Inammissibilità del Ricorso: Quando i Motivi Dimenticati in Appello Costano Caro
Nel complesso mondo della procedura penale, ogni fase processuale ha le sue regole e i suoi termini invalicabili. Dimenticare di sollevare una questione nel momento opportuno può avere conseguenze definitive, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso in esame sottolinea un principio fondamentale: l’importanza della corretta formulazione dei motivi di gravame sin dal giudizio d’appello, pena l’inammissibilità del ricorso in sede di legittimità. Analizziamo come un errore procedurale possa precludere l’esame nel merito di una doglianza.
Il Caso in Esame: Dal Reato alla Cassazione
La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato previsto dall’art. 642, secondo comma, del codice penale. La sentenza di primo grado è stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Torino. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi.
I Motivi del Ricorso
L’imputato ha basato la sua difesa in Cassazione su due argomenti principali:
1. Difetto di una condizione di procedibilità: Sosteneva la mancanza di legittimazione del soggetto che aveva sporto la querela, un vizio che, a suo dire, avrebbe dovuto bloccare l’intero procedimento sin dall’inizio.
2. Mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto: Lamentava che i giudici di merito non avessero applicato la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., che esclude la punibilità per reati di minima offensività.
L’Inammissibilità del Ricorso per Motivi Procedurali
La Suprema Corte, tuttavia, non è nemmeno entrata nel merito delle questioni sollevate, dichiarando il ricorso inammissibile per ragioni squisitamente procedurali che meritano un’attenta analisi.
Il Primo Motivo: La Censura Tardiva
Con riferimento alla presunta assenza della condizione di procedibilità, i Giudici hanno rilevato un vizio insanabile: la questione non era mai stata sollevata come motivo d’appello. L’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce chiaramente che non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello. Questa regola, nota come principio di devoluzione, impedisce che il giudizio di legittimità si trasformi in una terza istanza di merito, costringendo le parti a cristallizzare le loro doglianze nel secondo grado di giudizio. La Corte ha precisato che, se il ricorrente avesse ritenuto errato il riepilogo dei motivi di gravame contenuto nella sentenza d’appello, avrebbe dovuto contestarlo specificamente, cosa che non ha fatto.
Il Secondo Motivo: La Mera Ripetizione degli Argomenti
Anche la seconda doglianza, relativa all’art. 131-bis c.p., ha subito la stessa sorte. La Corte ha osservato che le argomentazioni del ricorrente erano una “pedissequa reiterazione” di quelle già presentate in appello e puntualmente respinte dalla Corte territoriale con motivazioni corrette e giuridicamente fondate. Un ricorso per Cassazione, per essere ammissibile, deve contenere una critica specifica e argomentata contro la decisione impugnata, evidenziandone vizi logici o errori di diritto. Limitarsi a riproporre le stesse tesi, senza confrontarsi con le ragioni del giudice d’appello, rende il motivo non specifico e, quindi, inammissibile.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La decisione della Cassazione si fonda sul rigoroso rispetto delle norme procedurali che governano i mezzi di impugnazione. Il giudizio di legittimità non serve a riesaminare i fatti, ma a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Per questo motivo, il ricorso deve essere strutturato come una critica mirata a tale sentenza, non come una generica riproposizione di tesi difensive già vagliate. L’ordinanza ribadisce che il mancato rispetto di questi requisiti formali e sostanziali conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, che impedisce alla Corte di pronunciarsi sulla fondatezza delle censure.
Conclusioni
La pronuncia in commento offre una lezione cruciale per la pratica forense: la strategia difensiva deve essere costruita con attenzione fin dai primi gradi di giudizio. Ogni motivo di doglianza deve essere tempestivamente sollevato in appello per poter essere, eventualmente, riproposto in Cassazione. Inoltre, il ricorso di legittimità richiede uno sforzo argomentativo ulteriore rispetto ai precedenti gradi: non basta ripetere, bisogna criticare specificamente il ragionamento del giudice precedente. In caso contrario, come avvenuto nel caso di specie, il risultato sarà non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché un motivo di ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile se non è stato sollevato in appello?
Secondo la Corte, in base all’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, una censura non può essere esaminata in sede di legittimità se non è stata precedentemente dedotta come motivo di appello. Questa regola garantisce il corretto svolgimento dei gradi di giudizio, impedendo che vengano introdotte per la prima volta in Cassazione questioni che dovevano essere valutate dal giudice di merito.
Cosa significa che un motivo di ricorso è una “pedissequa reiterazione” di argomenti già dedotti?
Significa che il ricorrente si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte nel precedente grado di giudizio (in questo caso, l’appello), senza formulare una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso così formulato è considerato non specifico e quindi inammissibile.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte di Cassazione non esamini nel merito le questioni sollevate e che la sentenza impugnata diventi definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2826 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2826 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAMEZIA TERME DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/02/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in data 07/02/2023 della Corte di appello di Torino, che ha confermato la sentenza in data 09/03/2021, cje lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 642, comma secondo, cod. pen..
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che lamenta l’assenza della condizione di procedibilità per difetto di legittimazione del soggetto che ha proposto la querela, non è consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda pagina 3), che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
Considerato che la seconda doglianza, con cui si contesta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., è fondata su censure che si risolvon nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese con corretti argomenti giuridici dalla corte di merito (Si veda pagina 5), così che le stesse sono non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24 ottobre 2023 GLYPH