Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21970 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21970 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 01/03/1978 a NAPOLI COGNOME NOME nato il 27/12/1991 a NAPOLI NOME nato il 29/10/1965 a NAPOLI NOME COGNOME nato il 21/09/1984 a NAPOLI NOME COGNOME nato il 16/04/1965 a NAPOLI COGNOME nato il 10/07/1976 a NAPOLI avverso la sentenza in data 14/09/2023 della CORTE DI ASSISE DI APPELLO
COGNOME;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostit procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME e per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME limitatamente alla pena inflitta, con rideterminazione della stessa a cura della corte di cassazione misura di anni nove e mesi quattro di reclusione; inammissibile il ricorso COGNOME nel resto;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME e nell’interesse della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE LA CAMPANIA, ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto dei
ricorsi e per la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali sostenute;
sentito l’Avvocato COGNOME NOME COGNOME che, in difesa di COGNOME, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, in sostituzione dell’Avvocata COGNOME e in difesa di NOME COGNOME e COGNOME si è riportato ai motivi di ricorso;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME c:he, in difesa di COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
sentiti gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che, in difesa di NOME COGNOME hanno illustrato i motivi d’impugnazione e ne hanno chiesto l’accoglimento;
sentito l’Avvocato COGNOME, in difesa di NOME COGNOME ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME Diego e COGNOME Pasquale e COGNOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali, impugnano la sentenza in data 14/09/2023 della Corte di assise di appello di Napoli che -per quello che qui interessa- ha riformato la sentenza in data 30/03/2022 del G.u.p. del Tribunale di Napoli, rideterminando il trattamento sanzionatorio nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME Diego e confermandola integralmente nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME Pasquale
Deducono:
COGNOME NOME .
1.1. (Avvocato COGNOME Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’attendibilità dei collaboratori di giustizia.
Il ricorrente premette che la condanna di NOME per l’omicidio di COGNOME NOME si fonda essenzialmente se non esclusivamente sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Evidenzia, quindi, che il tema principale è quello della tenuta logica dell’ordito motivazionale rispetto alla ritenuta attendibilità dei collaboratori di giustizia nonch delle devoluzioni difensive volte a dimostrare l’esistenza di un inquinamento delle
chiamate in correità, tali da minare l’attendibilità dei chiamanti.
A tal fine, il ricorrente ripercorre la motivazione sviluppata dalla Corte di assise di appello per ritenere l’attendibilità intrinseca ed estrinseca di NOME COGNOME
Denuncia, quindi, l’illogicità di tale motivazione, la violazione dei criteri valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e la carenza assoluta di argomentazioni rispetto alle ipotesi alternative, pure emergenti dal materiale probatorio, peraltro caratterizzato da contraddizioni.
Contraddizioni che vengono ripercorse al fine di evidenziare come la chiamata in correità di Carra sia connotata da evidenti discrasie, con particolare riferimento al segnale dato ai complici con uno squillo telefonico e alle modalità della fuga di COGNOME durante l’agguato, in relazione all’utilizzo dello scooter guidato da Bitonto.
Secondo la difesa anche la chiamata de relato del collaboratore di giustizia NOME COGNOME è inattendibile e comunque non verificabile là dove riferisce dell’omicidio sulla base di quanto riferitogli da COGNOME Vincenzo (al vertice del clan) e in parte dallo stesso COGNOME.
Anche in questo caso il ricorrente illustra le contraddizioni pure esposte con il gravame.
Un ulteriore rilievo viene illustrato in relazione all’acquisizione in sede d appello delle dichiarazioni rese da COGNOMENOME COGNOME e NOMECOGNOME A tale proposito si osserva che la prova dichiarativa veniva ammessa perché ritenuta assolutamente necessaria al fine del decidere, così che il giudice dell’appello implicitamente riconosceva l’insufficienza degli elementi di prova a carico del ricorrente.
Osserva, dunque, che tale ulteriore prova dichiarativa non aggiungeva nulla alla piattaforma probatoria, così che il giudice doveva pervenire a una sentenza di assoluzione.
1.1.1. Il tema dell’omessa considerazione delle censure difensive viene ulteriormente approfondito con il primo motivo del ricorso a firma dell’Avvocato NOME COGNOME.
1.2. (Avvocato COGNOME Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla partecipazione di COGNOME all’associazione e al reato in materia di armi di cui al capo 104) della rubrica.
Il ricorrente sottolinea che con l’atto di gravame era stato sottolineato come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, le ammissioni rese da COGNOME e le intercettazioni di conversazioni non erano utili a far ritenere la sussistenza di un’associazione di tipo mafioso capeggiata da COGNOME.
Deduce, quindi, la mancata risposta da parte dei giudici ai rilievi difensivi.
Analoga doglianza viene esposta anche in relazione alla detenzione del fucile
mitragliatore, al cui riguardo l’unico ad attribuirne la disponibilità a NOME COGNOME COGNOME con dichiarazioni rimaste prive di riscontri.
Denuncia la mancanza di correlazione tra la motivazione della Corte di assise di appello e l’affermazione di responsabilità per tale reato.
1.2.1. Ulteriore denuncia di inosservanza di norma processuale e di omessa motivazione in relazione al capo 104) viene esposta con il ricorso dell’Avvocato COGNOME con argomentazioni sostanzialmente omologhe a quelle illustrate.
1.3. (Avv. COGNOME Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della continuazione.
Con tale motivo il ricorrente evidenzia che il giudice dell’appello era stato sollecitato nel senso di riconoscere la continuazione tra l’associazione contestata nell’odierno procedimento e l’associazione per cui COGNOME aveva riportato condanna per aver fatto parte del clan COGNOME, di cui l’odierna associazione doveva considerarsi un’attualizzazione e non un diverso e nuovo gruppo.
1.4. (Avv. COGNOME Violazione di legge e inosservanza di norma processuale in relazione alla sussistenza del delitto associativo di cui al capo 1).
In questo caso si denuncia l’omessa motivazione sulle plurime deduzioni difensive con cui veniva risaltava la presenza di una serie di indicatori dell’insussistenza dei requisiti richiesti per ritenere il reato associativo, superati co motivazione apodittica.
COGNOME NOME. .
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 530 cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto associativo contestato al capo 1 della rubrica.
A tale proposito il ricorrente afferma che la Corte di assise di appello di Napoli ha errato nell’applicazione della legge penale avendo ritenuto Bitonto responsabile del delitto associativo sulla base della sola chiamata in reità dei collaboratori di giustizia, con una motivazione viziata in quanto tali dichiarazioni così come riportate in sentenza sono diverse da quelle raccolte nei rispettivi verbali d’interrogatorio.
