Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36694 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BOLOGNA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/04/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, nel senso dell’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna ex artt. 591, comma 1, lett. c, e 581 cod. proc. pen. ha dichiarato (de plano) inammissibile perché aspecifico l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME censurante la ritenuta configurabilità del futto tentato, in luogo del reato impossibile, e l’insussistenza dei presupposti dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Nell’interesse dell’imputata è stato proposto ricorso fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Si deducono violazione dell’art. 591, comma 1, lett. c., cod. proc. pen. nonché l’«inidoneità della motivazione in ordine» all’insussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.
In forza della pacifica ricostruzione fattuale, come emergente anche delle videoriprese, l’appellante avrebbe sostenuto l’inidoneità del tentativo di furto. Ciò in ragione dell’essere stata l’imputata sorpresa dal responsabile del supermercato aggirarsi tra gli scaffali e riporre merce nella propria borsa per poi essere colta, senza soluzione di continuità, oltrepassate le casse e in possesso di merce ulteriore rispetto a quella pagata. Premesso quanto innanzi, il ricorrente critica l’ordinanza impugnata che avrebbe ritenuto inammissibile il motivo relativo alla dedotta sussunnibilità della fattispecie concreta nella previsione astratta di cui all’art. 49 cod. pen. non in ragione della sua aspecificità, a cui pur l’ordinanza stessa farebbe esplicito riferimento, bensì ritenendo la censura manifestamente infondata. Sicché, i giudici di merito avrebbero deciso in dissonanza dai pacifici principi di legittimità governanti la materia dell’inammissibilità dell’appello quanto alla non rilevabilità di essa per l’ipotesi di manifesta infondatezza dei motivi.
La Corte territoriale avrebbe poi ritenuto inammissibile il motivo sindacante l’esclusione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, per mancata considerazione della ratio sottesa alla decisione, senza confrontarsi con la doglianza. Ciò in quanto, per come letteralmente esplicitato in ricorso, l’esclusione della punibilità in esame «secondo il casellario … risultava concepibile non ricorrendo più di una concessione dell’istituto, quindi pienamente ammissibile nel momento di presentazione della domanda».
La Procura generale ha concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La Suprema Corte, con orientamento espresso a Sezioni Unite e costantemente ribadito, ha chiarito che, a seguito della riforma dell’art. 581 cod. proc. pen. da parte della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata ovvero quando le censure non affrontano la motivazione spesa nel provvedimento ma non anche per la manifesta infondatezza delle censure, invece rilevabile con riferimento al ricorso per cassazione. Fermo restando che l’evidenziato onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (ex plurimis: Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME; e tra le tante successive, limitando i riferimenti a una delle più recenti, Sez. 5, n. 1589 del 09/01/2025, COGNOME, Rv. 288005 – 01).
Orbene, la sentenza di primo grado ha condannato l’imputata per il tentato furto contestatole in forza dell’idoneità della condotta di materiale apprensione dei beni presenti all’interno del supermercato, con i quali la prevenuta ha oltrepassato le casse, rispetto alla verificazione dell’evento (l’impossessamento dei detti beni), non verificatosi in ragione del pronto intervento degli addetti alla sicurezza che avevano monitorato l’agire della prevenuta.
Sicché, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto le censure relative alla mancata sussunzione nell’ipotesi di cui all’art. 49 cod. pen. prive di specificità e non in correlazione controargomentativa con gli snodi dell’apparato motivazionale della sentenza appellata.
3.1. In ragione dell’evidenziato iter logico-giuridico sotteso alla sentenza di primo grado, l’appellante, in ossequio all’art. 581, comma 1, lett. d, cod. proc. pen., avrebbe dovuto indicare le ragioni di diritto per cui il fatto non controverso dallo stesso appellante, accertato come caratterizzato da condotta intrinsecamente idonea a produrre l’evento, non fosse suscettibile di essere sussunto nel tentativo di furto in quanto integrante un reato impossibile (per il c.d. reato impossibile, ex plurimis: Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278085 – 01).
L’appello avrebbe dovuto altresì indicare gli elementi di fatto a sostegno delle ragioni di diritto – come detto, mancanti – per cui la specifica condotta accertata si sarebbe dovuta ritenere intrinsecamente inidonea, cioè priva di astratta deternninabilità causale nella produzione dell’evento per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, quali sistemi di videosorveglianza e/o vigilanza.
3.2. Ne consegue la manifesta infondatezza del profilo di doglianza in oggetto. ·
È altresì inammissibile il profilo di censura che si appunta sulla ritenuta inammissibilità del motivo d’appello sindacante la mancata esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Il ricorrente non confronta il proprio dire con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, fondante sull’esistenza della condizione ostativa dell’abitualità della condotta valutata in considerazione di precedenti condotte specifiche e reiterate con riferimento alle quali l’imputato, come evidenziato dal giudice di primo grado, è stato ritenuto non punibile ex art. 131-bis cod. pen. (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione con riferimento anche al mancato confronto con la motivazione del provvedimento impugnato e al conseguente venir meno in radice dell’unica funzione per la quale è previsto e ammesso il ricorso per cassazione, ex plurimis: Sez. 4, n. 26319 del 17/06/2025, COGNOME, tra le più recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, COGNOME, Rv. 254584 – 01; si vedano altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01, in ordine ai motivi d’appello ma sulla base di principi rilevanti anche con riferimento al ricorso per cassazione).
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro tremila in favore dalla Cassa delle ammende.
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Così deciso il 2 ottobre 2024
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