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Inammissibilità del ricorso: Cassazione su continuazione

La Corte di Cassazione dichiara l’inammissibilità del ricorso di un imputato condannato per furto. La richiesta di riconoscere la continuazione tra questo reato e altri già giudicati è stata ritenuta manifestamente infondata, poiché il ricorrente mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Di conseguenza, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del Ricorso: Quando la Cassazione Conferma la Decisione di Merito

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio di come la Corte di Cassazione gestisce i casi in cui un ricorso è palesemente privo di fondamento, portando a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. La vicenda riguarda un imputato condannato per furto che ha tentato, senza successo, di ottenere il riconoscimento della “continuazione” con altri reati precedentemente giudicati. Analizziamo la decisione per comprendere i principi applicati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Il Ricorso contro la Condanna per Furto

Un soggetto, condannato in primo e secondo grado per il reato di furto previsto dall’art. 624-bis del codice penale, ha presentato ricorso per cassazione. La condanna era stata confermata dalla Corte d’Appello di Firenze. L’imputato non contestava la sua colpevolezza, ma si concentrava su un aspetto specifico legato alla determinazione della pena.

L’Unico Motivo di Appello: La Richiesta di Continuazione tra Reati

L’unico argomento sollevato dal ricorrente era il mancato riconoscimento della cosiddetta “continuazione” tra il furto oggetto del presente procedimento e altri fatti per i quali era già stato giudicato con una sentenza del Tribunale di Pordenone. In parole semplici, l’imputato sosteneva che tutti i reati fossero parte di un unico “disegno criminoso” e che, pertanto, avrebbero dovuto essere trattati come un unico reato continuato, il che avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio più favorevole.

L’Inammissibilità del Ricorso secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la richiesta, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione principale risiede nel fatto che il motivo presentato era “manifestamente infondato”. La Suprema Corte ha evidenziato come il ricorrente stesse, in realtà, cercando di ottenere una nuova valutazione dei fatti, un’operazione che non è permessa in sede di legittimità.

La Valutazione della Corte di Merito

I giudici di Cassazione hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione congrua e logica per negare la continuazione. La decisione di merito si basava su elementi concreti, come la differente collocazione nel tempo e nello spazio dei reati, ma soprattutto sulla diversa natura dei crimini. I reati già giudicati a Pordenone erano stati qualificati come “reati-fine” di un’associazione per delinquere, mentre il furto in questione non presentava tale collegamento.

Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti in Sede di Legittimità

La Corte ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente, non di riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti. Tentare di proporre un “alternativo apprezzamento” dei fatti, come ha fatto il ricorrente, porta inevitabilmente all’inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla manifesta infondatezza del motivo di ricorso. La Corte d’Appello aveva già esaminato e respinto la richiesta di continuazione con argomenti logici e coerenti, basati su elementi fattuali precisi (contesto temporale, geografico e finalità dei reati). La Cassazione ha ritenuto che il ricorso non facesse altro che riproporre la stessa questione in modo irrituale, cercando di ottenere una rivalutazione del merito preclusa in questa sede. La decisione si allinea a un consolidato orientamento giurisprudenziale che sanziona con l’inammissibilità i ricorsi che, dietro un’apparente critica legale, celano una richiesta di riesame dei fatti.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

Le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità sono state significative per il ricorrente. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione aggiuntiva è stata giustificata dalla Corte sulla base della “colpa” del ricorrente nell’aver presentato un’impugnazione la cui inammissibilità era “evidente”, un principio avallato anche dalla Corte Costituzionale. Questo caso serve da monito sull’importanza di presentare ricorsi solidamente fondati in diritto, per evitare conseguenze economiche negative oltre alla conferma della condanna.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. Il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività non consentita alla Corte di Cassazione, la quale si limita a un controllo sulla corretta applicazione della legge.

Cosa significa ‘continuazione tra reati’ e perché non è stata riconosciuta in questo caso?
La ‘continuazione’ è un istituto che unifica più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ai fini della pena. In questo caso non è stata riconosciuta perché la Corte ha ritenuto, con motivazione logica, che mancasse tale disegno unitario, basandosi sulla diversità di tempo, luogo e natura dei reati rispetto a quelli precedentemente giudicati, che erano finalizzati a un’associazione per delinquere.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
Chi presenta un ricorso dichiarato inammissibile viene condannato al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, se l’inammissibilità è evidente e quindi dovuta a colpa del ricorrente, la Corte lo condanna anche al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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