A sostegno dell’assunto vengono illustrati i contenuti delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME AlessandroCOGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME ed COGNOME NOME COGNOME
Si duole, dunque, della mancata considerazione dei rilievi difensivi in relazione a ciascun collaboratore.
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A N•1•.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 530 cod. proc. pen. in combinato disposto con l’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento all’affermazione di responsabilità per l’omicidio di COGNOME NOME e per il reato satellite in materia di armi (capi 76 e 77).
Anche in questo caso il ricorrente ritiene che la Corte di assise di appello non abbia fatto corretta applicazione della legge penale nella misura in cui ha ritenuto che sulla base degli atti acquisiti al dibattimento si potesse affermare la responsabilità di Bitonto per l’omicidio di NOME
Vengono illustrati e compendiati i contenuti delle dichiarazioni rese da COGNOME, COGNOME, COGNOME ed COGNOME al fine di sostenere che «a parere della difesa, con riferimento all’art. 110 cod. pen., non è stato dimostrato che il prevenuto abbia concorso nel delitto di omicidio, sulla base di una consapevole rappresentazione della volontà di cooperare, con gli altri soggetti coinvolti nell’agguato, all realizzazione della condotta criminosa».
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sia sotto il profilo del metodo che sotto quell dell’agevolazione.
A tale proposito il ricorrente illustra i principi di diritto dettati da questa Co in materia di aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. e osserva che, sotto il profilo soggettivo, non è emersa la prova dell’affiliazione di Bitonto al clan capeggiato da COGNOME; che, sotto il profilo oggettivo, Bitonto si è limitato ad accompagnare COGNOME presso il bar ove si attuava l’agguato, così non potendosi per ciò solo ritenere configurata la metodologia mafiosa.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante della premeditazione.
A tale riguardo il ricorrente osserva che l’aggravante non si estende automaticamente al concorrente nel reato e che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non si evince una previa programmazione dell’omicidio.
ALLARD NOMEartt. 575-577 cod. pen. (capo 75 nella sentenza del G.u.p., capo 76 nella sentenza della Corte di assise di appello); detenzione e porto in luogo pubblico di armi [capo 76 nella sentenza del G.u.p., capo 77 nella sentenza della Corte di assise di appello), tutti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
(Con l’avvocato COGNOME).
3.1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia il vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità oggettiva e soggettiva dei collaboratori di giustizia e in relazione alle chiamate di NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME.
A sostegno dell’assunto vengono illustrati e compendiati i contenuti delle dichiarazioni rese dai collaboratori, al fine di esaltarne la loro valutazione i
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violazione di legge.
3.2. Vizio di carenza o contraddittorietà della motivazione in relazione al carattere premeditato dell’omicidio di NOME
In relazione all’aggravante della premeditazione, il ricorrente osserva che il compendio probatorio non offre alcun elemento a carico di COGNOME, cui veniva conferito il solo mandato esecutivo, non essendo -invece- sufficiente il mero dato cronologico.
Aggiunge che i collaboratori di giustizia non hanno indicato l’imputato quale partecipe alla fase preparatoria e mancando altresì la prova della componente psicologica richiesta per l’estensione al correo di un’aggravante soggettiva qual è la premeditazione.
3.3. Vizio di carenza e di contraddittorietà della motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione all’omicidio di NOME e al reato satellite in materia di armi.
Con riguardo all’aggravante declinata nel senso della modalità mafiosa, il ricorrente osserva che la Corte di assise l’ha erroneamente rinvenuta nella causale del fatto di sangue e non nelle peculiari modalità di esecuzione del delitto.
Con riguardo all’agevolazione assume che i giudici non hanno verificato il contributo agevolatore apportato al gruppo di COGNOME, visto che COGNOME era partecipe di un diverso sodalizio criminoso.
3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..
In questo caso si denuncia l’omessa motivazione in relazione alla specifica deduzione difensiva sviluppata nell’atto di appello e completamente ignorata dalla Corte di assise di appello, con cui si risaltava il ruolo marginale rivestit dall’imputato.
A dimostrazione dell’omessa motivazione viene riportato integralmente il motivo di appello.
3.5. Violazione di legge e vizio di carenza e di contraddittorietà della motivazione, in relazione agli artt. 192, commi 1 e 3, cod. proc. pen. e 15 cod. pen., per l’omessa valutazione di una prova decisiva in relazione al tema dell’assorbimento del reato di detenzione di armi in quello di porto di armi, di cui al capo 76) della rubrica.
In questo caso si denuncia la contraddittorietà della motivazione, in quanto la stessa Corte di assise riconosce che l’incontro tra mandanti ed esecutori si era verificato soltanto tre ore prima dell’azione, così risaltandosi la simultaneità delle condotte di detenzione e di porto. Inoltre, si assume la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle dichiarazioni di Carra i , prive di riscontri esterni individualizzanti; si denuncia altresì l’omessa valutazione dei motivi di
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gravame specificamente esposti con il gravame.
Lamenta, altresì, l’omessa valutazione integrale delle dichiarazioni di COGNOME.
3.6. Vizio di carenza o di contraddittorietà della motivazione in punto di negazione delle circostanze attenuanti generiche.
3.7. Vi è un ulteriore ricorso a firma dell’Avvocato COGNOME, che sviluppa considerazioni analoghe a quelle già sunteggiate in relazione all’aggravante della premeditazione e alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, ritenuta ingiustificatamente discriminante rispetto alla posizione di Bitonto.
Viene altresì denunciato il vizio di carenza e/o contraddittorietà della motivazione in relazione all’ingiustificato aumento della pena per la continuazione.
A tale ultimo proposito si osserva che il G.i.p,, senza alcuna giustificazione, per lo stesso delitto, operava un aumento di pena pari a due anni per Bitonto e nella misura di quattro anni nei confronti di COGNOME
NOME
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e alla negazione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente non condivide le ragioni esposte dai giudici per negare le circostanze attenuanti generiche e per giustificare il trattamento sanzionatorio, in quanto il giudice non ha ottemperato all’obbligo di motivazione.
4.2. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen..
A tale riguardo si illustrano i principi dettati dalla Corte di cassazione in materia di aggravante ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., al fine di risaltare l’insussistenza dei requisiti richiesti per la configurazione dell’aggravante i questione.
4.3. Nullità della sentenza per omessa, insufficiente o carente motivazione.
Si assume che la sentenza è priva di motivazione, in quanto le argomentazioni dei giudici sono generiche e riferite alle sole modalità del fatto, che sono di lieve entità.
COGNOME Pasquale .
5.1. Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e agli artt. 110 e 629 cod. pen..
