Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34993 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34993 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Noia (Na) il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Ottaviano (Na) il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a San Gennaro Vesuviano (Na) il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nato ad Avellino il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 5448/23 della Corte di appello di Napoli del 26 aprile 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi; sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME; sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità di tutti i ricorsi; sentiti, altresì, per i ricorrenti COGNOME ed COGNOME, e, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME, del foro di Napoli, anche per i ricorrenti RAGIONE_SOCIALE COGNOME e COGNOME, l’AVV_NOTAIO COGNOME, del foro di Napoli, nonché, per il ricorrente COGNOME, l’AVV_NOTAIO, del foro di Napoli, i quali hanno tutti insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, decidendo sui ricorsi presentati dagli imputati dei quali era stata riconosciuta la penale responsabilità, ha, in data 26 aprile 2023, solo parzialmente riformato la sentenza con la quale, il precedente 18 marzo 2022 il Gup del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva condannato, per quanto ora interessa, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, alla pena per ciascuno di essi ritenuta di giustizia, avendoli ritenuti – ad eccezione di COGNOME, COGNOME e COGNOME che sono stati assolti ciascuno per una sola delle ipotesi di reato loro contestate – colpevoli per i fatti loro ascritti, aventi ad oggetto una serie di reati, anche di carattere associativo, connessi al traffico delle sostanze stupefacenti.
La riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado operata dalla Corte territoriale ha esclusivamente riguardato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore di COGNOME NOME, la cui pena è stata, pertanto, rideterminata in anni 6 e mesi 2 di reclusione, salvo il resto, e la definizione ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. delle posizioni di COGNOME e COGNOME, per i quali la pena è stata contenuta in anni 5 di reclusione ed euri 18.000,00 di multa ciascuno; nel resto la sentenza di primo grado è stata confermata.
Hanno interposto ricorso per cassazione, attraverso le proprie difese fiduciarie, gli imputati dianzi elencati, affidando le proprie lagnanze agli argomenti qui di seguito sinteticamente riportati.
La difesa di COGNOME NOME ha lamentato la mancanza di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio che, ad avviso del ricorrente, sarebbe stato il frutto della omessa valutazione degli elementi di giudizio che la difesa aveva rappresentato in occasione della proposizione del gravame – afferenti, in particolare al comportamento processuale dell’imputato, alla sua giovane età ed alla assenza di una allarmante storia giudiziaria – e che avrebbero dovuto indurre il giudicante, ove correttamente presi in esame, a rideterminare in melius la pena a carico di quello.
Anche la difesa di NOME ha lamentato la violazione di legge e la mancanza di un’adeguata motivazione in relazione alla determinazione della pena a carico del proprio assistito, il relazione alla quale la sentenza
impugnata sarebbe priva delle argomentazioni riferite alla gravità della condotta posta in essere dal ricorrente.
La comune difesa di COGNOME e COGNOME ha articolato per entrambi i prevenuti un unico motivo di impugnazione con il quale ha, in estrema sintesi, dedotto sia la inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in sede di indagini preliminari atteso che le stesse sarebbero state disposte con urgenza dal Pm sulla base delle dichiarazioni rilasciate da COGNOME NOME non spontaneamente ma su sollecitazione della Pg, sia la inutilizzabilità delle stesse dichiarazioni del predetto La COGNOME.
Il ricorso di COGNOME è affidato a due motivi di impugnazione; il primo di essi concerne il fatto che la dimostrazione della reità del COGNOME in ordine a taluni degli episodi delittuosi a lui ascritti sarebbe stata desunta dagli elementi probatori riferibili ad altri reati, sempre oggetto della attuale complessiva contestazione; il secondo motivo concerne la riferita assenza di motivazione in ordine alla affermazione della responsabilità del ricorrente, e di conseguenza In ordine alla relativa condanna del medesimo, avente ad oggetto la condotta a lui contestata n. 44 del complesso capo di accusa.
NOME COGNOME ha sviluppato un primo, sebbene articolato, motivo di impugnazione, il cui nucleo centrale è offerto dalla erroneità della qualificazione giuridica dei fatti ascritti e dalla elusività della relativa motivazione in ordine alle contestazioni di cui ai nn. 1, 22, 23 e 24 del capo di accusa; in particolare ci si lamenta della mancata riqualificazione dei fatti nell’ambito, anche per ciò che attiene al reato associativo, della lieve entità; con un secondo motivo si è doluto del mancato riconoscimento, stante la ritenuta inammissibilità della relativa richiesta, della continuazione fra i reati ora in questione ed altri reati oggetto di condanna divenuta definitiva il 23 ottobre 2012.
