Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9269 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9269 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato il DATA_NASCITA PORUTHOTAGE COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di FIRENZE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni scritte del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.
lette le conclusioni scritte del difensore dell’imputato COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
lette le conclusioni scritte del difensore dell’imputato COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 11 dicembre 2020 il Tribunale di Lucca, in rito abbreviato, ha condannato NOME e NOME NOME alla pena di 15 anni di reclusione, oltre statuizioni
accessorie, per l’omicidio volontario di NOME COGNOME. Il fatto è avvenuto a Lucca il 17 aprile 2019.
Con sentenza del 13 ottobre 2021 la Corte di assise di appello di Firenze ha dichiarato inammissibili gli appelli degli imputati.
In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto che i motivi dell’appello di COGNOME consistenti nella deduzione della mancata partecipazione all’evento (primo motivo) della mancata derubricazione del reato in quello di cui all’art. 584 cod. pen. (secondo motivo), del mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche (terzo motivo), del mancato riconoscimento del minimo edittale (quarto motivo), ed i motivi dell’appello di COGNOME consistenti nella deduzione del mancato riconoscimento della legittima difesa, reale o putativa, o dell’eccesso colposo (primo motivo), della mancata riqualificazione del fatto in omicidio preterintenzionale. (secondo motivo), del mancato riconoscimento delle attenuanti della provocazione e delle attenuanti generiche nonché della eccessività della pena (terzo motivo) e dell’eccessività delle somme liquidate alla parte civile (quarto motivo), fossero tutti inammissibili per mancanza di specificità.
Avverso il predetto provvedimento han proposto ricorso gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, con i seguenti motivi di seguito descritti nei lim strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso COGNOME,
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificit:à del primo motivo di appello, evidenziando che il motivo di appello indicava i punti non valutati dal giudice di primo grado che avrebbero dovuto condurre ad un esito diverso del processo.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del secondo motivo di appello, rilevando che il motivo di appello evidenziava gli elementi da cui si doveva desumere la preterintenzionalità del fatto, quali le intercettazioni successive al fatto e la circostanza che gli imputati si siano messi a dormire nello stesso luogo in cui avevano ucciso la vittima.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del terzo motivo di appello, evidenziando che il motivo di appello indicava, a sostegno del riconoscimento della provocazione, la circostanza che lo stesso giudice dell’abbreviato aveva ritenuto non inverosimile che fosse stata la vittima ad
aggredire per prima, ed, a sostegno delle generiche, l’incensuratezza, il buon inserimento familiare e sociale, il comportamento processuale, in quanto l’imputato ha reso dichiarazioni che nella sostanza sonc state confermate dall’istruttoria.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del quarto motivo di appello, evidenziando che l’appello può essere specifico se anche il provvedimento impugnato lo è, e, nel caso in esame, il giudice dell’abbreviato era partito da una pena base di 22 anni e 6 mesi senza motivazione.
2.2. Ricorso COGNOME,
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del primo motivo di appello, evidenziando che il motivo di appello indicava i punti della decisione cui si riferiva l’impugnazione, nonché l’erronea valutazione delle prove e le richiesta, e su di esse la Corte di appello si è di fatto pronunciata nel merito, pur se dichiarandone la inammissibilità; in particolare, il motivo di appello era specifico perchè chiedeva di valutare le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di dichiarazioni spontanee e perché evidenziava che il giudice non aveva tenuto conto delle circostanze che potevano aver influenzato la corretta percezione degli imputati.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del secondo motivo di appello, rilevando che il motivo di appello aveva evidenziato gli elementi da cui si doveva desumere la preterintenzionalità del fatto, quale il comportamento successivo al reato dell’imputato, che non è fuggito, e le conversazioni intercettate in carcere.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del terzo motivo di appello, evidenziando che il motivo di appello indicava a sostegno della provocazione la circostanza che lo stesso giudice dell’abbreviato aveva ritenuto non inverosimile che fosse stata la vittima ad aggredire per prima, ed a sostegno delle generiche la incensuratezza ed il comportamento successivo al reato, in quanto l’imputato non era fuggito.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per aspecificità del quarto motivo di appello, evidenziando che l’appello può essere specifico se anche il provvedimento impugnato lo è, e nel caso in esame il giudice dell’abbreviato aveva liquidato il danno alle parti civili con formule puramente di stile, mentre nessuna
risposta si rinviene sul motivo relativo alla quantificazione delle spese della parte civile.
Con requisitoria scritta il AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Il difensore dell’imputato COGNOME, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il difensore dell’imputato COGNOME, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili.
