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Inammissibilità ricorso cassazione: i limiti

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso di un amministratore condannato per bancarotta distrattiva. Il ricorso, che lamentava una pena eccessiva, è stato giudicato generico e assertivo, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità. La decisione conferma che il potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena non è sindacabile in Cassazione se esercitato in modo logico e congruo.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità Ricorso Cassazione: Quando la Pena non si Discute

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti del sindacato della Suprema Corte di Cassazione in materia di determinazione della pena. Affrontando un caso di bancarotta distrattiva, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: l’inammissibilità del ricorso in Cassazione quando questo si traduce in una mera richiesta di rivalutazione di aspetti discrezionali del giudice di merito. Analizziamo la vicenda e le ragioni della decisione.

I Fatti del Caso: Bancarotta e la Determinazione della Pena

La vicenda processuale ha come protagonista l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita. L’imputato veniva condannato per il reato di bancarotta distrattiva. La sua pena era stata rideterminata dalla Corte di Appello in sede di rinvio, a seguito di un parziale annullamento di una precedente sentenza da parte della stessa Corte di Cassazione. La nuova pena era stata fissata in tre anni e otto mesi di reclusione.

Nonostante la rideterminazione, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di proporre un nuovo ricorso per Cassazione, lamentando una serie di violazioni di legge e costituzionali. Il cuore della doglianza risiedeva nella presunta ingiustizia, eccessività e sproporzione della pena inflitta, criticando anche il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La contestazione dell’imputato

Il ricorrente basava la sua impugnazione su due motivi principali:
1. Difformità della sentenza rispetto a quanto statuito in precedenza dalla Cassazione e violazione di norme sulla determinazione della pena.
2. Omessa motivazione sul calcolo della pena, lesione del principio di proporzione e mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenendo la sanzione finale ingiusta ed eccessiva.

Il Ricorso per Cassazione e la sua Inammissibilità

La Suprema Corte ha stroncato sul nascere le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione di tale decisione risiede nella natura stessa delle censure mosse dall’imputato. Secondo i giudici, il ricorso era “fortemente generico e meramente assertivo”.

In sostanza, l’imputato non ha evidenziato vizi di legittimità (come una violazione di legge o un difetto di motivazione manifesto), ma ha tentato di ottenere una nuova valutazione nel merito degli stessi elementi già considerati dalla Corte di Appello. Questo tipo di richiesta esula completamente dai poteri della Corte di Cassazione, che non è un terzo grado di giudizio sui fatti, ma un giudice della corretta applicazione della legge.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la valutazione degli elementi utili a determinare la misura della pena, ai sensi dell’art. 133 del codice penale, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere, se esercitato in modo congruo, logico e coerente con i principi di diritto, si sottrae a qualsiasi censura in sede di legittimità.

L’onere motivazionale del giudice di merito non impone di esaminare analiticamente ogni singolo parametro previsto dalla legge, ma di fornire una giustificazione logica della scelta sanzionatoria. Nel caso di specie, il ricorrente chiedeva alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di appello, valorizzando aspetti che, a suo dire, erano stati ingiustamente trascurati. Questa operazione, come sottolineato dalla Corte, è inammissibile. Il ricorso è stato quindi respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per chi intende adire la Corte di Cassazione. Non è sufficiente lamentare una pena ritenuta ‘troppo alta’ per ottenere una revisione della sentenza. È necessario, invece, dimostrare che il giudice di merito abbia commesso un errore di diritto o abbia motivato la sua decisione in modo palesemente illogico o contraddittorio. Il tentativo di riaprire una discussione sui fatti o sulla valutazione discrezionale della pena è destinato a scontrarsi con una declaratoria di inammissibilità. La decisione rafforza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità, confermando l’ampia autonomia del giudice di primo e secondo grado nella commisurazione della sanzione penale, purché tale autonomia sia esercitata nel rispetto dei canoni della logica e della legalità.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza per il solo fatto che si ritiene la pena eccessiva?
No, non se l’impugnazione si limita a chiedere una nuova e diversa valutazione di elementi già considerati dal giudice di merito. Il ricorso è ammissibile solo se si denunciano vizi di legittimità, come una violazione di legge o una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria.

Cosa significa che un ricorso per Cassazione è “generico e meramente assertivo”?
Significa che il ricorso non articola specifiche censure di diritto contro la sentenza impugnata, ma si limita a esprimere un disaccordo con la decisione del giudice, chiedendo una rivalutazione dei fatti del caso. Questo tipo di ricorso esula dalle competenze della Corte di Cassazione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato per legge al pagamento delle spese processuali e, se non si possono escludere profili di colpa, anche al versamento di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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