Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando l’Appello Diventa Definitivo
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di un principio fondamentale del nostro sistema processuale: l’inammissibilità ricorso Cassazione. Questo concetto si manifesta quando un ricorso non possiede i requisiti richiesti dalla legge per essere esaminato nel merito. Il caso in oggetto riguarda un ricorso presentato da un imputato, condannato in primo e secondo grado per reati gravi, tra cui rapina e spaccio di sostanze stupefacenti. La Suprema Corte, tuttavia, ha chiuso la porta a un ulteriore esame, cristallizzando la condanna.
I Fatti Processuali
Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello per diversi capi d’imputazione. La sentenza di secondo grado aveva confermato l’impianto accusatorio, basandosi su un solido quadro probatorio. Tra le prove raccolte figuravano intercettazioni ambientali, dichiarazioni di una coimputata ritenute attendibili, la confessione di un complice, immagini di sistemi di videosorveglianza e l’analisi di tabulati telefonici. Insoddisfatto della decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tentando di ribaltare il verdetto di colpevolezza.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 23 gennaio 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza del ricorrente, ma si ferma a un livello precedente, quello procedurale. La conseguenza diretta è che la sentenza della Corte d’Appello diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Analisi dell’Inammissibilità Ricorso Cassazione
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi interconnessi, che costituiscono vizi tipici che portano a una declaratoria di inammissibilità.
La Pedissequa Reiterazione dei Motivi
Il primo motivo di inammissibilità è la cosiddetta “pedissequa reiterazione”. La Corte ha rilevato che i motivi presentati nel ricorso erano una semplice riproposizione di quelli già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. Il giudice di secondo grado aveva già fornito una motivazione ampia, completa e logicamente coerente per disattendere quelle stesse censure. Il ricorso per Cassazione non può essere una terza istanza di giudizio sui fatti, ma deve evidenziare vizi di legittimità (cioè errori di diritto) nella sentenza impugnata. Ripetere le stesse argomentazioni fattuali, senza criticare specificamente il ragionamento giuridico della Corte d’Appello, rende il ricorso un tentativo sterile e, quindi, inammissibile.
La Mancanza di Specificità
Il secondo vizio fatale del ricorso è stata la mancanza del “necessario carattere di specificità”. Invece di contestare la struttura logica complessiva della motivazione della sentenza d’appello, il ricorrente si è limitato a formulare censure su singoli aspetti e profili della ricostruzione fattuale e probatoria. Ad esempio, ha criticato isolatamente una testimonianza o un’intercettazione, senza dimostrare come e perché la valutazione complessiva del quadro probatorio da parte della Corte d’Appello fosse illogica o contraddittoria. Per la Cassazione, un ricorso efficace deve attaccare la coerenza del ragionamento del giudice di merito, non semplicemente offrire una lettura alternativa di singoli elementi di prova.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte sono radicate nella funzione stessa del giudizio di legittimità. La Cassazione non è un “terzo grado” del processo dove si possono riesaminare i fatti, ma un organo che vigila sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità delle motivazioni dei giudici di merito. Quando un ricorso si limita a riproporre le stesse questioni di fatto già ampiamente dibattute e risolte nei gradi precedenti, senza sollevare nuove e specifiche questioni di diritto, esso tradisce la sua funzione e viene giustamente respinto in rito. La Corte ha sottolineato come la sentenza d’appello avesse costruito un “quadro probatorio articolato, completo e logicamente coerente”, immune da vizi. Le prove per i vari reati, dalle intercettazioni alle confessioni, erano state valutate in modo accurato e incrociato, delineando un quadro di responsabilità penale solido e ben motivato.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda adire la Suprema Corte: il ricorso per Cassazione deve essere un atto tecnico di alta precisione. Non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione di merito; è indispensabile individuare e argomentare specifici vizi di legittimità nella sentenza impugnata. La mera riproposizione dei motivi d’appello o una critica generica e frammentaria degli elementi di prova conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria, rendendo definitiva la sentenza di condanna.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due motivi principali: era una “pedissequa reiterazione”, cioè una semplice ripetizione dei motivi già respinti in appello, e mancava di “specificità”, limitandosi a criticare singoli aspetti fattuali senza contestare la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Quali prove sono state considerate decisive dalla Corte d’Appello per la condanna?
Per la rapina (capo A), sono state decisive un’intercettazione ambientale e le dichiarazioni di una concorrente. Per un altro delitto (capo E), sono state richiamate le dichiarazioni della stessa concorrente, la confessione di un complice, immagini di videosorveglianza e l’analisi di tabulati telefonici. Per lo spaccio (capo M), sono state usate le dichiarazioni convergenti di due testimoni.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13187 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13187 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VENEZIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/03/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
ritenuto che i motivi di ricorso che attaccano la motivazione posta a base del giudizio responsabilità per i capi A) ed E) , sono inammissibili sia perché fondati su motivi che si risol nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello, disattesi dalla Corte d’appell ampia motivazione che esamina e supera tutte le censure, fornendo un quadro probatorio articolato, completo e logicamente coerente nell’attribuzione al ricorrente della condotta partecipazione ai reati contestati; sia perché difettano del necessario carattere di specif formulando censure che riguardano singoli aspetti e profili della ricostruzione fattua probatoria, autonomamente e compiutamente operata;
così, per la rapina di cui al capo A, la Corte ha ricordato l’intercettazione ambien all’interno della vettura in uso a tale COGNOMECOGNOME che conferma l’ipotesi accusatoria; le dichiara dell’originaria concorrente NOME, soggette ad accurato esame dell’attendibilità e dei riscon favore della narrazione della donna; si tratta di elementi che, unitamente al complesso dei da raccolti, delineano un quadro probatorio esente da vizi nella sua valutazione ed idoneo sostenere l’affermazione di responsabilità penale;
allo stesso modo, quanto al delitto di cui al capo E), la sentenza ha richiamato le dichiarazi della NOME, la confessione del NOME COGNOME quale complice abituale dell’imputato, l’acquisizio di immagini di sistemi di videosorveglianza, attività abbinata all’analisi dei tabulati telefo infine, quanto al capo M) la decisione impugnata (pagg.12-13) ha posto a base dell’affermazione di responsabilità le dichiarazioni ritenute attendibili della Monfè e della Sb quali dichiarazioni convergenti nel delineare l’attività criminosa di spaccio svolta dell’imput
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.