1. Ricorso COGNOME.
1.1. Il primo motivo, dedicato al giudizio di responsabilità per concorso in omicidio, è inammissibile.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto COGNOME concorrente nell’omicidio di COGNOME anzitutto perché gli imputati si erano scaricati la responsabilità a vicenda, e ciò costituiva, secondo il giudice di primo grado, un primo punto di partenza a sostegno della tesi di una partecipazione congiunta all’aggressione, e poi perché, nel senso dell’aggressione condotta da entrambi, deponevano il numero, la diffusione e le varietà delle lesioni patite dalla vittima, nonché l’uso di una molteplicità di corpi contundenti perché tracce del sangue della vittima sono stati trovate su due sedie, su uno sgabello e su una padella, nonché gli schizzi di sangue della vittima ritrovati, oltre che diffusamente sul corpo di COGNOME, anche su quello di COGNOME, in particolare sul dorso del piede destro, nonchè il tenore dei dialoghi intercettati in carcere in cui l’imputato parla di una aggressione condotta al plurale.
L’atto di appello aveva contestato la responsabilità dell’imputato riproponendo la versione dell’aggressione, che questi aveva dato nel corso dell’interrogatorio, che prevedeva il coinvolgimento in essa del solo COGNOME, ed evidenziando l’assenza di tracce del profilo genetico di COGNOME nel materiale sequestrato, l’assenza di tracce di stupefacente e la moderata assunzione di alcol rinvenuta nelle analisi.
La pronuncia d’appello ha ritenuto l’articolazione del motivo di appello non specifica, perché la tesi esposta in esso prescindeva dal percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado e non prendeva posizione su nessuno degli otto
punti che nella motivazione della sentenza di primo grado avevano indotto il giudice ad estendere a COGNOME il giudizio di responsabilità.
Il ricorso per Cassazione, nel contestare l’accusa di aspecificità del motivo di appello, sostiene che lo stesso aveva evidenziato i profili del Fatto che non erano stati presi in considerazione dal primo giudice, nel citare tali profili del fatt riporta, però – in corsivo, e tra parentesi – non gli argomenti dell’appello, ma quelli della sentenza di primo grado (fine pagina 3, inizio pagina 4 del ricorso).
Il collegio ritiene che l’appello fosse effettivamente aspecifico, perché lo stesso non aveva preso posizione sugli argomenti usati dal giudice di primo grado per ritenere sussistente il concorso di COGNOME nella responsabilità, su tutti, in particolare, sulla pluralità di mezzi utilizzati per colpire COGNOME – due sedie, uno sgabello, una padella – che erano un indice non illogico della esistenza di una pluralità di concorrenti, argomento che l’appello non ha provato proprio a contrastare,
L’onere di specificità che deve caratterizzare i motivi di appello impone, infatti, all’appellante di contrapporre alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata argomentazioni che attengano agli specifici passaggi della motivazione della sentenza ovvero concreti elementi fattuali pertinenti a quelli considerati dal primo giudice (Sez. 6, n. 37392 del 2/7/2014, COGNOME, Rv. 261650; per la sistematica generale della specificità dei motivi di appello v. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
Dall’aspecificità del motivo di appello consegue la manifesta infondatezza anche di questo motivo del ricorso per cassazione.
1.2. È inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, dedicato al dolo di omicidio.
La sentenza di primo grado ha ritenuto di escludere l’ipotesi prospettata dalla difesa dell’omicidio preterintenzionale e di ritenere sussistente, invece, negli imputati il dolo di omicidio, che ha ricavato dalla notevole gravità delle lesioni riportate dalla vittima, dalla loro diffusione in tutto il corpo, e anche in zone vita quale la testa, dall’uso reiterato di più mezzi di aggressione (calci, pugni e vari oggetti contundenti) e dalla partecipazione congiunta di due persone al pestaggio, che danno conto di una violenza talmente accentuata da dimostrare la volontà di uccidere; alla luce delle caratteristiche dell’azione non è dubbio per il giudice di primo grado che gli imputati avessero previsto la morte della vittima come conseguenza altamente probabile della condotta; a conferma di tale tesi, la sentenza di primo grado evidenzia anche che gli stessi imputati riferiscono che dopo l’aggressione era stato necessario appoggiare la vittima sul letto, tanto era debole, dolorante e sanguinante; non depone in senso contrario alla volontà
dell’omicidio, secondo il giudice di primo grado, la circostanza che dopo il pestaggio gli imputati abbiano parlato con la vittima e gli abbiano poitato acqua e latte, perché la feroce aggressione rendeva gli imputati consapevoli che a causa di essa NOME potesse con ogni probabilità perdere la vita, come, peraltro, avvenuto di lì a pochi minuti.
