Inammissibilità ricorso cassazione: quando i motivi sono manifestamente infondati
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri rigorosi che governano l’accesso al giudizio di legittimità, dichiarando l’inammissibilità del ricorso cassazione presentato da due soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti. Questa decisione offre spunti cruciali sulla corretta motivazione della pena, sull’applicazione del principio del ne bis in idem e sui limiti della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
I Fatti del Processo
Due individui venivano condannati in primo grado e in appello per reati legati alla cessione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Avverso la sentenza della Corte d’Appello, entrambi proponevano ricorso per cassazione, sollevando diverse censure.
Un ricorrente lamentava l’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, ritenendo ingiustificata la decisione dei giudici di discostarsi dal minimo edittale. L’altro ricorrente, invece, articolava il proprio gravame su due punti principali:
1. La violazione del principio del ne bis in idem (divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto), sostenendo di essere già stato giudicato per fatti connessi.
2. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
L’analisi della Corte e l’inammissibilità del ricorso in cassazione
La Suprema Corte ha esaminato i motivi di ricorso, giudicandoli tutti manifestamente infondati e, di conseguenza, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso cassazione.
Per quanto riguarda la doglianza sulla misura della pena, i giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione adeguata e logica. La scelta di una pena superiore al minimo era stata giustificata da tre elementi chiave:
* L’elevatissimo quantitativo di droga oggetto dell’intermediazione.
* L’intensità del dolo, desunta dall’attivismo dell’imputato per assicurare il buon esito della transazione illecita.
* Le plurime condanne specifiche a carico del ricorrente.
Questi fattori, secondo la Corte, sono ampiamente sufficienti a motivare la decisione, rendendo la censura palesemente infondata.
La questione del ‘Ne bis in idem’
Anche il motivo relativo alla presunta violazione del ne bis in idem è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che i fatti sono distinti e separati. Il procedimento in esame riguardava episodi di cessione di cocaina avvenuti a febbraio e marzo 2017. L’altra sentenza di condanna, invece, si riferiva a un episodio di illecita detenzione di stupefacenti accertato a novembre 2017, a seguito di una perquisizione domiciliare. Il fatto che tale perquisizione fosse stata disposta nell’ambito del primo procedimento è stato ritenuto del tutto irrilevante, poiché i comportamenti illeciti contestati erano diversi e si erano verificati in momenti differenti.
Le motivazioni
La Corte ha ritenuto corrette le motivazioni dei giudici di merito anche riguardo all’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La decisione di non applicare tale istituto era stata adeguatamente argomentata con riferimento a elementi ostativi specifici: la condanna definitiva per un fatto analogo, la natura ‘pesante’ della droga ceduta e la presenza di ulteriori precedenti penali della stessa specie. Questi elementi delineano una personalità e una condotta non compatibili con la ‘particolare tenuità’ richiesta dalla norma.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio cardine del giudizio di legittimità: il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito. Le censure devono essere specifiche, pertinenti e non possono limitarsi a riproporre questioni già adeguatamente valutate dai giudici dei gradi precedenti. La manifesta infondatezza dei motivi, come nel caso di specie, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. La decisione rafforza l’importanza di una motivazione completa e logica da parte dei giudici di merito, specialmente quando si discostano dai minimi edittali o escludono l’applicazione di istituti di favore per l’imputato.
Quando un giudice può applicare una pena superiore al minimo previsto dalla legge per reati di droga?
Una pena superiore al minimo può essere giustificata da elementi concreti come un quantitativo di droga particolarmente elevato, l’intensità del dolo (cioè l’intenzione criminale) e la presenza di precedenti condanne specifiche a carico dell’imputato.
Il principio del ‘ne bis in idem’ (divieto di doppio processo) si applica se due reati di droga sono oggetto di procedimenti diversi?
No, il principio non si applica se i fatti contestati sono distinti. Ad esempio, episodi di cessione di droga in un certo periodo sono considerati fatti diversi da un episodio di detenzione della stessa sostanza avvenuto molti mesi dopo, anche se la scoperta di quest’ultimo è avvenuta durante le indagini relative ai primi.
Perché può essere negata l’applicazione della causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.)?
La sua applicazione può essere esclusa se esistono elementi ostativi, come una condanna definitiva per un reato specifico simile, il tipo di reato commesso (es. cessione di droghe pesanti) e la presenza di altri precedenti penali della stessa specie, che indicano una non occasionalità del comportamento illecito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3564 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROVIGO il 16/09/1975 COGNOME NOME nato il 31/08/1969
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Venezia, che ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa nei loro confronti dal Tribunale di Rovigo, in relazione ai reati di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n 309 del 1990, loro ascritti ai capi H (quanto al COGNOME) e ai capi E1, E5 (quanto al GJECI);
rilevato che le censure formulate dal COGNOME, in ordine alla misura del trattamento sanzionatorio, appaiono manifestamente infondate, dal momento che la Corte territoriale ha adeguatamente motivato il discostamento dal minimo edittale, valorizzando sia l’elevatissimo quantitativo di droga oggetto della intermediazione, sia l’intensità del dolo, desunta dal suo attivarsi per evitare che la transazione andasse in fumo, sia anche dalle plurime condanne specifiche a carico del predetto ricorrente: elementi che – anche a voler prescindere dall’ulteriore rilievo di omogeneità di trattamento rispetto ai correi – appaion ampiamente idonei a soddisfare le esigenze motivazionali in termini incensurabili in questa sede (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata);
ritenuto che il primo motivo dedotto dal GJECI, volto a prospettare una violazione del ne bis in idem, risulti reiterativo e comunque privo di ogni consistenza, avendo la Corte d’Appello chiarito (cfr. pag. 20 seg.) che l’odierno procedimento riguarda due episodi di cessione di cocaina risalenti al febbraio e al marzo 2017, mentre l’altra sentenza emessa in altro procedimento nei confronti del GJECI riguarda un episodio di illecita detenzione di stupefacente accertato molti mesi dopo (novembre 2017), all’esito di una perquisizione domiciliare e del conseguente arresto del ricorrente, giudicato con rito abbreviato. Risultando del tutto irrilevante, ai fini specifici che qui rilevano, il fatto che la pr perquisizione sia stata disposta nell’ambito del presente procedimento;
ritenuto che ad analoghe conclusioni debba pervenirsi quanto alla residua censura, risultando l’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 131-bis cod. pe adeguatamente motivata con i riferimenti alla condanna definitiva per fatto specifico, alla cessione di droga pesante e ad ulteriori precedenti anche della stessa specie (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata)
ritenuto che le considerazioni fin qui svolte impongano una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 22 novembre 2024
Il consigli GLYPH estensore
GLYPH
Il Presidente