Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20315 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20315 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Egitto il 01/09/1993;
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 20/11/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria rassegnata, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di Agrigento, con sentenza pronunciata (all’esito del rito abbreviato) il giorno 13 aprile 2023, dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. 286/98 (commesso in Lampedusa il 22 gennaio 2022) e, previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva e con la riduzione prevista per il rito prescelto, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione.
1.1. In particolare, l’imputazione era relativa al fatto che NOME COGNOME senza essere munito della speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno, aveva fatto rientro nel territorio italiano dopo esserne stato espulso in seguito a decreto emesso dal Prefetto della Provincia di Milano in data 11 agosto 2017 (con espresso divieto di reingresso nel territorio nazionale per la durata di anni cinque), essendo sbarcato in Lampedusa in data 22 gennaio 2022. Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
1.2. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse dell’imputato, per difetto di specificità dei relativi motivi.
Avverso la sopra indicata sentenza della Corte territoriale NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. pr pen., insistendo per il suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo l’imputato lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 581 e 591 del codice di rito per avere ritenuto l’atto di gravame privo del requisito della specificità nonostante esso rispettasse tutti i requisiti previsti in materia dalle sopra indicate disposizioni; nello specifico osserva che l’appello conteneva la indicazione del capo della sentenza oggetto di gravame e l’enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto relative alla lamentata mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale omesso di considerare
che la valutazione della abitualità, ai sensi dell’art. 131-bis, comma 3, cod. pen., richiede una puntuale analisi delle circostanze specifiche del caso concreto e che la sola esistenza di precedenti non è sufficiente ad escludere la causa di non punibilità se non si dimostra un reale collegamento tra tali precedenti e una abituale reiterazione della condotta illecita.
2.3. Con il terzo motivo NOME COGNOME si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen. della violazione degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU poiché la declaratoria di inammissibilità del gravame gli avrebbe precluso l’accesso ad un giudizio di merito, con la conseguente compromissione del suo diritto di difesa.
In data 2 aprile 2025 (quindi tardivamente rispetto ai termini fissati dall’art. 611 del codice di rito) il difensore ha depositato memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il procedimento si è svolto in modalità cartolare non essendo stata avanzata, nei termini di legge, richiesta di trattazione in presenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
La Corte di appello, pur dichiarando la inammissibilità della impugnazione, ha preso in esame il merito delle doglianze e, nel far ciò, ha compiutamente motivato sulle ragioni di infondatezza dell’appello. Nonostante la pronuncia di inammissibilità per genericità dei motivi, la Corte non ha mancato di esaminare il contenuto e ha così spiegato che la pretesa di applicazione della causa di non punibilità dell’art. 131-bis cod. pen., pur a fronte della omessa pronuncia sul punto del giudice di primo grado, non può essere accolto. Al di là, quindi, della qualificazione in termini di inammissibilità, la pronuncia impugnata si è inrnata in una valutazione di non accoglimento che, per quanto ivi argomenta..o, non merita censure in sede di controllo di legittimità.
Passando, quindi, all’esame del secondo motivo è opportuno ricordare che ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l’autore,
anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. (In motivazione, la Corte ha chiarito che, ai
fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione – nel
caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui- ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili
ex art. 131-bis cod.
pen.) (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591 – 01). Pertanto, al fine di valutare l’abitualità del comportamento, il giudice di merito deve apprezzare
l’esistenza di almeno due precedenti della stessa indole.
Ciò posto, la sentenza impugnata non appare censurabile avendo fatto riferimento, tra l’altro, a due precedenti condanne irrevocabili riportate
dall’imputato sempre per violazioni della normativa in materia di immigrazione
(sentenze pronunciate dal Giudice di pace di Como il 9 luglio 2020 ed il 20 ottobre
2020, risultanti dal certificato penale in atti). Il ricorrente, pertanto, non s confronta in modo specifico con il compiuto ragionamento logico e giuridico svolto dalla Corte territoriale per escludere la particolare tenuità del fatto, limitandosi a dedurre in modo del tutto generico la insussistenza della abitualità.
Infondate risultano, infine, anche le censure contenute nel terzo motivo considerato che – come sopra illustrato – la Corte territoriale ha esaminato anche nel merito le censure sollevate dall’imputato in ordine alla non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2025.