazione adeguata, completa, logica e non contraddittoria. il ricorrente oppone argomentazioni e valutazioni in punto di fatto, senza dedurre argomenti astrattamente riconducibili ad alcuno dei vizi scrutinabili in sede di legittimità, per di più senza confrontarsi con il costrutto argomentativo che ha portato all’annullamento dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.
Segue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 18/06/2025