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Inammissibilità del ricorso: quando è generico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 5005/2024, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato da un imputato. La decisione si fonda sulla genericità dei motivi, che non contestavano specificamente le argomentazioni della Corte d’Appello, ma si limitavano a riproporre censure già esaminate. La Corte ha ribadito che un ricorso, per essere ammissibile, deve instaurare un dialogo critico con la sentenza impugnata, pena la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: la Cassazione chiarisce i requisiti di specificità

L’esito di un processo non dipende solo dalla fondatezza delle proprie ragioni, ma anche dal rispetto scrupoloso delle regole procedurali. Un principio fondamentale, spesso sottovalutato, è quello della specificità dei motivi di impugnazione. La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 5005/2024 offre un’importante lezione sull’inammissibilità del ricorso quando questo risulta generico e non si confronta criticamente con la decisione contestata. Analizziamo insieme questo caso per capire quali sono i requisiti essenziali per un ricorso efficace.

Il caso in esame: un appello contro la condanna

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte di Appello di Torino. L’imputato era stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale e lamentava presunti vizi di motivazione nella sentenza di secondo grado. Inoltre, contestava il trattamento sanzionatorio, in particolare il riconoscimento della recidiva e la mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, che a suo dire avrebbero dovuto comportare una pena più mite.

Il ricorrente ha quindi adito la Corte di Cassazione, sollevando due distinti motivi di ricorso. Il primo mirava a contestare la ricostruzione dei fatti e la logicità della motivazione relativa ai reati di resistenza. Il secondo, invece, si concentrava sugli aspetti legati alla determinazione della pena, criticando la valutazione della Corte d’Appello sulla sua pericolosità e sui suoi precedenti penali.

L’inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi

La Corte di Cassazione, esaminati gli atti, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso in toto. La decisione si fonda su un concetto chiave della procedura penale: i motivi di ricorso non possono essere astratti o meramente ripetitivi, ma devono contenere una critica puntuale e specifica delle argomentazioni contenute nella sentenza che si intende impugnare. In mancanza di questo confronto diretto, l’impugnazione perde la sua funzione e viene considerata aspecifica, e quindi inammissibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i due motivi, giungendo alla medesima conclusione per entrambi.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo ai vizi di motivazione sulla resistenza a pubblico ufficiale, i giudici hanno rilevato la sua totale genericità. Il ricorrente, infatti, non aveva creato una reale correlazione tra le proprie censure e le specifiche ragioni esposte dalla Corte d’Appello. In pratica, il ricorso non spiegava perché la motivazione della sentenza impugnata fosse errata, ma si limitava a riproporre le proprie tesi in modo astratto. La Corte ha richiamato un suo consolidato orientamento, secondo cui l’atto di impugnazione non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, altrimenti cade nel vizio di aspecificità.

Anche il secondo motivo è stato giudicato generico e, in più, riproduttivo di una censura a cui la Corte d’Appello aveva già fornito una risposta chiara e logica. I giudici di secondo grado avevano infatti concesso le attenuanti generiche in regime di equivalenza con la recidiva (e non di prevalenza), riducendo la pena, ma avevano motivato tale scelta evidenziando la pericolosità del soggetto, desunta sia dalla condotta tenuta sia da un precedente specifico commesso poco tempo prima. La Cassazione ha ritenuto tale motivazione adeguata e congrua, e la semplice riproposizione della stessa doglianza in sede di legittimità, senza attaccare il nucleo del ragionamento del giudice d’appello, è stata considerata inammissibile.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche della decisione

La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda impugnare un provvedimento giudiziario: non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione. È necessario redigere un atto di impugnazione che sia un vero e proprio ‘dialogo critico’ con la sentenza contestata. Ogni censura deve essere mirata, specifica e deve attaccare le fondamenta logico-giuridiche del ragionamento del giudice precedente. La mera ripetizione di argomenti già respinti, senza aggiungere nuovi e pertinenti elementi critici, conduce inesorabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso. Le conseguenze non sono banali: la sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

Quando un ricorso in Cassazione viene considerato “generico”?
Un ricorso è considerato generico quando manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione. In altre parole, è generico se non contesta specificamente le argomentazioni della sentenza che si attacca.

Cosa succede se i motivi del ricorso sono una semplice ripetizione di quanto già discusso in appello?
Se i motivi sono una riproduzione di una censura identica a cui la Corte di Appello ha già dato una risposta effettiva, il ricorso viene considerato generico e riproduttivo, e quindi dichiarato inammissibile. Non è sufficiente ripetere le proprie tesi, ma è necessario criticare la risposta fornita dal giudice precedente.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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