Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 35603 Anno 2019
Penale Sent. Sez. F Num. 35603 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/07/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASCINA il 04/01/1970
avverso la sentenza del 19/04/2018 della CORTE di APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di COGNOME NOME per aver appiccato il fuoco all’autovettura in uso a Bonnbara NOME, formalmente intestata al fratello COGNOME NOME. Il fatto, in origine contestato ai sensi dell’art. 424, comma secondo, cod. pen., era stato ricondotto, già in primo grado, alla fattispecie di cui all’art. 424, primo comma, cod. pen..
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi, con i quali deduce vizio di motivazione sotto distinti profili.
2.1 Con il primo denuncia omessa motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
In sede di gravame l’imputato si era doluto della eccessività della pena inflitta, sotto il duplice profilo della entità della pena base e del diniego delle circostanze attenuanti generiche, senza ricevere risposta.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata valutazione della testimonianza resa dal carrozziere COGNOME.
Il fatto illecito viene ricondotto all’imputato tramite la rilevata presenza nell’abitato di Montaione, la sera del 2 novembre 2012, della sua autovettura Q5. L’assunto sarebbe smentito delle dichiarazioni di COGNOME, il quale, sentito in dibattimento, avrebbe riferito che il 2 novembre 2012 quella autovettura si trovava ricoverata presso la propria autocarrozzeria, sita in Castelfiorentino, come sarebbe confermato anche delle fotografie scattate nell’occasione.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente censura la motivazione per manifesta illogicità.
Il fuoco era stato appiccato su un’autovettura che si trovava nei pressi dell’abitazione di COGNOME Antonino e non di COGNOME NOMECOGNOME
Con l’atto di appello si dubitava che l’imputato potesse conoscere l’esatta collocazione del mezzo. La Corte di appello rispondeva facendo leva sulla circostanza che Montaione era un piccolo paese e che l’imputato doveva aver notato la vettura mentre passava.
Secondo il ricorrente l’assunto sarebbe illogico perché non terrebbe conto né della effettiva estensione territoriale del Comune di Montaione né della improbabilità che l’imputato, di passaggio, avesse potesse notare un’autovettura parcheggiata lungo una via diversa da quella in cui abitava la sua “vittima”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Ragioni sistematiche impongono di invertire l’ordine di trattazione dei motivi proposti.
2. Il secondo e il terzo motivo esulano dal novero di quelli consentiti ex art. 606 cod. proc. pen.
2.1 La cd. “doppia conforme” di condanna si fonda sul convergere dei seguenti elementi, ritenuti decisivi:
– il fuoco è stato appiccato da un soggetto uscito da un’autovettura TARGA_VEICOLO o TARGA_VEICOLO di colore bianco, targata TARGA_VEICOLO, come emerso dalla deposizione di un teste oculare, che già nell’immediatezza del fatto aveva fornito ai carabinieri i dati identificativi della vettura;
-l’autovettura Q 5 di colore bianco targata TARGA_VEICOLO è di proprietà di COGNOME Giovanni;
– COGNOME NOME, utilizzatore del veicolo incendiato, era debitore nei confronti del COGNOME, il quale dunque aveva un movente;
– COGNOME NOME aveva subito compreso chi fosse l’autore dell’attentato ai suoi danni e quale fosse il significato del gesto, tanto che, alle ore 23:20 del 2 novembre 2010, aveva inviato un messaggio al Mannino dicendogli: “potevi aspettare a domani” e, nei giorni successivi, aveva saldato il debito;
– altri debitori del COGNOME avevano subito l’incendio dei propri mezzi;
– il COGNOME aveva depositato agli atti del processo quietanze false con l’intento di dimostrare che COGNOME NOME aveva estinto il proprio debito prima dell’attentato incendiario.
2.2 I giudici di merito dedicano ampio spazio a confutare l’alibi del COGNOME e ad esporre le ragioni per cui non riconoscono valore probatorio né alla deposizione del carrozziere né alla documentazione fotografica prodotta (pagg. 5-7 sentenza Tribunale, pag. 6 sentenza di appello), dotando la decisione di un impianto argomentativo, privo di cadute logiche, dunque non rivedibile in questa sede.
Le doglianze formulate dal ricorrente per un verso sono generiche, poiché lamentano una mancata risposta su questioni già ampiamente scrutinate sin dalla sentenza di primo grado, per altro verso si risolvono in una prospettazione alternativa dei fatti, che postula una rivalutazione delle prove non consentita in sede di legittimità (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U,
n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794).
Alla Corte di cassazione – in sede di controllo della motivazione – è interdetta la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Di talché sono inammissibili le censure che, come nella specie, sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
2.3 Contro l’apparato probatorio costruito dai giudici di merito si infrangono le ulteriori doglianze in fatto, prospettate dal ricorrente, che concernono elementi secondari inidonei a scalfire il nucleo fondante della pronuncia di condanna.
3. Il primo motivo ripropone una doglianza che era già inammissibile in sede di appello, per difetto di specificità.
Il Tribunale aveva fornito adeguata e congrua motivazione sulla misura della pena inflitta, valorizzando la gravità del fatto (alla luce del movente economico sotteso) e la scorretta condotta processuale tenuta dall’imputato che aveva prodotto in giudizio documenti falsi. A fronte di tanto lo stato di formale incensuratezza non era stato ritenuto significativo.
In sede di appello l’imputato, senza misurarsi con la decisione sul punto, aveva lamentato l’eccessività della pena, facendo leva sul proprio stato di incensuratezza.
La censura, riproposta in questa sede, è inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 4 cod. proc. pen..
4. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/07/2019
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– 5 AGO 2019
CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE FERIALE