Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34058 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34058 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ERICE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
1,19ita la r,elazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
í r l-PutrbIldólninistert5, -ifì persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo
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IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe, pronunciata il 3.10.2023, la corte di appello di Palermo confermava la sentenza con cui il tribunale di Trapani, in data 10.2.2023, aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 515 e 81, cpv, 61, n. 2), 482 0 c.p., in rubrica rispettivamente ascrittigli ai capi A) e B) dell’imputazione.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando, con due motivi di ricorso, 1) violazione di legge, in punto di nullità della sentenza di primo grado, in quanto pronunciata, nella veste di giudice onorario di tribunale, dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, la quale, tuttavia, non poteva svolgere funzioni giurisdizionali, per la sussistenza di una specifica causa di incompatibilità, essendo stata assunta dal Ministero di giustizia con la qualifica di funzionario di cancelleria e assegnata in tale veste proprio al tribunale di Trapani, dove svolge le proprie funzioni presso l’ufficio di segreteria della presidenza; 2) violazione di legge in relazione all’art. 158, c.p., non avendo rilevato, la corte di appello, il compiuto decorso del termine di prescrizione di entrambi i reati.
Con requisitoria scritta del 18.4.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Il ricorso 11 .T1231:53 ,- va dichiarato inammissibile, per l’assoluta genericità dei motivi su cui si fonda, in violazione dell’art. 581, lett. d), c.p.p., che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che il relativo atto scritto contenga, a pena di inammissibilità, l’enunciazione specifica, tra l’altro, “dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, come ribadito anche dal disposto dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., determina, per l’appunto, l’inammissibilità dell’impugnazione stessa.
Orbene, nel caso in esame, il ricorrente si limita a eccepire la nullità della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado e l’intervenuto decorso del termine di prescrizione per entrambi i reati per cui si procede, senza enunciare specificamente le ragioni per le quali, da un lato, la qualità di funzionario di cancelleria rivestita dalla AVV_NOTAIOssa COGNOME all’atto della pronuncia dell’indicata sentenza debba ritenersi incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale nella veste di giudice onorario di tribunale; dall’altro, il termine di prescrizione di entrambi i reati debba considerarsi già perento in sede di giudizio di appello, limitandosi a fare riferimento alle date della consumazione dei reati stessi.
Si tratta, peraltro, di motivi anche manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo si osserva che con il decreto legislativo n. 116 del 13 luglio 2017, intitolato “Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57”, si è provveduto all’unificazione ordinamentale della magistratura onoraria, sino a quel momento articolata in due distinti settori: la magistratura cd. “vicaria” (formata dai giudici onorari di tribunale e dai viceprocuratori onorari) e i giudici di pace.
L’unificazione ha riguardato non solo le modalità di accesso e di tirocinio, ma anche il tema delle incompatibilità.
L’art. 5 del menzioNOME testo normativo ha disposto, infatti, con effetto dal 15.8.2017, che “Non possono esercitare le funzioni di magistrato onorario:
i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo spettanti all’Italia, i membri del Governo e quelli delle giunte degli enti territoriali, nonché i deputati e i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali;
gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa;
coloro che ricoprono o che hanno ricoperto, nei tre anni precedenti alla domanda, incarichi direttivi o esecutivi nei partiti e movimenti
politici COGNOME o COGNOME nelle COGNOME associazioni RAGIONE_SOCIALE sindacali COGNOME comparativamente COGNOME più rappresentative;
coloro che ricoprono la carica di difensore civico;
coloro che svolgono abitualmente attività professionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria, oppure hanno il coniuge, la parte dell’unione civile, i conviventi, i parenti fino al secondo grado o gli affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attività nel circondario in cui il giudice di pace esercita le funzioni giudiziarie.”
Appare pertanto evidente che il possesso della qualifica di funzionario di cancelleria da parte della AVV_NOTAIONOME COGNOME, come correttamente ritenuto dalla corte territoriale, fosse del tutto compatibile con l’esercizio dell’attività giurisdizionale, non rientrando tale qualifica in alcuna delle cause tassative di incompatibilità all’esercizio delle funzioni di giudice onorario di tribunale previste dal citato art. 5, decreto legislativo n. 116 del 13 luglio 2017.
Manifestamente infondato risulta anche il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo si osserva che nei confronti dell’imputato si procede, per il reato ex art. 515 ( c.p., commesso il 12.5.2015, e per il reato ex artt. 81, cpv, 61, n. 2), 482′ c.p., commesso il 30.5.2014 e il 27.6.2014, e che, nella determinazione del trattamento sanzioNOMErio i giudici di merito hanno ritenuto sussistente e applicato la recidiva specifica e reiterata contestata al COGNOME in relazione a entrambi i reati (cfr. p. 4 della sentenza di appello).
Orbene, con riferimento al reato ex art. 515′ c.p. punito con la pena della reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065,00, ai sensi del disposto dell’art. 157, co. 1 e co. 4, c.p., il tempo necessario a prescrivere non può essere inferiore a sei anni, termine, che, in presenza di più atti interruttivi, come nel caso in esame, va aumentato di due terzi, ai sensi del combiNOME disposto degli artt. 161, co. 2, e 99, co. 4, c.p., con la conseguenza che il relativo termine di prescrizione, nella sua estensione massima pari a dieci anni, sarebbe perento, tenuto conto
della data del commesso reato, solo il 12.5.2025, quindi molto oltre la data della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Identiche considerazioni valgono per il reato continuato di cui al capo B), punito, ai sensi del combiNOME disposto degli artt. 482, co. 1, e 476. Co. 1, c.p., con la pena edittale massima di anni quattro di reclusione, che, pertanto, trattandosi di fatti diversi unificati sotto il vincolo della continuazione, si sarebbe prescritto solo dopo dieci anni, vale a dire il 30.5.2024 e il 27.6.2024, dunque anche in questo caso molto dopo la pronuncia della sentenza di appello.
Se a ciò si aggiunge l’intervenuta sospensione del decorso dei suddetti termini di prescrizione per legittimo impedimento del difensore nel corso del giudizio di primo grado dal 29.3.2021 al 14.6.2021 e dal 4.3.2022 al 25.3.2022, risulta ancora più evidente la genericità e la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616. c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 7.5.2024.