Il ricorso di COGNOME NOME è svolto attraverso la presentazione di 4 motivi di doglianza; con il primo ha censurato, sotto il profilo della violazione di legge e della logicità della motivazione della sentenza impugnata, l’avvenuta dimostrazione della partecipazione del ricorrente alla associazione per delinquere di cui al capo 1) della rubrica contestata nonché in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in questione; Il secondo motivo attiene, anche questa volta in relazione alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, al rigetto della richiesta, logicamente subordinata al precedente motivo di ricorso, di riqualificazione dei reati di cui ai capi 1) e 22), in termini di lieve entità; il successivo terzo motivo di ricorso attiene alla
doglianza concernente la conferma della sua responsabilità in relazione ai reati contestati sub nn. 8 e 25 della rubrica, che sarebbe frutto di motivazione lacunosa e contraddittoria; infine, con il quarto motivo ci si lagna della ritenuta inammissibilità, per la tardività della loro presentazione, dei motivi nuovi di impugnazione con i quali era stata richiesta applicazione dell’istituto della continuazione rispetto ai fatti giudicati con la sentenza emessa dal Tribunale di Nola il 14 marzo 2017, divenuta irrevocabile il successivo 13 giugno 2018.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tutti i ricorsi presentati sono, ancorché per ragioni non identiche, risultati inammissibili e, pertanto, per tali gli stessi vanno ora dichiarati.
Stante la loro palese inammissibilità, che ne giustifica una trattazione di assai contenuto respiro, ritiene la Corte di dovere prioritariamente illustrare le ragioni della decisione riguardante i due ricorsi presentati dalle difese di COGNOME NOME e di COGNOME NOME; costoro, infatti, pur avendo ritenuto di definire il giudizio in sede di gravame attraverso l’applicazione dell’art. 599-bis cod. proc. pen. ed avendo, pertanto, rinunziato a tutti i motivi di impugnazione diversi da quelli aventi ad oggetto il trattamento sanzionatorio, in relazione al quale gli stessi hanno raggiunto un accordo con la pubblica accusa, ritenuto congruo dalla Corte di appello di Napoli, la quale ha, conseguentemente, rideterminato la pena inflitta ai predetti nella misura da questi concordata col rappresentante della Procura generale territoriale, hanno lamentato di fronte a questa Corte il vizio di violazione di legge e di mancanza di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’individuare la pena a loro carico.
Si tratta di doglianze chiaramente inammissibili, considerato che, come questa Corte ha chiarito, in tema di concordato in appello sono inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati ed, altresì, ai vizi attinenti alla determinazione della pena oggetto di proposta da parte dell’imputato ricorrente che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 gennaio 2020, n. 944, rv 278170), cosa che non solo non si è verificata nell’occasione ma, neppure, ha formato oggetto dei presenti ricorsi.
