Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35822 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35822 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSARNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/02/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con l’adozione delle statuizioni consequenziali.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, resa il 22 febbraio 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal difensore di NOME COGNOME avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Palmi il 15 aprile 2019 che – giudicando il suddetto COGNOME, imputato del reato di cui all’art. 73 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, poiché, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno aveva condotto senza patente, in quanto revocatagli, lo scooter Yamaha MBK, in Rosarno, il 3 ottobre 2017 – lo aveva dichiarato responsabile del reato ascrittogli e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione.
La Corte territoriale, a ragione del provvedimento assunto, ha osservato che con l’appello l’imputato si era limitato a sostenere l’insufficienza della prova, ma lo aveva fatto senza confutare gli elementi sui quali si era fondata la condanna, sicché ha ritenuto che l’appellante non avesse rispettato il disposto di cui all’art. 591, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 581, cod. proc. pen., secondo cui è inammissibile l’atto di appello che non contiene l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME chiedendone l’annullamento e deducendo un unico motivo con cui lamenta la violazione degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. e la carenza di motivazione.
Secondo il ricorrente, il riferimento alla lett. c) dell’art. 581, comma 1, cod. proc. pen. pure formulato dai giudici di secondo grado è privo di fondamento, in quanto nell’atto di appello le richieste, anche istruttorie, erano oltremodo chiare; in relazione alla dedotta mancanza di un adeguato quadro di prove, si era chiesta l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato; quanto, poi, all’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto a sostegn della chiesta assoluzione, nessuna aspecificità avrebbe dovuto rimproverarsi all’appellante, atteso che in quell’atto di impugnazione erano contenuti tanto i motivi di critica quanto l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi d fatto che sorreggevano la richiesta, essendosi stigmatizzata l’opzione del Tribunale di conferire rilievo assorbente alla testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria, senza porre in relazione i relativi esiti con la condotta concludente dell’imputato, che pure aveva dimostrato un comportamento collaborativo.
In definitiva, nell’atto di appello, la difesa non si era limitata a contestare la pronuncia impugnata, ma aveva preso specifica posizione sul punto indicando le ragioni per le quali non se ne condividevano le valutazioni, l’esigenza di
specificità non implicando analitiche e particolareggiate disquisizioni in ordine alle esposte ragioni di censura.
D’altro canto – osserva il ricorrente – l’ordinanza di inammissibilità, proprio perché assunta senza contraddittorio e produttiva dell’effetto di comprimere il doppio grado di giurisdizione di merito, avrebbe dovuto essere circoscritta a un ambito fissato in modo rigoroso, laddove nel caso in esame l’essere stata dedotta con l’atto di appello l’insufficienza della prova era argomentazione volta in modo univoco a conseguire la pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., pronuncia dovuta anche nel caso di insufficienza della prova della sussistenza del fatto: in tal senso, viene denunciata come mancante la motivazione alla base dell’inammissibilità, non risultando chiarite le ragioni per le quali gli argomenti difensivi esposti nell’impugnazione non costituivano valido motivo di appello, dato che l’ordinanza si era esaurita in una generica frase.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con le statuizioni consequenziali, osservando che il difetto di specificità dei motivi costituisce causa di inammissibilità anche dell’atto di appello, seppur da interpretarsi in modo restrittivo, nel rispetto delle garanzie difensive, e che nel caso in esame l’ordinanza emessa dalla Corte di appello ha esattamente rilevato che l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado non era dotata di specificità, quanto meno estrinseca, in quanto non si confrontava con le argomentazioni contenute nella sentenza emessa dal Tribunale, così come, a sua volta, il ricorso per cassazione ha omesso tale confronto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è da ritenersi fondato e va, quindi, accolto nei relativi termini, per le ragioni che seguono.
È da considerare assodato che, anche con riferimento al testo degli artt. 581 e 591 cod. proc. pen. vigente all’epoca della proposizione dell’atto di appello (27 maggio 2019), la Corte territoriale, nel valutare i requisiti di ammissibilità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 581, cod. proc. pen., fosse tenuta a conformarsi al principio di diritto, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità nella composizione più autorevole e qui condiviso, secondo cui “l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fat o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che
tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato” (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 01; v., fra le successive, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277811 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01).
Posto ciò, la motivazione posta dalla Corte territoriale alla base della declaratoria di inammissibilità si rivela fragile, in quanto essa si è risolt nell’osservare che l’atto di appello non conteneva l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggevano la richiesta di riforma, poiché la prospettazione dell’erronea valutazione del quadro probatorio, lamentato come insufficiente per pervenire alla sentenza di condanna, non confutava gli elementi posti a base della statuizione condannatoria.
Il raffronto della motivazione della decisione di primo grado e del contenuto dell’appello non corrobora l’enunciazione richiamata.
2.1. La dialettica argomentativa si era sviluppata nei termini seguenti.
Posta la contestazione a COGNOME del reato di cui all’art. 73 d.lgs. n. 159 del 2011, per aver condotto il suddetto veicolo mentre era gravato da misura di prevenzione personale, senza patente perché revocata, il Tribunale – alla prospettazione difensiva della rilevanza del comportamento collaborativo dell’imputato quale elemento determinante per l’esclusione della responsabilità penale in quel contesto concreto – aveva contrapposto l’argomento che esso non integrava, in carenza di altri dati, una giustificazione della condotta antigiuridica.
COGNOME, nell’atto di appello, aveva criticato questa impostazione osservando che il comportamento collaborativo evidenziato dalla difesa si era concretato nell’avere l’imputato rappresentato immediatamente che egli era stato necessitato a usare eccezionalmente il veicolo in questione (ciclomotore o motociclo che fosse), poiché era pressato dall’improcrastinabile necessità di rientrare in casa nell’orario stabilito dalle prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale onde evitare di incorrere nella corrispondente violazione.
La difesa aveva, pertanto, contrapposto al ragionamento del Tribunale la deduzione che il comportamento collaborativo dell’imputato, l’eccezionalità della situazione che aveva N determinato la sua condotta e la conseguente emersione della ragione per la quale aveva impiegato il veicolo in quella sola circostanza, senza peraltro essere stato controllato direttamente dagli operanti, ma avendo egli riferito senza riserve l’accaduto ai medesimi quando essi si erano recati presso la sua abitazione, integravano un complesso di elementi fattuali, imperniato sull’assoluta condizione di eccezionalità, tale da dover condurre, per l’insufficienza della prova degli elementi costitutivi del reato, alla sua assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
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2.2. Dal raffronto della sentenza di primo grado e dell’atto di gravame, dunque, si trae che l’appellante aveva opposto al ragionamento probatorio svolto dal primo Giudice, che aveva evidenziato la sostanziale ininfluenza delle ragioni della condotta oggetto di contestazione, un sufficiente (sotto il profilo della specificità della confutazione) apparato di argomentazioni tese a contrastarlo inquadrando l’addotta eccezionalità della condotta stessa come dato adeguato a farne invece apprezzare la giuridica rilevanza al fine dell’accertamento della prova piena della sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
Tali argomenti avevano contrastato la motivazione censurata in merito alla sussistenza e all’adeguatezza della prova su cui si era fondata la condanna, affrontandola con l’indicazione, certo basica ma identificabile, degli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche a sostegno della richiesta di assoluzione.
Il corrispondente motivo, parametrato peraltro all’essenzialità del discorso giustificativo connotante la motivazione posta a base della decisione impugnata, si caratterizzava, contrariamente alla conclusione raggiunta dalla Corte di appello, per una sufficiente specificità (non potendo obliterarsi che, come si è già sottolineato, l’onere di specificità a carico dell’impugnante è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato).
2.3. Ciò naturalmente non significava, né significa che le deduzioni fossero fondate e non fossero, invece, infondate, se del caso anche in modo manifesto: trattasi di analisi che non è conferente in questa sede, così come essa non era conferente all’atto della valutazione dell’ammissibilità o meno dell’atto di appello, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen.
Ove pure la tesi sostenuta a sostegno della necessità di pervenire alla sentenza assolutoria si fosse (e dunque rimanga) connotata per argomentazioni conducenti alla manifesta infondatezza, di tanto non poteva prendersi atto nella sede: in tema di impugnazioni, il sindacato del giudice di appello sull’ammissibilità dei motivi proposti non può estendersi – a differenza di quanto accade nel giudizio di legittimità e nell’appello civile – alla valutazione della manifesta infondatezza dei motivi stessi (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823 – 01; fra le successive, Sez. 5 – , Sentenza n. 11942 del 25/02/2020, COGNOME, ) Rv. 278859 – 01)i
Pertanto, resta chiaro il discrimine secondo cui il giudice di appello, pure a seguito della riforma dell’art. 581 cod. proc. pen. da parte della legge 23 giugno 2017, n. 103, può dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione solo quando i motivi difettino di specificità, ovvero quando non siano affatto argomentati o non affrontino la motivazione spesa nella sentenza impugnata, ma non quando siano ritenuti infondati, vale a dire inidonei, anche manifestamente, a confutarne
l’apparato motivazionale, dovendo in tal caso confermare la sentenza di primo grado (Sez. 4, n. 36533 del 15/09/2021, COGNOME, Rv. 281978 – 01).
2.4. Assodato quanto precede, deve concludersi che l’ordinanza impugnata avendo con essa la Corte di appello attratto nell’area dell’inammissibilità un atto di appello che aveva sufficientemente affrontato e contrastato la motivazione della sentenza di primo grado (con argomenti la cui fondatezza resta del tutto impregiudicata in questa sede, non funzionalizzata a valutarli) – deve essere annullata con rinvio al giudice che l’ha pronunciata affinché proceda all’esame di merito dell’appello.
Ferma l’intatta devoluzione alla Corte di appello dell’integrale disamina introdotta con l’atto di appello, risultato ammissibile, è opportuno segnalare, in riferimento alla peculiarità del caso di specie, la rilevanza, per la stessa verifica di sussistenza del reato, dell’accertamento delle precise connotazioni del veicolo con cui viene contestato essere stata commessa la violazione dell’art. 73 d.lgs. n. 159 del 2011 (vale a dire, ciclomotore, come recita l’imputazione, oppure motociclo, come si legge nella motivazione della sentenza di primo grado: per la decisività del discrimine v. Sez. 1, n. 6752 del 19/11/2018, dep. 2019, Miceli, Rv. 274803 – 01).
Si aggiunge che, nelle more del deposito della motivazione di questa decisione, è stata emessa la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2024 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73 cit., nella parte in prevede come reato la condotta di colui che – sottoposto a misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, ma senza che per tale ragione gli sia stata revocata la patente di guida – si ponga alla guida di un veicolo dopo che il titolo abilitativo gli sia stato revocato o sospeso a causa di precedenti violazioni di disposizioni del codice della strada.
È, infine, utile evidenziare che la pena detentiva irrogata dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata risulta essere stata individuata in quella della reclusione, pur essendo stato contestato e ritenuto un reato contravvenzionale.
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P.Q.M.
o g GLYPH Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di (1) csi N pe I lo di Reggio Calabria.
Così deciso il 19 giugno 2024