A tale riguardo si assume che la Corte di assise di appello ha ritenuto configurata l’estorsione raccogliendo acriticamente il contenuto delle informative della polizia giudiziaria e pur riconoscendo la mancanza di condotte intimidatorie realizzate da COGNOME.
A tale ultimo proposito osserva come la mera presenza di COGNOME non
realizza il contributo causale richiesto per ritenere il concorso nel reato.
5.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen..
In questo caso il ricorrente sostiene che gli elementi evidenziati nell’ordinanza cautelare e nella sentenza impugnata non sono idonei a far ritenere configurata l’estorsione così come contestata, non essendo a tal fine sufficienti le intercettazioni delle conversazioni intercorse tra gli altri coimputati, che parlano di tale “NOME“.
5.3. Violazione di legge in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..
A tale proposito si assume che nella sentenza non si ha alcun riferimento alla forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo.
5.4. Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e agli artt. 62-bis e 133 cod. pen..
A tale proposito il ricorrente assume che i giudici non hanno rispettato l’obbligo di motivazione richiesto in punto di trattamento sanzionatorio e riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
COGNOME NOME .
6.1. Inosservanza di norma processuale in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., per avere la Corte di appello operato un aumento per la “continuazione esterna” in assenza di qualsivoglia fattispecie di reato da ritenere in continuazione.
In tal senso il ricorrente deduce che «la sentenza impugnata, a pag. 44, nell’esplicitare i calcoli effettuati per addivenire alla pena finale irrogata, effettua aumento di anni 2 di reclusione, pur in mancanza di alcun reato da porre in continuazione c.d. esterna, tra l’altro mai richiesta, né sollecitata da alcuno ».
Precisa che dal raffronto con la sentenza di primo grado emerge come il G.u.p. avesse operato un solo aumento di pena per la continuazione, in relazione al delitto contestato al capo 7 della rubrica, senza applicare alcuna continuazione per la c.d. continuazione esterna. Aggiunge che su tale statuizione non v’era stata impugnazione del pubblico ministero.
6.2. Inosservanza di norma processuale in relazione all’art. 546, comma 1, lett. c), n. 2, cod. proc. pen. e all’art. 533, comma 2, cod. proc. pen..
In questo caso si assume che l’aumento di due anni di reclusione per la continuazione esterna è stata applicata senza motivazione.
6.3. Vizio di motivazione in relazione alle circostanze attenuanti generiche e violazione di legge per omessa motivazione in relazione alla loro negazione.
Secondo il ricorrente, la motivazione utilizzata dalla Corte di appello per
negare le circostanze attenuanti generiche è in contraddizione sia con le modeste dimensioni dell’associazione sia con il ruolo secondario attribuito nella compagine associativa a COGNOME oltre che con la sua sostanziale dissociazione in vista di una risocializzazione.
Aggiunge che la motivazione non si confronta con i motivi di appello sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile, in quanto meramente reiterativo delle stesse argomentazioni di merito esposte con l’impugnazione di merito, affrontate e risolte dalla Corte di appello.
1.1. Più nello specifico, tutto il primo motivo di ricorso è inteso a far risaltar delle pretese contraddizioni e/o discrasie nel dichiarato dei collaboratori di giustizia COGNOME e NOME che -secondo l’assunto difensivo- sarebbero state superate dalla Corte di appello con motivazione illogica, contraddittoria e in violazione di legge.
1.1.1. A tale proposito va ricordato che l’illogicità prevista dall’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen. deve essere anzitutto manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente si identifica nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica. Il vizio contraddittorietà si configura, dal suo canto, quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che abbiano natura portante rispetto alla struttura argomentativa della sentenza impugnata, tale che dalla loro eliminazione ne derivi l’implosione.
1.1.2. Tali connotati -oltre a non essere risaltati con i motivi in esame- non emergono dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione delle dichiarazioni dei chiamanti in reità e in correità.
In particolare, dalle pagine da 15 a 28 vengono illustrati i contenuti della collaborazione di COGNOME NOME, COGNOME, NOME COGNOME COGNOME Pasquale junior, COGNOME NOME e NOME COGNOME in relazione al fatto associativo e al reato di detenzione e porto in luogo pubblico di un’arma contestata a COGNOME al capo 104; alle pagine da 29 a 35 delle sentenza impugnata vengono illustrati i contenuti della collaborazione di COGNOME, NOME Salvatore, COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME Junior (e di NOME) in relazione all’omicidio di COGNOME.
In entrambi i casi la Corte di assise di appello ha recepito le valutazioni di attendibilità dei collaboratori di giustizia diffusamente riconosciute, espresse e ribadite dal giudice di primo grado esaminando le responsabilità degli imputati per ogni ipotesi di reato, il tutto con motivazione adeguata, logica e non contraddittoria.
1.1.2.1. Quanto al richiamo del giudice dell’appello alle motivazioni del giudice di primo grado, va chiarito che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha spiegato che, seppur l’articolo 6 § 1 della Convenzione obbliga i giudici a motivare le loro decisioni, tale obbligo non può essere inteso nel senso di esigere una risposta dettagliata a ciascun argomento (COGNOME c. Paesi Bassi, 19 aprile 1994, § 61), così che, rigettando un ricorso, il giudice di appello può, in linea di principio, limitar a fare propri i motivi della decisione impugnata (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, NOME COGNOME c. Italia, 20 ottobre 2015; COGNOME c. Spagna, 9 dicembre 1994).
Tanto vale a destituire di fondatezza le doglianze variamente diffuse nei ricorsi circa la sostenuta illegittimità del rinvio alla motivazione del giudice di prim grado.
1.1.3. Va, quindi ribadito che le censure esposte dal ricorrente non evidenziano difetti della sentenza astrattamente riconducibili al paradigma della manifesta illogicità ovvero alla contraddittorietà, risolvendosi in una valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia alternativa a que operata dai giudici della doppia sentenza conforme, così sostanziando una quaestio facti non scrutinabile in sede di legittimità, costituendo prerogativa esclusiva dei giudici di merito.
1.1.3.1. Non sfuggono a tali rilievi neanche le osservazioni esposte dalla difesa con specifico riguardo all’attendibilità di NOME COGNOME circa le dichiarazioni rese in relazione all’omicidio di COGNOME NOME, sulle quali le difese (in particolare quelle di COGNOME e di COGNOME) si sono lungamente soffermate.
