Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18731 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18731 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a CANTU’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28/09/2023 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza 09/02/2023, rimodulando il trattamento sanzioNOMErio per il reato di cui all’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, condannava NOME COGNOME alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 17.250 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione sia in riferimento alla mancata assoluzione del COGNOME, cui andava riconosciuta la destinazione dello stupefacente al consumo di gruppo, sia l’applicazione del comma 5 dell’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Come ribadito dalla Corte, infatti, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di
fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Nel caso di specie, entrambe le concordi sentenze di merito avevano escluso l’ipotesi del consumo di gruppo, meramente asserita dal ricorrente ma non comprovata in alcun modo; desunto la destinazione dello stupefacente, in quantità tutt’altro che modica, allo spaccio, in ragione della presenza di un bilancino di precisione; quantificato, infine, la pena alla luce dei precedenti specifici dell’imputato.
Quanto alla fattispecie di lieve entità, essa è stata concordemente esclusa in esito a una valutazione globale del fatto (che considerava sia il quantitativo di cocaina, sia il possesso di stupefacenti di ben tre tipi diversi), in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01), secondo cui la fattispecie in esame è configurabile «solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio».
Il ricorso, che per un verso non si confronta affatto in modo realmente critico con la motivazione addotta dalle due sentenze, e per altro reitera pedissequamente le censure proposte con l’atto di appello, è quindi inammissibile per genericità.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.