Venendo a questo punto alle censure formulate dai ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, osserva il Collegio che la doglianza afferente alla
pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da RAGIONE_SOCIALE, delle quali la natura di dichiarazioni spontanee, trattandosi di quaestio facti, non è suscettibile di riesame nella presente sede, è priva di fondamento ove si rilevi che, come questa Corte ha già segnalato, le dichiarazioni spontanee di soggetti imputati nel procedimento di cui si tratta ovvero in altro procedimento, che siano state raccolte dalla polizia giudiziaria – anche se le stesse non fossero state documentate tramite il loro riversamento in un verbale redatto nelle forme di cui all’art. 357, comma 2 e 3, cod. proc. pen. ma solo annotate sommariamente in forma libera – possono essere utilizzate erga alios quali indizi in fase delle indagini preliminari ai fini della autorizzazione delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche (cosa della cui evenienza gli attuali ricorrenti ora si lagnano) nell’ambito di procedimenti per criminalità organizzata, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di inutilizzabilità generale di cui all’art. 191 cod. proc. pen. ovvero di inutilizzabilità speciale (Corte di cassazione, Sezione II penale, 8 agosto 2005, n. 30113, rv 231662); quanto al profilo avente ad oggetto la motivazione che è stata data dal Gip in relazione alla ritenuta spontaneità delle dichiarazioni rese dal COGNOME, cioè il fatto che questi non abbia presentato querela di falso contestando la autenticità della sottoscrizione da lui apposta in calce la verbale, è ben vero che la formalizzazione della querela di falso, dia essa origine ad un procedimento incidentale ovvero sia oggetto di un procedimento di carattere principale, è strumento proprio della processualistica civile e non di quella penale che è volto a contestare la autenticità di un documento fidefacente (per tutte, sulla non indispensabilità della querela di falso onde contestare la rispondenza al vero di quanto contenuto in un verbale redatto dalla polizia giudiziaria: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 gennaio 2019, n. 1361, rv 274839, nella quale è precisato che le contestazioni in ordine al contenuto di tali atti non richiedono la presentazione di querela di falso, ma sono definite nell’ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all’art. 2, comma 2, cod. proc. pen.), ma, quanto alla presente controversia, non si può trascurare di osservare che la doglianza espressa dai due ricorrenti sulla effettiva spontaneità delle dichiarazioni del COGNOME NOME ha lo schietto carattere della congetturalità, essendo argomentata esclusivamente sulla ritenuta contraddittorietà del comportamento di questo (il quale, pur avendo nominato un difensore fiduciario, ha reso dichiarazioni spontanee senza la presenza di questo avendovi rinunziato, salvo poi, successivamente ritrattarle e, in un momento ulteriormente successivo, confermarle), senza che, al di là di tale ricostruzione degli avvenimenti, sia effettivamente individuata una
qualche violazione di legge in cui possa essere incorso il giudice del gravame ovvero una qualche manifesta illogicità della motivazione della sentenza nella quale tali avvenimenti non sono stati interpretati come sintomatici della non autenticità della sottoscrizione apposta dal COGNOME in calce al verbale contenente le sue spontanee dichiarazioni e della non rispondenza al vero di quanto riportato nell’atto di questo sottoscritto.
Anche il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile; questi ha formulato due motivi di impugnazione, il primo dei quali riguarda la pretesa inadeguatezza motivazionale della conferma della affermazione della sua penale responsabilità riguardo a taluni fra i reati a lui contestati; questa, infatti, sarebbe stata dimostrata in funzione di elementi probatori aventi ad oggetto altre, diverse, condotte delittuose.
Si tratta di doglianza basata su di un presupposto erroneo, atteso che i giudici del merito, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, hanno affermato la responsabilità del predetto in ordine ai reati rubricati sub n. 21, 45 e 46 del complessivo editto accusatorio su elementi dimostrativi rivenienti da intercettazioni telefoniche espressamente riferite ai fatti oggetto di contestazione negli indicati punti dell’articolato capo di imputazione.
Quanto al successivo secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la mancata esclusione della adesione del ricorrente alla associazione per delinquere evocata al n. 44 del capo di imputazione, si segnala che esso è argomentato in funzione del fatto, negligentemente trascurato in sede di merito secondo il ricorrente, che non sarebbe emerso alcun rapporto di stabile collaborazione fra il COGNOME ed il COGNOME, non essedo state le iniziative criminose del ricorrente preventivamente concordate con il secondo; si tratta di argomento privo di rilevanza, posto che l’adesione alla associazione per delinquere non presuppone, diversamente da quanto pare sostenere la ricorrente difesa, che vi sia una gestione necessariamente concordata delle singole iniziative delittuose, essendo, invece, sufficiente che fra le parti sussista un accordo per la commissione di una serie indeterminata di reati, nel caso di specie in materia di stupefacenti, e che questi siano realizzati avvalendosi della comune struttura organizzativa che ricomprende i singoli partecipi, i quali consapevolmente si avvalgono in questo modo, anche attraverso la ripartizione di compiti fra i vari sodali, della maggiore efficienza che la disponibilità di mezzi e persone assicura alla compagine criminale.
La circostanza, quindi, che il COGNOME non fosse in una posizione di subordinazione gerarchica e decisionale rispetto al COGNOME non costituisce
fattore logicamente ostativo al ritenere che entrambi fossero compartecipi della medesima associazione per delinquere.
La impugnazione proposta dalla difesa del ricorrente COGNOME NOME, in ampie parti coincidente con alcuni tratti di quella presentata dal ricorrente COGNOME NOME, è sviluppata attraverso due motivi; il primo di essi concerne la motivazione con la quale, per un verso, è stata esclusa la possibilità di procedere alla qualificazione giuridica dei fatti oggetto di impugnazione sub n. 22, 23 e 24 della rubrica siccome riferiti sia a sostanze stupefacenti comunemente denominate “leggere” sia a condotte delittuose di lieve entità e, per altro, conseguente, verso, è stato escluso che il sodalizio criminoso del quale il COGNOME era partecipe non fosse stato costituito solamente allo scopo di commettere reati, sempre in materia di stupefacenti, caratterizzati dalla loro lieve entità.
La doglianza non ha pregio; si osserva, infatti, con riferimento alla condotta contestata sub n. 22 della complessiva imputazione, che il ricorrente non prende assolutamente in considerazione la circostanza che, in relazione alla natura della sostanza (si tratta di cocaina) ed alla sua entità ponderale (si tratta di quantità pari a 100 gr), fattori questi chiaramente ostativi sia alla configurabilità del fatto nell’ambito dell’art. 73, comma 4, del dPR n. 309 del 1990 che della sua riconduzione al perimetro normativo del successivo comma 5 della medesima disposizione di legge, militano le stesse dichiarazioni confessorie rese dall’COGNOME (dichiarazioni che, giova ricordare, pur promanando da un correo, risultano essere adeguatamente riscontrate dalle intercettazioni telefoniche richiamate nella sentenza impugnata; sulla adeguatezza quali ulteriori elementi di prova, necessari ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. laddove le dichiarazioni accusatorie siano state propalate da un correo, di elementi non doverosamente dotati delle caratteristiche dell’indizio ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., si veda: Corte di cassazione, Sezione I penale, 18 luglio 2023, n. 31004, rv 284840) il cui contenuto è da coinvolgere anche la posizione del COGNOME.
Una volta esclusa la possibilità di inquadrare anche uno solo dei reati fine che il sodalizio criminoso costituito si prefiggeva di realizzare nell’ambito delle ipotesi di lieve entità, consegue necessariamente l’impossibilità di ritenere integrata l’ipotesi di cui all’art. 74, comma 6, del dPR n. 309 del 1990, posto che, come correttamente posto in luce nella impugnata sentenza, la configurabilità di siffatta ipotesi di reato postula che il programma criminoso perseguito attraverso l’associazione per delinquere preveda
esclusivamente la perpetrazione di reati in materia di stupefacenti segnalati dalla lieve entità del fatto (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 16 gennaio 2020, n. 1642, rv 278098).
Riguardo all’inquadramento normativo delle restanti ipotesi di reato cui si riferisce il motivo di impugnazione ora in scrutinio, cioè quelle di cui ai nn. 23 e 24 della rubrica accusatoria si rileva, quanto alla prima ipotesi, che valgono i medesimi rilievi fatti in merito alla ipotesi di reato di cui al n. 22, con la sola distinzione – non incidente tuttavia, sulla congruità della decisione presa in sede di merito – che qui si tratta di 20 gr di cocaina e non di 100 gr; il fatto che sia, comunque, una quantità sicuramente non irrisoria e che la condotta si inquadri in un’articolata vicenda criminosa giustifica – alla luce della complessiva valutazione della fattispecie che, in conformità alla giurisprudenza più autorevole di questa Corte, deve essere eseguita ai fini della individuazione del criterio di discernimento fra le ipotesi di lieve entità e le ipotesi ordinariamente sanzionate (cfr. infatti: Corte di cassazione Sezioni unite penali, 9 novembre 2018, n. 51063, non espressamente massimata sul punto) – la sua qualificazione nell’ambito dell’art. 73, comma 1, del dPR n. 309 del 1990.
Quanto alla successiva ipotesi di reato rubricata sub n. 24, la circostanza che si tratti di sostanza stupefacente del tipo cocaina è stata logicamente desunta dal fatto che la stessa è costituita da una porzione di altra sostanza già verificata come, appunto, cocaina (al riguardo si osserva che, peraltro, il non contestato riferimento al fenomeno del “taglio” della sostanza fa indubbiamente propendere per la sua appartenenza a quelle tabellate ai sensi del comma 1 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, essendo tale metodica propria di tali sostanze e non di quelle tabellate ai sensi del comma 4 del medesimo articolo di legge), mentre la esclusione della minima offensività della condotta, requisito indispensabile ai fini della qualificazione nell’ambito del comma 5 del citato art. 73, è stata logicamente, e, come visto, in conformità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, desunto, a prescindere dall’entità ponderale della sostanza oggetto di cessione, dall’inserimento della condotta in questione in un contesto delinquenziale allarmante sia per la sistematica ripetitività delle condotte delittuose sia per la professionalità della struttura organizzativa in seno alla quale queste risultano essere incastonate.
Riguardo al secondo motivo di impugnazione, afferente alla ritenuta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con la quale è stata
dichiarata l’inammissibilità del motivo di doglianza con il quale la difesa del prevenuto aveva chiesto che i reati in contestazione fossero ritenuti in continuazione con altri oggetto di diversa precedente sentenza di condanna, si rileva, pacifico essendo che la richiesta di cui sopra è stata, per la prima volta, avanzata né nel corso del giudizio di primo grado (sebbene la sentenza con cui era stata affermata la penale responsabilità del reato in relazione al quale si era sollecitata l’affermazione della continuazione ex art. 81, cpv. cod. pen. fosse divenuta definitiva ben prima che fosse stato celebrato il citato giudizio di fronte al Gup del Tribunale di Napoli) né in sede di formulazione dei motivi di gravame avverso la sentenza emessa in esito al giudizio abbreviato, ma solamente in occasione della formulazione di motivi aggiunti, che l’affermazione della inammissibilità, stante la sua tardività della istanza è, oltre che priva di qualsivoglia contraddittorietà o manifesta irragionevolezza, pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte, nella quale è dato riscontrare che, solo laddove la sentenza avente ad oggetto i reati in ordine ai quali si chiede la dichiarazione della sussistenza del vincolo della continuazione sia passata in giudicato successivamente alla scadenza del termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza con la quale è stato definito il primo grado del complessivo giudizio in cui è stata dedotta la continuazione, sarà ancora possibile fare valere la relativa istanza in Sede di formulazione di motivi aggiunti di gravame, posto che solo ricorrendo tale condizione (cioè la definitività della condanna per “altri” reati quando già era scaduto il termine per l’appello avverso la sentenza emessa con riferimento ai reati in relazione ai quali si intende fare valere la continuazione con gli “altri”) non può ritenersi operativo il limite della necessariamente tempestiva devoluzione, correlato ai capi e punti impugnati, delle questioni su cui il giudice del gravame è legittimato a rispondere (Corte di cassazione, Sezione H penale, 7 settembre 2021, n. 33098, rv 281915; Corte di cassazione, Sezione II penale, 23 marzo 2015, n. 12068, rv 263008; principio quello esposto, d’altra parte, sostanzialmente ribadito anche, da ultimo, da Corte di cassazione, Sezione II penale, 16 febbraio 2024, n. 7132, rv 285991, nella quale, nel segnalare la eccezionalità della possibilità di fare valere, ricorrendo le richiamate condizioni, la continuazione fra reati anche attraverso la formulazione di motivi aggiunti, la Corte ha, peraltro, posto in evidenza la assenza di pregiudizio per il condannato derivante dalla affermata inammissibilità della istanza, potendo questa, se dichiarata inammissibile in sede di gravame e non rigettata nel merito, essere riproposta di fronte al giudice della esecuzione).
Del tutto fuori fuoco è il riferimento giurisprudenziale evocato dalla ricorrente difesa, costituito dalla sentenza di Corte di cassazione, Sezione I penale, 7 aprile 2017, n. 17832, rv 269822 – doppiato dal richiamo ad essa contenuto in Corte di cassazione, Sezione I penale, 6 aprile 2022 n. 12914, non massimata sul punto – posto che in quei casi il riferimento al potere officioso (indipendente, pertanto, da qualsivoglia richiesta di parte, che ove formulata costituirebbe, perciò, una mera sollecitazione non soggetta a decadenza ratione temporis) sussistente in capo al giudice di rilevare la continuazione fra i reati è riferito esclusivamente al giudice di primo grado e non certo a quello del gravame.
Quest’ultimo, si ribadisce, è legittimato ad intervenire sul punto solo in quanto lo stesso gli sia stato tempestivamente devoluto in sede di impugnazione o – se si tratta di giudicato formatosi dopo la scadenza del relativo termine – in sede di formulazione dei motivi aggiunto o, infine secondo un orientamento che, peraltro, appare, nella sua maggiore ampiezza, oramai superato – in sede di precisazione delle conclusioni nel corso del giudizio di appello (così, ma sempre in relazione ad “altri” reati giudicati con sentenza divenuta definitiva nella pendenza del giudizio di gravame: Corte di cassazione, Sezione II penale, 23 dicembre 2020, n. 37379, rv 280424), operando, ove, invece, si tratti, come nel caso che interessa, di sentenza già definitiva al momento della proposizione dell’appello, anche con riferimento alla presente tematica, l’ineludibile limite (salvo, come detto, il ricorso al giudice della esecuzione), violato da parte della difesa del COGNOME, della tempestiva devoluzione della questione al giudice di secondo grado con i motivi di impugnazione.
Con riferimento, infine, alla posizione di COGNOME si osserva, quanto ai motivi secondo e quarto da questo formulati, il cui contenuto, fatte le opportune ma non decisive modifiche volte a personalizzare le censure in relazione alla posizione dell’attuale impugnante, è sovrapponibile ai 2 motivi di ricorso riguardanti il COGNOME, che in ordine ad essi valgono, essendo qui integralmente richiamate, le considerazioni che hanno condotto alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso da quello presentato.
Venendo, pertanto, ai restanti motivi di censura, rileva la Corte, quanto al primo, che si tratta di un motivo avente un contenuto sostanzialmente di fatto, volto, inammissibilmente, a rimettere in discussione gli elementi di giudizio che, sulla base del materiale probatorio in atti, sono stati considerati esaurienti dai giudici del merito; si chiede, in altre parole, a questa Corte di
rioperare la valutazione dei dati istruttori acquisiti nel corso delle indagini preliminari e, stante la scelta del rito contratto operata (anche) dal ricorrente ora in questione, legittimamente utilizzati in sede decisoria; si tratta di operazione avente precisi contenuti di merito, il cui svolgimento è chiaramente inibito a questo giudice della legittimità.
Analogamente per ciò che attiene al terzo motivo di doglianza, riguardante la conferma della responsabilità del prevenuto in relazione ai fatti rubricati sub n. 8) e 25) del capo di imputazione; si segnala sul punto che, quand’anche si ritenesse che al riguardo la sentenza della Corte di appello fosse caratterizzata da una certa sintesi espositiva, va rimarcata la circostanza che, trattandosi di cosiddetta “doppia conforme” gli argomenti decisori utilizzati in occasione della sentenza di primo grado, ove appunto confermati dalla sentenza emessa in sede di gravame, si saldano con quelli contenuti in tale secondo provvedimento, formando con essi un unico corpus motivazionale (cfr., fra la molte: Corte di cassazione, Sezione II penale, 6 settembre 2019, n. 37295, rv 277218).
Ora, esaminando sinotticamente i due provvedimenti giurisdizionali, emerge come la responsabilità dell’COGNOME in relazione ai reati di cui ai nn. 8 e 25 della rubrica oggetto di imputazione sia stata congruamente rappresentata attraverso il puntuale rimando all’eloquente contenuto delle intercettazioni operate, rispettivamente in data 30 dicembre 2016 (si veda, infatti, pagg. 23 e 24 della sentenza di I grado) ed in data 2 marzo 2017, oltre che dal sequestro di sostanza stupefacente operato presso l’abitazione dell’COGNOME in data 3 marzo 2017 (pagg. 43 e 44 della sentenza di I grado), laddove, con particolare riferimento a tale secondo episodio, è chiaramente illustrato come – sebbene una parte dello stupefacente in tale occasione rinvenuto potesse essere destinato all’uso personale dell’attuale ricorrente, tanto che lo stesso fu deferito al competente Prefetto di Napoli quale assuntore di sostanze stupefacenti – tuttavia la detenzione di esso da parte del prevenuto era chiaramente finalizzata al suo successivo spaccio, come dimostrato dal tenore della conversazione intervenuta fra l’COGNOME ed il COGNOME, di tal che la stessa era evidentemente rilevante sotto il profilo penale.
I ricorsi vanno, in definitiva, tutti dichiarati inammissibili ed i ricorrenti vanno condannati, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 euri ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il AVV_NOTAIO