L’attenzione della difesa si è appuntata, in particolare:
al fatto che COGNOME dichiara che lui stesso e gli esecutori materiali dell’omicidio erano in attesa, presso un appartamento messo a disposizione da NOME, di uno squillo telefonico che questi doveva inviare quale segnale per l’avvio della fase esecutiva dell’omicidio. La difesa contesta che tale dichiarazione è smentita dalle videoregistrazioni, dalla cui visione non si intravvede NOME fare squilli con il telefono;
al fatto che COGNOME riferisce di avere seguito a distanza gli esecutori del delitto, mentre NOME COGNOME indica lo stesso COGNOME quale esecutore materiale;
al fatto che COGNOME riferisce di avere assistito alla consumazione del delitto, ma la sua presenza non è stata registrata dagli impianti di videosorveglianza né viene riferita dal titolare del Bar Joia, nelle cui prossimità si è consumato l’omicidio;
al fatto che COGNOME riferisce che Bitonto aveva accompagnato COGNOME sul luogo del delitto, ma non era rimasto ad attendere l’esecuzione dell’omicidio e che COGNOME si era dato alla fuga a piedi, mentre dalle immagini registrate dall’impianto di videosorveglianza emerge che Bitonto attendeva COGNOME fino a dopo
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A
all’esecuzione del delitto e insieme si davano alla fuga con lo scooter guidato da Bitonto;
e) al fatto che COGNOME nulla riferiva circa alcune circostanze emerse dalle immagini registrate dai sistemi di video sorveglianza ovvero riferite da altri collaboratori di giustizia, quali il malfunzionamento dell’autovettura fornita da COGNOME per la fuga degli esecutori materiali dell’omicidio, per come riferisce NOMECOGNOME per averlo appreso da COGNOME.
Sulla base di tali rilievi la difesa conclude nel senso che la chiamata in correità di Carra è connotata da evidenti discrasie, incongruenze e plurime criticità, tali da far dubitare della partecipazione del collaboratore al delitto in contestazione.
1.1.3.2. Va, dunque, rilevato come le osservazioni difensive siano in realtà viziate da una lettura parcellizzata e apodittica sia dei fatti, sia della motivazione della doppia sentenza conforme.
Proprio partendo dalle conclusioni della difesa sopra evidenziate, la difesa dubita che Carra abbia partecipato all’evento delittuoso, però non spiega le ragioni per cui l’imputato si accusa di un delitto così grave, fino al punto di collocarsi sia nella fase ideativa, sia nella fase organizzativa, sia nella fase esecutiva dell’omicidio, così attribuendosi un ruolo centrale e premeditato di un delitto astrattamente punibile con l’ergastolo.
La difesa non si confronta con tale notazione -oggettiva e indiscutibilevalorizzata (insieme a ulteriori plurimi elementi) dai giudici della doppia sentenza conforme per risaltare la credibilità di Carra e l’attendibilità delle sue dichiarazioni così incorrendo -per ciò solo- nel vizio di aspecificità.
La difesa, peraltro, si concentra su singoli e -per alcuni versi- marginali aspetti della del racconto di COGNOME, obliterando la circostanza che tutti i collaboratori di giustizia (Noto, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME) sono univocamente concordi nell’indicare il movente, il mandante, l’organizzazione, i partecipi e gli esecutori materiali oltre che la dinamica dell’omicidio, sia quanto alle modalità esecutive, sia quanto alle circostanze della successiva fuga dei killer, con l’utilizzo di due autovetture.
Circostanze, queste, che non vengono sostanzialmente messe in discussione da nessuna delle difese.
A ciò si aggiunga che le obiezioni sulle pretese contraddizioni nel narrato di COGNOME sono basate su di un’interpretazione soggettiva del suo racconto.
Tanto emerge con evidenza in relazione al tema che NOME inviava tramite uno squillo telefonico. A tale proposito, si rileva che dalla lettura delle dichiarazion così come riportate nelle sentenze di merito, non emerge che il collaboratore di giustizia riferisca il momento esatto in cui NOME faceva lo squillo telefonico per avviare la fase esecutiva, così che tale momento rimane imprecisato. E’ la difesa
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che -invece- lo colloca negli stessi istanti in cui NOME veniva ripreso dagl impianti di videosorveglianza. Nel fare tale affermazione, però, il ricorrente non indica da dove abbia ricavato tale circostanza, visto che nessuno dei dichiaranti riferisce che quello in effetti fosse il momento esatto dell’invio del segnale.
Perciò, a fronte di un dato concordemente riferito dai collaboratori di giustizia (ossia l’invio del segnale telefonico da parte di COGNOME per l’avvio della fase esecutiva), la difesa oppone una contraddizione soltanto apparente, frutto di una lettura soggettiva e indinnostrata delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, giacché non risulta che alcuno (tanto meno Carra) abbia riferito che quel segnale veniva inviato da COGNOME negli istanti immediatamente antecedenti all’arrivo dei killer, nel mentre era ripreso dalle telecamere nel momento in cui agganciava la vittima predestinata, in esecuzione del suo ruolo di specchietto (concordemente riferito dai chiamanti).
Peraltro, sono le stesse difese (anche quella di COGNOME) che fatare che gli esecutori materiali dell’omicidio entravano in azione sostanzialmente nello stesso momento in cui COGNOME (osservato dalle telecamere) “agganciava” COGNOME.
Tale circostanza fa logicamente ritenere che il segnale non fosse stato inviato in quel momento, ma già in precedenza, nel tempo necessario per i killer di spostarsi dal luogo dove erano in attesa del segnale, al luogo del delitto.
Analoghi rilievi circa la lettura soggettiva e difensivamente orientata del dichiarato valgono anche in relazione alla fuga di COGNOME nel corso dell’esecuzione dell’omicidio, là dove COGNOME riferisce che COGNOME scappò temendo di venire a sua volta ucciso.
A tale riguardo la difesa osserva che COGNOME dice che COGNOME è fuggito a piedi, mentre le telecamere lo vedono fuggire insieme a Bitonto, con lo scooter.
Anche in questo caso, COGNOME riporta un dato oggettivamente accertato e riscontrato, ossia che COGNOME arrivava insieme a Bitonto, su di uno scooter, sul posto dove COGNOME veniva agganciato da COGNOME, ossia il bar Joia.
A fronte di tale dato centrale e non contestato, la difesa rinviene una contraddizione che -in realtà- è il frutto di una lettura parziale sia delle dichiarazion di COGNOME, sia della motivazione della doppia sentenza conforme (in particolare, la pagina 56 della sentenza di primo grado), là dove il primo chiarisce che si era tenuto a distanza rispetto al luogo dell’agguato, e seconda spiega che proprio la distanza tenuta da COGNOME (oltre a giustificare il fatto che non appariva nelle immagini di videosorveglianza) gli aveva consentito di vedere la prima parte della fuga di COGNOME a piedi e non anche il momento in cui saliva sullo scooter con Bitonto.
A fronte di una motivazione che non può definirsi illogica, né contraddittoria, la difesa reitera le medesime deduzioni in fatti già disattese dai giudici di merito, su circostanze che -peraltro- non hanno nessuna ricaduta quanto alla individuazione
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del mandante dell’omicidio, del ruolo rivestito da COGNOME del ruolo di ciascun partecipe in relazione all’omicidio di COGNOME e alla sua dinamica esecutiva.
Analoghe considerazioni valgono anche in riferimento all’e osservazione correlate all’autovettura malfunzionante.
E’ un dato certo e non contestato che i killer agivano con una Ford Fiesta, che veniva successivamente abbandonata e data alle fiamme, per allontanarsi con un’Audi A3, così attuando il c.d. scappotto.
Nessuno dei collaboratori di giustizia precisa quale tra queste due autovetture fosse “malfunzionante” o, comunque, “a secco” di benzina. E’ solo la difesa che indica la Ford Fiesta quale vettura malfunzionante e da ciò deduce che le dichiarazioni dei chiamanti venivano smentite dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza, che registravano la Ford Fiesta marciare regolarmente.
Non può che osservarsi come anche in questo caso le osservazioni difensive siano meramente congetturali, in quanto non indicano i dati da cui risulta oggettivamente individuata l’autovettura malfunzionante e in cosa consistesse il malfunzionamento, così che tutte le osservazioni difensive sono meramente ipotetiche.
Quanto, infine, al fatto che COGNOME non racconta particolari e circostanze invece riferite da altri collaboratori di giustizia ovvero riferisce circostanze per alc aspetti diversi, non può che osservarsi come ciò sia la diretta conseguenza del fatto che ciascuno racconta ciò che costituisce il suo proprio patrimonio cognitivo.
Patrimonio cognitivo che, peraltro, è condizionato dalle modalità di acquisizione dell’informazione, con la percezione diretta ovvero de relato.
Tanto vale, in particolare, oer l’obiezione con la quale viene evidenziato che COGNOME riferisce che COGNOME era stato uno degli esecutori materiali, mentre lo stesso non riferisce COGNOME che, invece, si colloca nella fase ideativa, nella fase organizzativa e nella fase esecutiva dell’omicidio, con un ruolo di sovrintendenza dell’omicidio.
Non può che osservarsi che NOME riferisce de relato, così che l’informazione ricevuta era senz’altro del coinvolgimento di NOME nell’omicidio, ma le esatte modalità della partecipazione di quello gli sono pervenute alterate.
La difesa, però, trascura di considerare le dichiarazioni di COGNOME, in realtà, riscontrano e rafforzano le dichiarazioni di COGNOME, atteso che sia lui sia COGNOME collocano quest’ultimo sul luogo dell’omicidio, al momento della sua esecuzione.
A ciò si aggiunga che la difesa trascura di confrontarsi con le plurime considerazioni sviluppate dai giudici in relazione all’attendibilità di Carra che, quale teste diretto, riferisce di circostanze e dettagli non conosciute dai collaboratori de relato, come -ad esempio- il fatto che i telefoni “puliti” utilizzati nel corso della fas fossero stati acquistati da Bitonto una settimana prima dell’evento delittuoso.
1.1.4. Una volta esclusa la possibilità di rinvenire vizi di carenza, manifesta
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illogicità ovvero di contraddittorietà e così confermandosi che le obiezioni difensive si risolvono in una valutazione soggettiva delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, va ribadito che la valutazione dell’attendibilità intrinseca ed estrinsec delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è una questione di fatto, no censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni -nel senso dianzi specificato- o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque acadit, e insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità.
Da ciò discende che ogni vaglio critico circa il giudizio di attendibilità dell deposizione della persona offesa ovvero dei testimoni è precluso innanzi alla Suprema Corte in ossequio al principio incontroverso in giurisprudenza secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (in tal senso cfr. Sezioni Unite, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, in motivazione).
1.1.5. Il ricorrente, inoltre, ha denunciato la violazione dell’art. 192 cod. pro pen. nella valutazione del dichiarato dei collaboratori di giustizia.
Anche in questo caso la doglianza si colloca nell’alveo delle questioni di merito, precluse alla Corte di legittimità.
Infatti, a tale proposito, in coerenza con quanto rilevato al paragrafo precedente, va richiamato il più volte ribadito insegnamento di questa Corte, che ha chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non può essere dedotta né quale violazione di legge ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., né ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non essendo prevista a pena di nullità, inutilizzabili inammissibilità o decadenza, pertanto può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo d provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame», (Sez. 6 -, Sentenza n. 4119 del 30/04/2019 Cc. -dep. 30/01/2020- Rv. 278196 – 02).
Valgono, dunque, le medesime considerazioni esposte al punto precedente, visto che le censure non evidenziano i vizi della motivazione scrutinabili in sede di legittimità, ma solo una valutazione alternativa a quella dei giudici di merito.
1.1.6. Nel solco delle questioni di merito si colloca anche la doglianza secondo cui la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’audizione di COGNOME Felice e NOME dimostra che la prova a carico dell’imputato era
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insufficiente.
In questo caso va rimarcato che l’assunto difensivo, secondo cui la prova fin lì acquisita non era stata considerata sufficiente dalla Corte di appello o -comunqueera stata implicitamente ritenuta insufficiente, è una mera congettura che non trova alcun fondamento giuridico e, perciò, manifestamente infondata.
Va evidenziato, infatti, che le testimonianze di che trattasi sono state acquisite in quanto prove nuove sopravvenute, con la conseguenza che la loro ammissione -diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente- non si è avuta sulla base di una valutazione della loro indispensabilità ai fini del decidere per come richiesto dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., ma secondo i canoni fissati dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., ossia nei limiti di cui all’art. 495, comma 1, cod. proc. che – a sua volta- rimanda all’art. 190, comma 1, cod. proc. pen..
Tanto vale a dire che nel caso di prove nuove sopravvenute, la Corte di appello, su richiesta di parte, ammette le prove che non siano vietate dalla legge e che non si mostrino manifestamente superflue o irrilevanti.
Da ciò discende la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo in esame.
1.2. I medesimi rilievi esposti ai paragrafi 1.1.1., 1.1.2., 1.1.2.1., 1.1.4. 1.1.5. valgono anche per il secondo e per il terzo motivo di ricorso.
1.2.1. Con il secondo motivo, infatti, il ricorrente espone censure relative all’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e della loro idon probatoria in relazione all’affermazione di responsabilità per il fatto associativo di cui al capo 1) e per i delitti in materia di armi di cui al capo 104).
