Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 32874 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1   Num. 32874  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
avverso l’ordinanza del 17/09/2024 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha dichiarato inammissibili le istanze di accertamento della collaborazione ex art. 58ter legge 26 luglio 1975, n. 354 e di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47ter comma 1bis Ord. pen., contestualmente rigettando l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale a norma dell’art. 94 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, presentate da XXXXXXXXXXX, detenuto in espiazione della pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, inflitta per due episodi di rapina pluriaggravata, rispettivamente consumati il 26/09/2022 e il 13/11/2022.
Ricorre per cassazione XXXXXXXXXXX, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, domandando il differimento della pena in regime di detenzione domiciliare, anche in ragione della disponibilità dimostrata in atti e previo riconoscimento dei benefici ex art. 58ter Ord. pen. o, in subordine, l’annullamento con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Milano, deducendo tre motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, vengono denunciati vizi ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge, assenza ed incongruità della motivazione, con riferimento agli artt. 111 Cost., 127 cod. proc. pen. e 94 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309. L’udienza del 17 settembre 2024 era stata originariamente fissata per provvedere in ordine ad altra domanda e – quanto all’istanza di affidamento ex art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990 – la riunione dei procedimenti, disposta dal Tribunale di sorveglianza, ha impedito una adeguata preparazione della difesa; inoltre, non Ł stata presa in considerazione la mancanza, nel fascicolo, delle relazioni comportamentali inerenti al condannato.
2.2. Con il secondo motivo, vengono denunciate violazioni ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione di legge, nonchØ per assenza ed incongruità della motivazione, con riferimento all’art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990, nei suoi presupposti
applicativi.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e d) cod. proc. pen., per violazione di legge e carenza di motivazione, in merito alla richiesta di differimento previo riconoscimento dell’art. 58ter Ord. pen.
Il Tribunale di sorveglianza, sul punto, ha omesso qualsiasi motivazione, senza tener conto della piena e fattiva collaborazione manifestata dal condannato; questi ha ottenuto, dal Magistrato di sorveglianza di Pavia, il riconoscimento di aver tenuto un comportamento esemplare per tre semestri ed ha sempre preso parte agli incontri inframurari del SERT. Manca, nel provvedimento che si impugna, il dato della adeguatezza e proporzionalità, relativa ad una vera ed effettiva valutazione temporale della condotta.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’ordinanza ha chiaramente evidenziato come, secondo quanto suggerito dalle relazioni comportamentali, l’affidamento in struttura residenziale sia quello che avrebbe maggiori possibilità di successo; l’affidamento non residenziale, viceversa, Ł stato ritenuto inadeguato, in ragione della mancanza di una stabile occupazione lavorativa da parte del condannato. Si tratta di una valutazione non manifestamente illogica, nØ contraddittoria.
In punto di persistente pericolosità sociale, rileva anche la condanna non definitiva – per il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 309 del 1990 – alla pena di tre anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione.
La doglianza inerente al mancato riconoscimento della collaborazione Ł generica, essendo circoscritta all’evidenziazione della condotta collaborativa serbata dal soggetto, durante il processo a suo carico definito con applicazione di pena concordata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
Per ciò che attiene alla richiesta di detenzione domiciliare ex art. 47ter comma 1bis Ord. pen., essa Ł stata disattesa del Tribunale di sorveglianza, in ragione del fatto che il condannato annovera una condanna per un reato ostativo. Tale profilo non viene minimamente avversato dalla difesa, a mezzo dell’impugnazione, tanto che tale misura viene invocata esclusivamente in sede di conclusioni riportate in calce al ricorso e peraltro – del tutto impropriamente – mediante una istanza rivolta direttamente a questa Corte.
Il primo motivo, di natura processuale, riveste un carattere preliminare ed Ł incentrato sull’affermazione secondo la quale – una volta fissata l’udienza del 07/09/2024, esclusivamente al fine di procedere alla delibazione della domanda ex art. 47ter Ord. pen. sarebbe stata in tale data trattata anche la richiesta, separatamente formulata, di affidamento terapeutico ex art. 94 d.P.R. n. 309 del 1990. In altri termini la difesa, avendo ricevuto avviso solo della trattazione del procedimento originato dalla prima istanza, sarebbe stata messa di fronte a una non preventivata riunione ed alla contestuale trattazione dell’insieme delle istanze formulate; ciò avrebbe cagionato un vulnus alla possibilità di compiuta esplicazione della strategia difensiva.
3.1. ¨ noto, anzitutto, il principio di diritto ripetutamente chiarito da questa Corte, secondo cui – allorquando venga posta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, deducendosi quindi un error in procedendo – questo Ł giudice dei presupposti della decisione contestata, sulla quale esplica il proprio controllo, quale che sia il ragionamento seguito dal giudice di merito per giustificarla e quale che sia l’apparato motivazione esibito. Deriva da tale impostazione concettuale il fatto che la Corte di cassazione – in presenza di una doglianza di natura processuale – possa e debba prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e così, ove necessario anche
accedendo agli atti, sia tenuta a valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, pure laddove essa non appaia correttamente argomentata, ovvero risulti giustificata solo a posteriori (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, COGNOME, Rv. 220092; Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636 – 01; Sez. 5, n. 19388 del 26/02/2018, COGNOME, Rv. 273311; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304).
