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Inammissibilità dell’appello: la sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato l’inammissibilità dell’appello presentato da un imputato, chiarendo un principio fondamentale: un’impugnazione è generica e quindi inammissibile se non contesta specificamente le argomentazioni decisive della sentenza di primo grado. In questo caso, l’appello non affrontava la reiterata violazione di un divieto di avvicinamento, motivo per cui il giudice aveva negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità dell’appello: quando i motivi sono troppo generici

L’inammissibilità dell’appello è una delle questioni procedurali più delicate e frequenti nel processo penale. Un’impugnazione non correttamente formulata può precludere l’accesso a un nuovo grado di giudizio, con conseguenze decisive per l’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8456/2024) offre un chiarimento fondamentale: un appello è inammissibile se le sue censure non si confrontano specificamente con le ragioni fondanti della sentenza impugnata. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di primo grado. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello, ma la Corte d’Appello lo dichiarava inammissibile. Contro questa decisione, l’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando una violazione di legge. Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente giudicato nel merito la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), anziché limitarsi a una valutazione astratta dei motivi, come richiesto per una declaratoria di inammissibilità.

La Decisione sull’Inammissibilità dell’Appello

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo manifestamente infondato e confermando la decisione della Corte territoriale. I giudici supremi hanno chiarito che la Corte d’Appello non ha affatto compiuto una valutazione di merito. Al contrario, si è limitata a constatare che l’atto di appello era intrinsecamente generico.

Il punto cruciale era che la sentenza di primo grado aveva negato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. basandosi su un argomento specifico e decisivo: l’imputato aveva violato più volte il divieto, impostogli dal Questore, di avvicinarsi a un determinato locale pubblico. L’atto di appello, invece di contestare puntualmente questa circostanza, si limitava a riproporre la richiesta in termini generici, senza confrontarsi con il cuore della motivazione del primo giudice. Questo mancato confronto rende l’impugnazione priva della specificità richiesta dalla legge (art. 581 c.p.p.), determinandone, appunto, l’inammissibilità dell’appello.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Cassazione si fonda su un principio consolidato, richiamando l’autorevole precedente delle Sezioni Unite (sentenza Galtelli n. 8825/2016). Il principio è che non basta lamentare un’ingiustizia o riproporre le proprie tesi difensive; è necessario che l’atto di impugnazione instauri un dialogo critico con la sentenza che si intende contestare. L’appellante deve “smontare” punto per punto il ragionamento del giudice di primo grado, evidenziandone le presunte falle logiche o giuridiche.

Nel caso di specie, l’argomento centrale del Tribunale era la reiterata violazione del divieto di avvicinamento, un comportamento che evidentemente strideva con la nozione di “particolare tenuità del fatto”. L’appello, ignorando questo aspetto, si è rivelato uno strumento spuntato, incapace di incidere sulla decisione. La Corte territoriale, quindi, non ha detto che la richiesta era infondata nel merito, ma che l’appello era formulato in modo tale da non permettere neanche di iniziare una discussione sul merito, essendo privo dei requisiti minimi di specificità. La sua valutazione non è stata sul “se” l’imputato avesse diritto al beneficio, ma sul “come” tale diritto era stato fatto valere in appello.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale per ogni operatore del diritto: la redazione di un atto di impugnazione richiede la massima cura e precisione. Non è sufficiente una generica contestazione della sentenza. È indispensabile analizzare in profondità la motivazione del giudice e costruire un’argomentazione critica che si confronti direttamente con ogni passaggio logico della decisione. In caso contrario, il rischio concreto è quello di vedersi dichiarare l’inammissibilità dell’appello, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso esaminato, dove il ricorrente è stato condannato al versamento di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile in primo luogo dalla Corte d’Appello?
L’appello è stato ritenuto inammissibile perché le censure erano generiche e non si confrontavano con l’argomento specifico e decisivo posto a fondamento della sentenza di primo grado, ovvero la circostanza che l’imputato avesse violato più volte un divieto di avvicinamento a un locale.

La Corte d’Appello ha giudicato il merito della questione?
No. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non ha valutato se la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p. fosse fondata o meno, ma si è limitata a verificare che l’atto di appello fosse privo della specificità richiesta dalla legge, non contestando le ragioni specifiche della decisione impugnata.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
La Cassazione ha dichiarato inammissibile anche il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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