Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8658 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8658  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, n. Taormina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/04/2023 della Corte di appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni scritte trasmesse dal difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
 Con sentenza del 21 aprile 2023, la Corte d’appello di Messina, decidendo il gravame proposto da NOME COGNOME, ne ha confermato la condanna alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b) , 93, 94 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001, 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per aver realizzato in zona vincolata e sismica opere abusive in assenza di permesso di costruire, in violazione della disciplina per la costruzione in zone sismiche ed in assenza di autorizzazione paesaggistica.
 Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo, la violazione delle disposizioni incriminatrici, anche in relazione all’art. 192 cod proc. pen., ed il vizio della motivazione, anche per travisamento della prova, sotto due profili.
2.1. In primo luogo si lamenta che i giudici di merito abbiano erroneamente affermato che il corpo di fabbrica contrassegnato con la lett. B fosse stato ampliato di ulteriori 25 mq. rispetto a quanto assentito con la concessione edilizia in sanatoria n. 14 rilasciata il 24 febbraio 2000. Diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la versione difensiva risultava suffragata da atti acquisiti al processo mai contestati neppure dai testimoni a carico. Aveva inoltre errato la Corte territoriale nel non rilevare la evidente contraddittorie contenuta nella sentenza di primo grado laddove aveva affermato esservi stato un ampliamento di 25 mq. accennando poi, in base ad un’errata deduzione, una diversa estensione (mq. 120) priva di ulteriori e documentali riscontri probatori.
2.2. In secondo luogo, ci si duole che siano stati ritenuti necessari i permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica per il piccolo manufatto adibito a canile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è inammissibile per due, autonome, ragioni.
Innanzitutto, l’impugnazione, depositata il 22 maggio 2023, trentesimo giorno utile dalla pronuncia, tenendo conto che il giorno precedente era festivo, è certamente tardiva.
Ed invero, nel giudizio di primo grado l’imputato non è stato processato in assenza, essendo invece comparso alla prima udienza successiva alla rituale notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Il giudizio di appello è stato trattato in forma cartolare ai sensi dell’art. bis d.l. 137/2020 ed è stato definito con sentenza con motivazione contestuale, con dispositivo comunicato via p.e.c. lo stesso giorno 21 aprile 2023 ai due difensori di fiducia dell’imputato. Ai sensi dell’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., dunque, il termine per impugnare era di quindici giorni decorrente dalla data della decisione con motivazione contestuale e, non essendo l’imputato mai stato dichiarato assente nel giudizio di merito, non può trovare applicazione la previsione di cui all’art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., che aumenta di quindici giorni i termini per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza.
Con principio già affermato da questa Corte, che in questa sede va ribadito, quest’ultima previsione non trova infatti applicazione per il ricorso in cassazione avverso le pronunce rese all’esito di giudizio di appello celebrato in udienza camerale non partecipata nel vigore del rito emergenziale di cui all’art. 23-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, se la dichiarazione di assenza non sia stata effettuata nelle modalità previste agli artt. 420 e 420-bis cod. proc. pen. (Sez. 7, ord. n. 1585 del 07/12/2023, dep. 2024, Procida, Rv. 285606). Trattandosi di udienza che non prevede la partecipazione delle parti processuali, l’imputato non può ovviamente considerarsi “assente”.
In ogni caso, il ricorso è comunque inammissibile per manifesta infondatezza, genericità e perché proposto per ragioni non consentite, essendosi il ricorrente limitato a riproporre in questa sede taluni dei motivi sollevati c l’appello, adeguatamente e correttamente vagliati dalla Corte territoriale, senza confrontarsi realmente con le argomentazioni spese in sentenza e sollecitando anche una diversa valutazione delle prove e ricostruzione del fatto, senza che sia ravvisabile alcun travisamento della prova.
3.1. Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, NOME, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contr testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Quanto al preteso travisamento della prova, osserva il Collegio come il ricorrente all’evidenza fraintenda le caratteristiche dell’evocato vizio, che non ricorre quando – come nella specie invece sostenuto – il giudice valuti il contenuto della prova (dichiarativa o documentale) in modo ritenuto non corretto, ma quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il vizio, peraltro, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, d 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME e a., Rv. 258774). Quanto al primo dei cennati profili, il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere coerente e logica rispetto agli elementi di prova in essa rappresentati ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Sotto il secondo profilo, la motivazione non deve risultare incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da risultarne vanificata radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n. 38800 d
01/10/2008, COGNOME e RAGIONE_SOCIALE., Rv. 241449). Ne deriva che il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035).
3.2. Contrariamente a quanto il ricorrente sostiene, del tutto genericamente, nella memoria difensiva depositata in vista della decisione, il ricorso non soddisfa in alcun modo gli oneri da ultimo indicati, sicché non è in questa sede sindacabile l’accertamento di fatto compiuto con doppia decisione conforme dai giudici di merito circa l’ulteriore ampliamento di 25 mq. della costruzione realizzato successivamente al precedente abuso oggetto di concessione in sanatoria – la quale, attesta la sentenza, contiene evidenti discrasie rispetto allo stato di fatt accertato nel sopralluogo della polizia giudiziaria – intervenuto nel 2018, come anche confermato, attesta la sentenza con non illogica motivazione, dalle conversazioni in quell’anno intercorse con la titolare della vicina proprietà, la quale lamentò l’ampliamento dell’edificio sul proprio suolo e poi sporse denuncia.
3.3. Quanto alla necessità del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica anche per l’abusivo manufatto che sarebbe stato adibito a canile, la sentenza impugnata, facendo buon governo dei principi che reggono la materia, ha non illogicamente argomentato la conclusione e le ragioni che escludevano la natura precaria dell’opera e il generico ricorso – che in alcun modo si confronta con quelle argomentazioni e con la consolidata giurisprudenza – non inficia la correttezza e logicità della decisione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 febbraio 2024.