3.2. Tanto chiarito, al fine di perimetrare la tipologia di sindacato ora demandato a questo Collegio, non vi Ł chi non rilevi l’infondatezza della prospettazione difensiva. E infatti, dal verbale dell’udienza del 17 settembre 2024, si evince come la difesa non abbia sollevato alcuna obiezione, sul momento, in ordine alla disposta trattazione congiunta delle plurime istanze, così dimostrando di accettare il contraddittorio e di non ravvisare possibili lesioni alle prerogative difensive; le conclusioni ivi formulate, infatti, attengono a tutti i profili rilevanti per le diverse richieste.
La base logico-giuridica da cui muove l’avversata decisione, quindi, non viene decisivamente contrastata dall’errore denunciato dal ricorrente.
Giova infatti osservare come – laddove venga dedotta l’invalidità, o anche il travisamento di un atto di rilevanza probatoria – non basti invocare l’espunzione delle relative risultanze, dall’orizzonte cognitivo e valutativo del giudice, essendo ben possibile che l’elemento probatorio illegittimamente assunto (o erroneamente percepito, o anche l’errata sequenza procedurale seguita) non infirmi in maniera irreversibile la saldezza logica dell’impianto giustificativo, posto a sostegno del decisum , residuando comunque argomentazioni di inconfutabile spessore concettuale. Si deve in ogni caso procedere, in sostanza, alla c.d. “prova di resistenza”, spettando al ricorrente argomentare adeguatamente, circa l’incidenza del preteso errore sulla solidità dell’impianto decisorio.
Nel caso in disamina, la doglianza inerente alla trattazione congiunta delle plurime istanze  Ł  sostanzialmente  restata  fine  a  sØ  stessa,  non  essendo  corredata  dalla prospettazione di elementi eventualmente pretermessi o di specifiche allegazioni che siano in tal modo divenute impossibili; la censura assume così – del tutto impropriamente – un tenore autoreferenziale ed immediatamente decisivo e non può che essere disattesa.
4.Con il secondo motivo, la difesa assume essere errata l’avversata decisione, laddove verrebbe attribuita alla mancata accettazione dell’ingresso in Comunità – da parte del ricorrente – la valenza evocativa di una pervicace inclinazione verso la delinquenza. Sottolinea la difesa, inoltre, l’assenza – nell’incarto processuale – di qualsivoglia relazione di tenore sfavorevole, in grado di asseverare l’assunto che il condannato si sia accostato in modo superficiale e disinteressato al percorso di recupero.
4.1. Giova ricordare, allora, come pacificamente il condannato, ad agosto 2023, abbia rifiutato il proposto programma terapeutico ed abbia quindi inteso non accettare il percorso comunitario. Il Tribunale di sorveglianza, consequenzialmente, ha dedotto da tale dato oggettivo la sussistenza di una persistente volontà incline alla delinquenza, valorizzando proprio il netto rifiuto opposto dal ricorrente, rispetto alla prospettiva dell’ingresso in Comunità (unico percorso che era stato reputato idoneo dal Servizio).
Senza minimamente negare tale fatto, la difesa limita la critica alla pura e semplice affermazione dell’asserita idoneità anche di un programma di tipo non residenziale.
4.2. Il principio di diritto che governa la materia, però, si basa sul fatto che la funzione tipica  dell’impugnazione  debba  consistere  in  una  censura  argomentata,  avverso  il provvedimento al quale essa si riferisce; tale forma di revisione critica si realizza attraverso la presentazione di doglianze che – sotto comminatoria di inammissibilità – contengano un confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per
tutte, Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
Il motivo di ricorso in cassazione Ł, infatti, caratterizzato da una duplice specificità, dovendo contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione e, contemporaneamente, enucleare in modo specifico il vizio denunciato. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione, tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen, alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Sami, Rv. 277710 – 01; Sez. 2, n. 45958 del 21/10/2022, COGNOME, non mass.).
Il motivo, in definitiva, Ł distonico rispetto al contenuto della decisione e, quindi, non può che essere disatteso.
Con riferimento alla invocata collaborazione ex art. 58ter Ord. pen., oggetto del terzo motivo, giova rifarsi alla costante giurisprudenza di legittimità, che ha piø volte chiarito come – laddove vengano in rilievo soggetti condannati per reati ostativi cd. “di prima fascia” – in forza della novella apportata all’art.4bis legge n. 354 del 1974 dal decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, non assume piø rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria. ¨ invece riservato al giudice, in ragione della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, l’esame del percorso rieducativo compiuto dal condannato e la valutazione circa l’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso e ciò anche in virtø degli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4bis , comma 2, Ord. pen.›› (si veda Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, COGNOME, Rv. 284921 – 01).
Sul punto specifico, la critica difensiva Ł permeata da una marcata genericità, in quanto fondata su una apodittica e non dimostrata asserzione, circa l’esistenza di una condotta collaborativa da parte del ricorrente, nel corso del processo culminato con applicazione di pena ai sensi e per gli effetti dell’art. 444 cod. proc. pen.; la difesa, però, manca di attribuire all’affermazione un apprezzabile substrato contenutistico, così rendendo inammissibile il motivo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex  lege la  condanna  del  ricorrente  al  pagamento  delle  spese  processuali. Ricorrendone le condizioni, infine, deve essere disposta l’annotazione di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il ‘codice in materia di protezione dei dati personali’.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 16/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME