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Inammissibilità del ricorso: analisi della Cassazione

Un individuo, condannato per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione dopo che la Corte d’Appello, pur accogliendo la sua richiesta principale di continuazione tra i reati, non ha riesaminato le questioni subordinate sulla pena. La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, sottolineando che l’appellante non ha contestato specificamente il ragionamento della corte precedente, la quale aveva ritenuto i motivi subordinati ‘assorbiti’ dalla decisione principale. Questo caso evidenzia l’importanza di formulare un’impugnazione mirata e critica verso la decisione impugnata per evitare una declaratoria di inammissibilità del ricorso.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Inammissibilità del ricorso: Cosa Succede Quando l’Appello è Generico?

L’istituto dell’inammissibilità del ricorso rappresenta un filtro fondamentale nel nostro sistema giudiziario, volto a impedire che la Corte di Cassazione venga investita di questioni non meritevoli di esame. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come un’impugnazione, se non correttamente formulata, sia destinata a naufragare prima ancora di essere discussa nel merito. Il caso in esame riguarda un ricorso presentato contro una sentenza della Corte d’Appello che, pur avendo accolto la richiesta principale dell’imputato, è stata ugualmente impugnata su motivi subordinati.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo grado dal GIP presso il Tribunale per un reato previsto dalla legge sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). In sede di appello, la sua difesa chiedeva, in via principale, il riconoscimento della continuazione tra questo reato e un altro, giudicato in una precedente sentenza. In via subordinata, venivano avanzate doglianze relative alla determinazione della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e ad altri criteri sanzionatori.

La Corte d’Appello accoglieva la richiesta principale, riconoscendo la continuazione e rideterminando la pena complessiva in un anno e due mesi di reclusione e 900 euro di multa. Nonostante l’esito parzialmente favorevole, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, lamentando proprio le questioni che in appello aveva posto come subordinate.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine della procedura penale: il ricorso deve confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata. In questo caso, l’appellante non lo ha fatto, limitandosi a riproporre le stesse questioni già sollevate in appello in via subordinata.

La Suprema Corte ha evidenziato come l’impugnazione non avesse colto il nucleo centrale della decisione della Corte d’Appello, che aveva correttamente ritenuto assorbiti i motivi subordinati una volta accolta la domanda principale di riconoscimento della continuazione.

Le Motivazioni della Decisione

L’ordinanza della Cassazione poggia su due pilastri argomentativi interconnessi.

In primo luogo, si sottolinea che l’obiettivo primario dell’imputato in appello era ottenere il riconoscimento della continuazione. Una volta raggiunto questo scopo, la Corte d’Appello ha proceduto a una nuova e complessiva valutazione della pena. Questa operazione ha, di fatto, superato e ‘assorbito’ le doglianze subordinate, come quelle sulle attenuanti generiche. Il ricorso in Cassazione avrebbe dovuto, quindi, contestare la logicità di questo assorbimento, cosa che non è avvenuta.

In secondo luogo, la Corte rileva come il ricorrente non si sia confrontato con l’effettivo iter argomentativo del giudice di secondo grado. La Corte d’Appello aveva motivato la scelta di infliggere una pena leggermente superiore al minimo edittale (due mesi di reclusione e 100 euro di multa come aumento per la continuazione) in base alla personalità dell’imputato, pur definendo la sanzione ‘assolutamente lieve’. Il ricorso non ha criticato questo specifico passaggio, rendendo le lamentele generiche e, di conseguenza, inammissibili.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia ribadisce una lezione fondamentale per chiunque intenda impugnare un provvedimento giudiziario: non è sufficiente ripetere le proprie ragioni. È indispensabile analizzare a fondo la motivazione della sentenza che si contesta e costruire un ricorso che ne demolisca, punto per punto, la struttura logico-giuridica.

L’inammissibilità del ricorso non è solo una sconfitta processuale, ma comporta anche conseguenze economiche. Come nel caso di specie, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende. Ciò avviene quando si ritiene che il ricorso sia stato proposto ‘senza versare in colpa’, ovvero con una negligenza evidente nella valutazione delle possibilità di successo. La strategia difensiva deve quindi essere mirata e consapevole, per evitare di incorrere in ricorsi sterili e dannosi.

Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non si è confrontato specificamente con la motivazione della sentenza della Corte d’Appello, ma si è limitato a riproporre motivi di gravame che erano già stati ‘assorbiti’ e superati dalla decisione del giudice di secondo grado di accogliere la richiesta principale dell’imputato.

Cosa significa che i motivi di appello sono stati ‘assorbiti’?
Significa che l’accoglimento della domanda principale (il riconoscimento della continuazione tra i reati) ha reso necessario un nuovo calcolo complessivo della pena. Questa nuova determinazione ha implicitamente considerato e superato le questioni subordinate relative ai singoli criteri di commisurazione della sanzione, come le attenuanti generiche.

Quali sono le conseguenze pratiche dell’inammissibilità del ricorso?
Oltre a rendere definitiva la sentenza impugnata, la declaratoria di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver intrapreso un’impugnazione priva di fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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