Con il terzo motivo sostiene che il fatto associativo andrebbe considerato in continuazione con una precedente fattispecie associativa, di cui costituisce attualizzazione.
1.2.2. La Corte di appello ha affrontato entrambi i temi e ha respinto i medesimi motivi di gravame oggi riproposti in sede di legittimità, trattando dell’associazione alle pagine 60 e seguenti e del delitto di cui al capo 104) alla pagina 67, anche facendo rinvio alla sentenza di primo grado.
Con riguardo all’associazione, la Corte ha affermato che COGNOME -uscendo dal carcere- formava un autonomo gruppo, rescindendo i legami con il “declinante clan COGNOME“, così disattendendo il contrario assunto difensivo, posto a sostegno della richiesta di riconoscimento della continuazione, fondato -invece- sul dedotto rapporto di continuità rispetto alla cosca preesistente.
Con riguardo al delitto di cui al capo 104), i giudici dell’appello hanno richiamato la sentenza di primo grado e le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME
A fronte di ciò, in relazione a entrambi i temi, non è dato rinvenire nei motivi d’impugnazione la prospettazione di vizi astrattamente riconducibili al paradigma
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della manifesta illogicità o della contraddittorietà, come sopra rappresentati. Tanto meno il ricorrente indica quale sarebbe la norma sostanziale o processuale che si assume violata con la sentenza impugnata nell’affermare la sussistenza del sodalizio, il ruolo in esso rivestito da COGNOME e la sussistenza del fatto delittuoso di cui capo 104.
I motivi, invece, sono pedissequamente reiterativi delle medesime questioni di merito, affrontate e risolte dalla Corte di appello.
1.2.3. A fronte di tale evenienza, questa Corte ha costantemente chiarito che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso”, (Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; non massimate: Sez. 2, Sentenza n. 25517 del 06/03/2019, COGNOME; Sez. 6, Sentenza n. 19930 del 22/02/2019, Ferrari). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
1.3. Il ricorso di COGNOME è, conclusivamente, inammissibile.
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile, in quanto meramente reiterativo delle stesse argomentazioni di merito esposte con l’impugnazione di merito, affrontate e risolte dalla Corte di appello.
Tutte le argomentazioni oggi esposte con il ricorso in relazione alla partecipazione di Bitonto all’associazione per delinquere di cui al capo 1) e al suo concorso nell’omicidio di COGNOME NOME e ai reati satelliti in materia di armi sono pedissequamente reiterative dei motivi di appello, compiutamente affrontati e risolti dalla Corte di assise di appello.
Tanto porta a richiamare la ragione d’inammissibilità indicata al paragrafo 1.2.3.
2.2. A ciò si aggiunga che i motivi si sostanziano nella rivalutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e nella violazione dell’art. 192 cod. proc pen., così valendo le ragioni di inammissibilità di cui ai paragrafi 1.1.1., 1.1.2., 1.1. e 1.1.5..
2.3. I motivi relativi alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 4 bis.1 cod. pen. e all’aggravante della premeditazione non risultano sollevati con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva.
A tal proposito, va ribadito che «nel giudizio di legittimità, il ricorso propost per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)», (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, COGNOME, Rv. 274346).
Il ricorso di NOME è inammissibile.
3.1. Il primo motivo d’impugnazione è interamente dedicato a dimostrare l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME Alessandro e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in relazione all’affermazione di responsabilità per l’omicidio di COGNOME NOME e per i delitti satelliti in materia di armi.
Tanto vale a richiamare le ragioni d’inammissibilità indicate ai paragrafi 1.1.1., 1.1.2., 1.1.2.1., 1.1.3. con i relativi sottoparagrafi, 1.1.4. e 1.1.5..
3.1.1. Sempre in seno al primo motivo d’impugnazione, il ricorrente si duole della mancata risposta a tutte le deduzioni difensive esposte con l’atto di appello.
Anche tale doglianza è inammissibile in quanto essa si risolve in una valutazione di merito alternativa a quella della Corte di appello, che ha evidentemente ritenuto infondata la prospettazione difensiva. Si deve considerare, infatti, che il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogn singolo elemento eventualmente acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elemen essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.
A tal proposito questa Corte ha già avuto modo di affermare che «non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argonnentativa della sentenza», (Sez. 4 – , Sentenza n. 5396 del 15/11/2022 Ud., dep. il 2023, COGNOME, Rv. 284096 – 01; Sez. 5 – , Sentenza n. 6746 del 13/12/2018 Ud., dep. 12/02/2019, Currà, Rv. 275500 01).
3.2. Il secondo motivo d’impugnazione del ricorso proposto dall’Avvocato COGNOME e il primo motivo d’impugnazione esposto nel ricorso dell’Avvocato COGNOME si rivolgono all’aggravante della premeditazione, che si assume erroneamente ritenuta dalla Corte di appello.
Il tema è stato affrontato alla pagina 72 della sentenza impugnata, dove la Corte di assise di appello ha dato risposta all’identica questione di merito ora reiterata con l’impugnazione di legittimità. La Corte di appello, dopo avere ampiamente descritto tutta la dinamica dell’omicidio, sin dalla sua ideazione fino
alla fase esecutiva, ha sottolineato che «l’agguato è stato il frutto evidente di un piano accuratamente programmato a partire dall’intesa criminale tra COGNOME e COGNOME che hanno tenuto conto degli orari e delle abitudini dello Zinco per la individuazione del momento propizio per la riuscita del piano; che hanno tenuto conto della necessità di utilizzare killer estranei alla zona di INDIRIZZO e di quella di un loro passaggio in zona evitando il trasporto delle armi per le strade della città. A riprova della sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione deve anche rivelarsi che il Carra ha collocato alle 17,30 l’incontro nel rione Traiano tra mandanti ed esecutori e questi ultimi sono stati chiamati ad agire ben tre ore dopo nel corso delle quali ebbero modo di valutare e confermare il proposito criminale».
A fronte di una motivazione che non può dirsi mancante, né manifestamente illogica o contraddittoria nel senso specificato al paragrafo 1.1.1., il ricorrent reitera le medesime questioni svolte con l’appello, affrontate e risolte dalla Corte di assise di appello, con motivazione che viene in gran parte trascurata, mancando ogni confronto con essa, complessivamente e unitariamente considerata.
Da qui le ragioni d’inammissibilità già indicate, cui se ne aggiunge un’ulteriore, correlata all’evidenziata mancanza di confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
3.2.2. A tale riguardo, va ribadito che «è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato», (Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01). Tanto vale a dire che «In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema», (Sez. 3 – , Sentenza n. 3953 del 26/10/2021 Ud., dep. il 2022, COGNOME, Rv. 282949 – 01).
