Inammissibilità del ricorso in Cassazione: quando i motivi sono solo una copia
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione, Sezione Penale, offre un’importante lezione sulla corretta formulazione dei ricorsi, evidenziando le conseguenze dell’inammissibilità del ricorso quando questo si limita a una mera ripetizione dei motivi già discussi in appello. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni che hanno condotto la Suprema Corte a questa conclusione.
I fatti del caso
Un imputato, dopo essere stato condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Palermo, decideva di presentare ricorso per Cassazione. I motivi del suo ricorso contestavano la violazione di diverse norme del codice penale, tra cui quelle relative alla particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) e alle circostanze attenuanti (art. 62 bis e 69 c.p.). Inoltre, il ricorrente sollevava una questione relativa alla maturazione della prescrizione del reato.
L’analisi della Corte d’Appello e l’inammissibilità del ricorso
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ha rilevato una criticità fondamentale: i motivi presentati non erano altro che una “pedissequa reiterazione” di quelli già dedotti nel giudizio d’appello. La Corte territoriale aveva già esaminato e puntualmente respinto tali argomentazioni con una motivazione congrua e logica. Secondo i giudici di legittimità, il ricorso si limitava a proporre una rilettura alternativa del materiale probatorio, senza però svolgere una critica argomentata e specifica contro le ragioni esposte nella sentenza impugnata. Questo tipo di approccio snatura la funzione del ricorso in Cassazione, rendendolo solo “apparente”.
La questione della prescrizione e l’inammissibilità del ricorso
Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la prescrizione. Il ricorrente sosteneva che il reato si fosse estinto. Tuttavia, la Corte ha accertato che, a causa di sospensioni dei termini dovute a richieste della difesa per un totale di 232 giorni, la prescrizione non era ancora maturata alla data della sentenza d’appello, ma si sarebbe perfezionata solo successivamente. A questo punto, entra in gioco un principio consolidato, richiamato dalla Corte (Sez. U., n. 32 del 2000): l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare l’eventuale prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata. In altre parole, un ricorso inammissibile “congela” la situazione al momento della decisione di secondo grado, impedendo all’imputato di beneficiare del tempo trascorso successivamente.
Le motivazioni della decisione
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri. In primo luogo, la natura del giudizio di Cassazione. Questo non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare i fatti, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione delle norme di diritto e sulla logicità della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che si limita a ripetere gli stessi argomenti dell’appello, senza confrontarsi criticamente con la decisione del giudice di secondo grado, è privo della sua funzione tipica e, pertanto, inammissibile. In secondo luogo, la manifesta infondatezza del motivo relativo alla prescrizione, smentito dagli atti processuali che documentavano le sospensioni dei termini, ha ulteriormente rafforzato la decisione di inammissibilità. La combinazione di questi elementi ha portato la Corte a dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Conclusioni
L’ordinanza conferma che la tecnica redazionale di un ricorso per Cassazione è cruciale. Non è sufficiente dissentire dalla decisione di merito; è necessario articolare critiche specifiche, pertinenti e argomentate che mettano in luce vizi di legittimità della sentenza impugnata. La semplice riproposizione dei motivi d’appello conduce inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità. Questa decisione comporta non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, e, aspetto non meno importante, impedisce di far valere cause di estinzione del reato come la prescrizione maturate dopo la sentenza di secondo grado.
Quando un ricorso in Cassazione viene considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando i motivi presentati sono una mera e pedissequa reiterazione di quelli già dedotti e respinti in appello, senza formulare una critica argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata, risultando così soltanto apparenti.
Cosa succede se la prescrizione matura dopo la sentenza d’appello ma il ricorso è inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo dell’eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata. La situazione giuridica rimane cristallizzata al momento della decisione di secondo grado.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5736 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che i motivi di ricorso, che contestano la violazione della legge penale in relazione agli artt. 707, 131 bis, 62 bis, 69 e 157 cod. perì., si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello, fondati su una rilettura del compendio istruttorio e puntualmente disattesi dalla corte di merito con congrua motivazione, risultando pertanto soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (si vedano, in particolare, pagg. 2-3 della sentenza impugnata);
tenuto conto che l’ultimo motivo di ricorso – oltre che analogamente reiterativo – risulta essere anche manifestamente infondato, poiché afferente a supposta violazione di norme processuali palesemente smentite dagli atti (si veda, in particolare, pag. 2 della sentenza impugnata, ove la Corte ha già dato conto delle sospensioni dei termini per l’adesione della difesa alle udienze, per complessivi giorni 232 e, pertanto, il termine prescrizionale non era ancora maturato alla data di pronuncia della sentenza di appello del 31/05/2023, perfezionandosi solo in data 30/06/2023);
che l’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, COGNOME Luca, Rv. 217266);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.N11.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 05/12/2023
Il Consjglier Estensore