Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22186 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22186 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME e la memoria conclusiva con la quale il difensore del ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso;
ritenuto che il primo motivo di impugnazione con cui il ricorrente eccepisce violazione degli articoli 178, 179, 419 e 420-ter cod. proc. pen. conseguente all’omessa traduzione all’udienza preliminare dell’imputato detenuto per altra causa, è manifestamente infondato. L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che la sopravvenuta detenzione del COGNOME non è stata mai messa a conoscenza del Tribunale. Deve essere, in proposito, ricordato che sussiste a carico dell’imputato un preciso onere di comunicare la propria condizione e l’eventuale detenzione per altra causa (vedi Sez. 4, n. 11395 del 16/01/2006, Giordano, Rv. 233533-01; da ultimo Sez. 4, n. 15505 del 22/01/2020, COGNOME, non massimata), onere non rispettato nel caso di specie dal ricorrente con conseguente manifesta infondatezza del motivo di impugnazione.
considerato che il secondo motivo di ricorso che contesta erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen. nonché vizio di motivazione in ordine all’attendibilità della persona offesa, è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte d Cassazione quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. Ciò premesso va evidenziato che la versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata dai giudici dell’appello in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dalla persona offesa né alcun interesse all’accusa da parte dello COGNOME (vedi pagina 5 della sentenza impugnata).
considerato che il terzo motivo di ricorso, che contesta la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è aspecifico in quanto reiterativo di medesime doglianze già affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale; la Corte di appello, con motivazione esente da manifesta illogicità e congrua con le risultanze istruttorie, ha illustrato le ragioni della non necessarietà dell’esame del teste indicato dalla difesa alla luce della chiarezza del quadro probatorio già formatosi (vedi pagina 6 della sentenza impugnata). Tale decisione non è sindacabile in sede di legittimità in quanto fondata su motivazione coerente con le risultanze processuali, priva di illogicità manifeste e valutazioni incongrue in ordine alla ricostruzione della vicenda in esame.
considerato che l’ulteriore motivo di impugnazione cui il ricorrente chiede la riduzione della pena e la conseguente applicazione del beneficio della sospensione
condizionale della pena è generico e manifestamente infondato. I giudici di appello hanno correttamente ritenuto inammissibile il motivo di appello inerente alla pena in considerazione della sua genericità (vedi pagina 7 della sentenza impugnata) e, di conseguenza, ritenuto “irricevibile” la richiesta di sospensione condizionale della pena in considerazione dell’entità della pena irrogata (anni 3 di reclusione);
rilevato che la difesa, anche in sede di ricorso, si è limitata a sostenere una generica eccessività del trattamento sanzionatorio, rassegnando poi le conclusioni favorevoli al proprio assistito senza alcuna valida confutazione delle argomentazioni espresse dai giudici di merito; il motivo di ricorso è, pertanto, generico perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2024
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Il Presidente