3.3. Analoghe considerazioni valgono anche in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..
La Corte di appello -sempre dando risposta all’identica questione di merito sollevata dalla difesa con il gravame e oggi riproposta con l’impugnazione di legittimità- ha specificato che l’aggravante dell’agevolazione mafiosa doveva ritenersi configurata perché l’omicidio era stato realizzato in danno di un rivale della cosca COGNOME e operante nel suo stesso territorio, al fine di consolidare con la sua eliminazione l’egemonia esclusiva di quest’ultima su quel territorio altrimenti
condiviso con COGNOME Con l’ulteriore specificazione che la cosca COGNOME non era dotata delle potenzialità necessarie a realizzare l’omicidio e per tale ragione si era rivolta ad altro sodalizio, così coinvolgendo nel fatto delittuoso anche COGNOME, facente parte di altra cosca.
A fronte di una motivazione che non può dirsi carente, manifestamente illogica o contraddittoria, anche in questo caso, il ricorrente oppone le medesime deduzioni di merito contenute nell’atto di appello, trascurando e frammentando la motivazione del provvedimento impugnato, così incorrendo nelle plurime ragioni d’inammissibilità già più volte richiamate.
3.4. Con riguardo, poi, all’aggravante del metodo mafioso, il ricorrente oppone che la Corte di assise di appello lo identifica erroneamente con la natura mafiosa dell’omicidio.
A tale proposito va rilevata la carenza di un interesse concreto dell’imputato, atteso che dall’accoglimento del motivo non sortirebbe alcun effetto favorevole.
Invero, l’interesse a impugnare, così come richiamato dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; id est sussiste un interesse concreto solo ove dalla denunciata violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Sez. U, Sentenza n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093 – 01 seguita da moltissime conformi, fino alla più recente Sez. 3 -, Sentenza n. 30547 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 276274 – 01). In altre parole, l’interesse ad impugnare non è costituito dalla mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica della motivazione del provvedimento, ma dall’interesse a conseguire -dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento impugnato- un vantaggio concreto.
Nel caso di specie, il già avvenuto riconoscimento dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. priva l’interesse all’esclusione della stessa aggravante declinata nel senso della modalità mafiosa.
Tale esclusione, invero, non incide sul trattamento sanzionatorio, atteso che vi è stata una considerazione unitaria dell’art. 416-bis.1 cod. pen., che trova comunque titolo nell’agevolazione mafiosa.
A ciò si aggiunga che nel caso in esame la pena è stata condizionata dal riconoscimento dell’aggravante della premeditazione, che ha fatto irrogare la pena dell’ergastolo, ridotta a trenta anni di reclusione per effetto dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione vigente all’epoca del fatto.
Tanto vale a dire che il ricorrente non sortirebbe nessun effetto pratico più favorevole dall’annullamento sul punto del provvedimento impugnato in punto di trattamento sanzionatorio.
Da qui l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame, per carenza d’interesse.
3.5. Con il quarto motivo del ricorso dell’Avvocato COGNOME il ricorrente si duole dell’omessa motivazione in relazione al motivo di appello con cui si sosteneva che nei confronti di COGNOME era configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..
A tale riguardo va premesso che «nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata», (Sez. 6 – , Sentenza n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935 – 01).
Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata complessivamente e unitariamente considerata, emerge come la Corte di assise di appello abbia ritenuto che il ruolo di COGNOME non fosse marginale, così implicitamente disattendendo la deduzione difensiva.
Va rilevato, infatti, la Corte di assise di appello ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in favore di Bitonto osservando che il suo ruolo (pur non configurando l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.), era comunque marginale.
Tale rilievo di marginalità non è stato fatto in relazione alla posizione di COGNOME al cui riguardo i giudici dell’appello hanno implicitamente escluso che il suo ruolo fosse marginale o -tantomeno- di minima importanza.
Va, infatti, ribadito che «il difetto di motivazione, quale causa di nullità dell sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatt richiamo, sia pure implicito», (Sez. 2 – , Sentenza n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091 – 01).
3.6. Con il secondo motivo d’impugnazione del ricorso dell’Avvocato COGNOME si deduce che la Corte di assise di appello ha immotivatamente negato le circostanze attenuanti generiche pure riconosciute a Bitonto. Con il terzo motivo di
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impugnazione del ricorso dell’Avvocato COGNOME si deduce altresì la sproporzione dell’aumento di pena inflitto in continuazione rispetto sempre al concorrente Bitonto.
Il ricorrente trascura di considerare che ogni posizione non è esattamente sovrapponibile e non si confronta con il fatto che la Corte di assise di appello ha valorizzato la giovane età di Bitonto e il suo ruolo marginale nell’omicidio.
Circostanze evidentemente non presenti per NOME, che è nato il 1965, mentre Bitonto è nato il 1991 e che, per come visto, non ha avuto un ruolo marginale nell’omicidio, essendo stato uno degli esecutori materiali, mentre il ruolo di Bitonto è stato quello di condurre NOME presso il bar INDIRIZZO, dove veniva agganciato la vittima dell’omicidio.
3.7. I ricorsi presentati in favore di COGNOME sono conclusivamente inammissibili.
Il ricorso di NOME NOME è inammissibile.
4.1. Il primo motivo d’impugnazione si riferisce alle circostanze attenuanti generiche ed è manifestamente infondato oltre che aspecifico.
La Corte di assise di appello ha affrontato le deduzioni relative alle circostanze attenuanti generiche rilevando la genericità delle argomentazioni difensive (indistintamente rivolte a COGNOME e COGNOME) e osservando che la rinuncia parziale ai motivi di gravame risultava irrilevante ai fini delle circostanze attenuant generiche, a fronte di condotte criminali sintomatiche di una peculiare inclinazione criminale, attesa l’elezione del crimine a unica fonte di reddito. Ciononostante, la Corte di assise di appello riteneva comunque di ridurre la pena.
A fronte di una motivazione che certamente non è mancante e non è manifestamente illogica o contraddittoria nel senso specificato al paragrafo 1.1.1., il ricorrente si limita a esporre principi di diritto genericamente riferiti circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, senza tuttavia esporre reali censure al provvedimento impugnato.
Da qui il difetto di specificità, perché privo dei requisiti prescritti dall’art. comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
4.2. Identico difetto di specificità si rileva anche in relazione al terzo motivo di ricorso, con il quale viene dedotto un vizio di omessa motivazione con argomentazioni eminentemente generiche e prive di alcun riferimento concreto e specifico alla motivazione della sentenza impugnata.
4.3. Il secondo motivo di ricorso – con il quale si nega la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.- non era stato dedotto con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva.
A tal proposito, va ribadito che «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto
per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)», (Sez. 3, Sentenza n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, COGNOME, Rv. 274346).
4.4. Il ricorso di NOME è conclusivamente inammissibile.
Il ricorso di COGNOME Pasquale è inammissibile.
5.1. Il primo motivo d’impugnazione è riferito al reato di tentativo di estorsione pluriaggravata contestata al capo 6), di cui si nega la configurabilità.
La Corte di appello ha confermato l’affermazione di responsabilità osservando (tra l’altro) che gravavano a carico dell’imputato il contenuto delle conversazioni intercettate, le dichiarazioni della persona offesa (COGNOME NOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente si oppone alle conclusioni raggiunte dai giudici sulla base di una valutazione delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme, senza che siano evidenziate violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, mirando a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello.
Da ciò discende l’inammissibilità del ricorso, dovendosi ribadire che, sono inammissibili tutte le doglianze che -come nel caso in esame- “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, del credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2 – , Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5730 del 20/09/2019 ud-, dep. 13/02/2020, Russo e altro, non massimata; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
5.2. Il secondo motivo è inteso a negare la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..
La questione non risulta dedotta con l’atto di appello, con conseguente inammissibilità del ricorso per l’interruzione della catena devolutiva, per come già visto.
5.3. Il terzo motivo si rivolge alle circostanze attenuanti generiche.
A tale proposito va rilevato che nell’atto di appello non si rinviene un motivo specificamente sviluppato a tale riguardo, non potendosi considerare tale una mera evocazione del riconoscimento di circostanza attenuanti generiche accompagnata da un richiamo giurisprudenziale, priva di censure alla sentenza di primo grado.
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Da qui discende l’inammissibilità del motivo oggi esposto con il ricorso, dovendosi ribadire che «la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. (Fattispecie di inammissibilità dell’appello dovuta a tardiva presentazione dei motivi)», (Sez. 3 – , Sentenza n. 20356 del 02/12/2020 Ud., dep. il 2021, Mirabella, Rv. 281630 – 01)., così enunciata: «»
5.4. Il ricorso di COGNOME è conclusivamente inammissibile.
Il ricorso di COGNOME NOME è fondato in relazione al trattamento sanzionatorio, inammissibile nel resto.
6.1. In relazione al trattamento sanzionatorio si rileva che la Corte di assise di appello ha così determinato la pena: pena base per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. anni 12 di reclusione, aumentata a 14 anni di reclusione per la continuazione interna; aumentata a 16 anni di reclusione per la continuazione esterna, ridotta ad anni dieci e mesi otto di reclusione per il rito.
Il tribunale, invece, ha così determinato la pena: pena base per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., anni quindici di reclusione, aumentato ad anni venti di reclusione per la continuazione con il capo 7), ridotta per il rito alla pena finale d anni tredici e mesi quattro di reclusione.
In effetti, dalla collazione dei percorsi seguiti dai due giudici nell determinazione del trattamento sanzionatorio emerge come la Corte di assise di appello abbia applicato un duplice aumento di pena correlato a una “continuazione interna” e a una “continuazione esterna” non meglio specificate e, comunque, non sussistenti nell’ordito motivazione del giudice di primo grado.
A ciò si aggiunga che neanche dalla lettura dell’imputazione è possibile scorgere una continuazione interna nella contestazione dell’estorsione, che viene descritta come un fatto unico, così che non può ritenersi che il giudice dell’appello abbia estrapolato e reso evidente un dato già presente nella motivazione del giudice di primo grado.
Tanto risalta la violazione del divieto di reformatio in peius fondatamente dedotta dal ricorrente, cui deriva l’annullamento della sentenza impugnata sul punto.
L’annullamento, comunque, può disporsi senza rinvio ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. in quanto la pena può essere rideterminata sulla base delle statuizioni del giudice di merito, secondo la seguente sequenza: pena base, anni 12 di reclusione, aumentata per la continuazione ad anni 14 di reclusione, ridotta per il rito ad anni nove, mesi quattro di reclusione.
6.2. Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente si duole dell’omessa
motivazione in relazione all’aumento per la continuazione in relazione al capo 7.
In questo caso va rilevata la carenza d’interesse dell’imputato, atteso che la Corte di assise di appello ha determinato l’aumento in continuazione in violazione di legge, in favore dell’imputato.
Va ricordato, infatti, che COGNOME è stato ritenuto recidivo reiterato, con la conseguenza che in sede di determinazione della pena andava applicato l’art. 81, quarto comma, cod. pen., che dispone che l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave.
Tanto importa che l’aumento per la continuazione non poteva essere inferiore a quattro anni, mentre la Corte di assise di appello ha operato un aumento di due anni di reclusione, così violando quanto disposto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen..
La mancanza di impugnazione sul punto da parte del pubblico ministero fa lasciare inalterata la pena illegale pro-reo che, dal suo canto, non si può dolere di un trattamento sanzionatorio a lui favorevole in violazione di legge.
6.3. Il terzo motivo d’impugnazione è manifestamente infondato, atteso che la Corte di assise di appello -diversamente da quanto denunciato- ha puntualmente motivato sulla negazione delle circostanze attenuanti generiche osservando che la rinuncia parziale ai motivi di gravame risultava irrilevante ai fini delle circostanz attenuanti generiche, a fronte di condotte criminali sintomatiche di una peculiare inclinazione criminale, attesa l’elezione del crimine a unica fonte di reddito. Ciononostante, la Corte di assise riteneva comunque di ridurre la pena.
A fronte di una motivazione che certamente non è mancante e non è manifestamente illogica né contraddittoria nel senso specificato al paragrafo 1.1.1., il ricorrente oppone valutazioni antagoniste a quelle dei giudici di merito che, in quanto tali, non sono scrutinabili in sede di legittimità.
Quanto GLYPH esposto GLYPH porta GLYPH alla GLYPH declaratoria GLYPH di GLYPH inammissibilità dell’impugnazione presentata da COGNOME Alessandro, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Pasquale, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei menzionati ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Nei confronti di COGNOME invece, la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, mentre i restanti motivi di ricorso sono inammissibili.
Tutti i ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, avendo riguardo all’esito del giudizio, che li ha vi soccombenti in relazione alla sussistenza dei fatti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni nove e mesi quattro di reclusione; dichiara inammissibile nel resto il ricorso; dichiara
inammissibili i ricorsi di NOMECOGNOME Bitonto NOMECOGNOME NOMECOGNOME
NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE RETE PER LA LEGALITA’ COORDINAMENTO REGIONALE PER
RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 17/04/2024