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Inammissibilità del ricorso: l’onere della prova

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso di un imputato condannato in appello per evasione. Il motivo principale del ricorso, relativo alla presunta tardività dell’appello del Pubblico Ministero, è stato giudicato manifestamente infondato perché l’imputato non ha fornito prove concrete a sostegno della sua tesi. La sentenza sottolinea che l’onere della prova su tali eccezioni procedurali ricade su chi le solleva, comportando, in caso di inammissibilità, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: L’Importanza di Provare le Proprie Affermazioni

Nel processo penale, sollevare un’eccezione non è sufficiente: è fondamentale dimostrarla. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio, dichiarando l’inammissibilità del ricorso di un imputato e condannandolo al pagamento delle spese. Il caso evidenzia come un motivo di ricorso, anche se potenzialmente valido, risulti inefficace se basato su affermazioni generiche e prive di riscontri probatori. Analizziamo insieme la vicenda e le sue implicazioni pratiche.

Il Percorso Giudiziario del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza del Tribunale di Bari che, pur riconoscendo la colpevolezza di un soggetto per il reato di evasione (art. 385 c.p.), aveva dichiarato la non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p.

Successivamente, la Corte di Appello di Bari, accogliendo l’impugnazione del Pubblico Ministero, aveva riformato la decisione di primo grado, condannando l’imputato. La Corte territoriale aveva infatti escluso la possibilità di applicare la causa di non punibilità, ritenendo che il comportamento dell’imputato non fosse meritevole di tale beneficio.

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali.

I Motivi del Ricorso e la questione della tardività

Il ricorrente ha presentato alla Suprema Corte due doglianze:
1. Tardività dell’appello del Pubblico Ministero: Il primo e più rilevante motivo si concentrava su un vizio procedurale. La difesa sosteneva che l’appello del PM fosse stato depositato oltre il termine di legge. Poiché la sentenza di primo grado era stata emessa con motivazione contestuale il 20 luglio 2018, il termine per impugnare scadeva il 4 settembre 2018. L’appello, invece, risultava depositato il 6 settembre 2018, quindi tardivamente.
2. Violazione di legge sull’art. 131-bis c.p.: Il secondo motivo criticava la decisione della Corte d’Appello di escludere la causa di non punibilità, sostenendo che la valutazione fosse basata su elementi errati o non pertinenti, come precedenti penali unificati in un patteggiamento.

La Decisione sulla Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando l’inammissibilità del ricorso. La decisione si è concentrata in modo quasi esclusivo sul primo motivo, ritenendolo manifestamente infondato e assorbente rispetto al secondo.

le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito un punto cruciale in tema di onere della prova. Sebbene il ricorrente avesse sollevato la questione della tardività dell’appello del PM, non ha fornito alcuna prova a supporto di tale affermazione. I giudici hanno specificato che “la dedotta tardività dell’appello del Pubblico ministero avrebbe dovuto essere allegata e dimostrata in questa sede dallo stesso ricorrente”.

Dall’esame degli atti, infatti, pur essendo la sentenza stata emessa il 20 luglio 2018, non vi era prova della data esatta in cui il PM aveva ricevuto la comunicazione. Anzi, un timbro sulla comunicazione, sebbene privo di firma, indicava come data di ricezione il 24 luglio 2018. Partendo da questa data, il termine per l’appello sarebbe scaduto ben dopo il 6 settembre, rendendo l’impugnazione del PM tempestiva.

Di fronte a questa incertezza, l’affermazione del ricorrente è stata giudicata “un assunto generico e indimostrato”. Non basta quindi eccepire una violazione procedurale; è necessario fornire gli elementi concreti che la dimostrino. La mancanza di tale prova rende il motivo manifestamente infondato e, di conseguenza, l’intero ricorso inammissibile.

le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per la prassi legale. L’inammissibilità del ricorso non solo impedisce l’esame nel merito delle questioni sollevate, ma comporta anche conseguenze economiche significative per il ricorrente. In questo caso, oltre al pagamento delle spese processuali, è stata disposta la condanna al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende.

La lezione pratica è chiara: chi intende far valere un vizio procedurale, come la tardività di un atto, ha l’onere di provare la propria affermazione in modo rigoroso. Affidarsi a deduzioni generiche o non supportate da documenti certi espone al rischio concreto di vedere la propria impugnazione respinta in rito, con tutte le conseguenze negative del caso.

Chi ha l’onere di provare la tardività di un appello presentato dalla controparte?
Secondo la sentenza, l’onere di allegare e dimostrare la tardività dell’appello spetta alla parte che la eccepisce. Una semplice affermazione generica e non provata è insufficiente per fondare un motivo di ricorso.

Cosa succede se un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una sanzione pecuniaria (una somma di euro tremila) in favore della Cassa delle Ammende.

Può un motivo di ricorso basarsi su un’affermazione non dimostrata?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una deduzione difensiva fondata su un “assunto generico e indimostrato” è considerata manifestamente infondata. È necessario fornire elementi probatori concreti a supporto delle proprie tesi per evitare l’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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