L’atto di appello contestava il percorso logico della sentenza di primo grado deducendo che dagli atti non emergeva con ragionevole certezza che l’intenzione fosse quella di uccidere o di accettare il rischio che dalla propria condotta potesse derivare la morte di NOME, e che il comportamento successivo alla lite deve indirizzare l’analisi verso la preterintenzione, gli imputati, infatti, hanno soccorso NOME e gli hanno dato da bere e se ne sono andati a letto nella convinzione che tutto fosse terminato, e che quindi COGNOME non stesse poi così male; le stesse intercettazioni ambientali richiamate dal giudice di primo grado in motivazione devono far propendere per la preterintenzione, in quanto gli imputati ripetono continuamente che l’avevano picchiato ma che non volevano ammazzarlo.
La sentenza di secondo grado ha ritenuto anche questo motivo non specifico, sostenendo che lo stesso non sia confrontato con la motivazione del giudice dell’abbreviato sulla notevole gravità delle lesioni, sulla loro diffusione in tutto corpo, anche sulla zona vitale della testa, e sull’uso reiterato di più mezzi di aggressione.
Il ricorso per Cassazione ripropone gli argomenti indicati nell’appello, ovvero che il comportamento successivo alla lite tenuto dagli imputati deve indirizzare l’analisi dell’elemento psicologico verso la preterintenzione, in quanto gli stessi hanno soccorso NOME aiutandolo a bere e sono andati a dormire nella convinzione che tutto fosse terminato e che NOME non stesse così male, e che nelle intercettazioni ambientali successive al fatto gli imputati dicono che non intendevano ammazzarlo.
A prescindere dalla specificità o meno dell’atto di appello, in questo caso è il ricorso ad essere inammissibile per difetto di specificità, perché, per contestare un giudizio di aspecificità del motivo d’appello, il ricorrente ne deve dimostrare la specificità, e quindi nel caso in esame il ricorso avrebbe dovuto evidenziare in quale passaggio il motivo di appello aveva preso posizione sull’argomento alla base della sentenza di primo grado, secondo cui le modalità dell’azione, ed in particolare la quantità di violenza esercitata anche su punti vitali del corpo della vittima, sono indice dell’esistenza di un dolo di omicidio, quantomeno nella forma del dolo eventuale. Il ricorso, invece, si limita a riproporre in modo pedissequo l’argomento speso nel motivo di appello sulla decisività del comportamento tenuto dagli imputati successivamente al fatto, e quindi non si confronta con il contenuto della pronuncia che impugna.
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1.3. E’ inammissibile anche il terzo motivo, dedicato alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche.
Nella sentenza di primo grado il giudice aveva ritenuto di non ravvisare la provocazione in quanto, a suo giudizio, le gravissime lesioni patite da COGNOME danno conto della manifesta sproporzione tra l’asserito l’ . atto ingiusto e la successiva reazione, ed aveva ritenuto, inoltre, di non concedere le attenuanti generiche avuto riguardo alla brutalità dell’aggressione ed al comportamento processuale non limpido, atteso che ognuno degli imputati ha attribuito la responsabilità all’altro.
Nell’atto di appello l’imputato deduceva che, in ordine alla provocazione, la sproporzione era soltanto apparente, in quanto COGNOME non utilizzò alcuna impropria esistente sul luogo dei fatti ma, al più, rispose soltanto con le mani all’aggressione di COGNOME, e, per ciò che riguarda le attenuanti generiche, che la brutalità dell’aggressione affermata dal giudice di primo grado sarebbe da rivedere in considerazione della versione dell’imputato, e comunque da sola non può giustificare il diniego, mentre il non limpido comportamento processuale non si può riferire a COGNOME che ha reso dichiarazioni spontanee 19n dall’inizio; è vero che egli ha negato la responsabilità, ma ciò fa parte del diritto di difesa; in ogni caso si tratta di una persona incensurata priva di precedenti di polizia e con regolare famiglia.
La sentenza di appello ha ritenuto aspecifico anche questo motivo, perché esso non si confronta con l’argomento utilizzato dal giudice di primo grado per escludere la configurabilità delle attenuanti, ovvero l’estrema violenza dell’aggressione, mentre quanto alle generiche la pronuncia dr appello ritiene che non ricorrano elementi di segno positivo per il loro riconoscimento essendo insufficiente lo stato di incensuratezza.
Il ricorso per Cassazione deduce che il motivo di appello era sufficientemente specifico, e riferisce che fu COGNOME ad aggredire senza un valido motivo i due imputati appena rientrarono a casa, e che la sproporzione è soltanto apparente in quanto COGNOME non utilizzò alcuna impropria e che, in ordine alle attenuanti generiche, la brutalità dell’aggressione ritenuta dal giudice di primo grado sarebbe stata da rivedere e non poteva giustificare la mancata concessione dell’attenuante, mentre il non limpido comportamento processuale non può riferirsi a chi ha reso dichiarazioni spontanee fin dall’inizio; il ricorso ribadisce, inoltre, del meritevolezza delle generiche per l’incensuratezza dell’imputato.
A prescindere dalla specificità o meno dell’atto di appello, anche in tal caso è il ricorso che è inammissibile per difetto di specificità, perché, per contestare un giudizio di aspecificità del motivo d’appello, il ricorrente ne deve dimostrare la
specificità, mentre il ricorso, invece, anche in questo caso si limita a riproporre in modo pedissequo gli argomenti spesi nel motivo di appello senza prendere posizione sulle considerazioni della Corte di assise d’appello sulla brutalità dell’aggressione (che il ricorso si limita a sostenere che sarebbe “da rivedere”, che è un argomento generico) e, quanto alle attenuanti generiche, della irrilevanza dello stato di incensuratezza e della inesistenza di elementi di valutazione favorevole.
1.4. È inammissibile anche il quarto motivo dedicato al trattamento sanzionatorio.
La sentenza di primo grado aveva inflitto agli imputati la pena di 22 anni e 6 mesi di reclusione, ridotta a 15 per il rito abbreviato.
Il motivo di appello si limitava ad affermare che “considerati i criteri oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 133 cod. pen. ed, in particolare, la capacità a delinquere dell’imputato ben poteva il giudice di primo grado irrogare una pena base ridotta al minimo edittale, e quindi considerata la diminuente per il rito, giungere ad una pena finale di anni 14 di reclusione”.
La pronuncia d’appello ha ritenuto aspecifico anche tale motivo, perché esso non richiama ragioni di fatto o di diritto che sorreggano la richiesta; la elevata capacità a delinquere dell’imputato sarebbe desumibile, invece, dal complessivo comportamento processuale che dimostrerebbe una particolare capacità a delinquere che non consentirebbe di prendere le mosse dalla pena edittale minima, anche considerata la gravità delle lesioni riportate dalla vittima, indice di particolare violenza.
Il ricorso per Cassazione deduce che il motivo di appello non poteva essere considerato generico, in quanto la specificità dello stesso è direttamente proporzionata alla specificità delle ragioni esposte nel provvedimento impugnato, ed in motivazione il giudice del primo grado si era limitato a richiamare il contenuto dell’art. 133 cod. pen.
Il collegio ritiene che il motivo di appello fosse effettivamente aspecifico, perché consisteva in una sola frase in cui si affermava la ridotta capacità delinquere dell’imputato, peraltro in modo assertivo, ovvero senza specificare da cosa si dovesse desumere questa ridotta capacità a delinquere l’imputato. Dall’aspecificità del motivo di appello consegue la manifesta infondatezza anche di questo motivo di ricorso per cassazione.
2. Ricorso COGNOME.
2.1. Il primo motivo, dedicato alla legittima difesa ed all’eccesso colposo nella legittima difesa, è inammissibile.
La sentenza di primo grado aveva escluso la possibilità di considerare il fatto scriminato dalla legittima difesa, reale o putativa, nè di ritenere sussistente una situazione di eccesso colposo, in quanto, ammesso e non concesso che sia stato COGNOME ad aggredire, cosa che non emerge con chiarezza ma non è nemmeno inverosimile, è evidente, secondo il giudice di primo grado, che il presupposto della necessità di difendersi sarebbe comunque venuto meno in tempi assai brevi, visto che la vittima è stata sopraffatta assai rapidamente e che gli imputati l’hanno letteralmente tempestata di colpi; il fatto che l’aggressione sia avvenuta ad opera di due persone, che queste non abbiano riportato sostanzialmente alcuna lesione, e che la vittima sia stata colpita con impressionante violenza, esclude in radice qualunque ipotetico rapporto di proporzione fra offesa e difesa; si tenga anche conto che per stessa ammissione degli imputati nella colluttazione la vittima non ha usato armi improprie.
Nel motivo di appello l’imputato contestava la decisione del giudice di primo grado sostenendo che lo stesso non aveva tenuto conto delle circostanze esterne al reato che potevano avere influenzato la percezione della sussistenza di un pericolo di danno grave alla persona: i fatti sono accaduti di notte, l’appellante si trovava con l’altro coimputato ed è stato mosso dall’intento di difendere anche questi, la vittima era in evidente stato di alterazione per l’uso dell’alcol ed aveva cattiva reputazione, l’imputato aveva comunque subito un’aggressione era stato afferrato al collo dalla vittima.
La pronuncia di appello ritiene questo motivo non specifico, perché in esso viene riproposta la tesi difensiva che il primo giudice ha confutato, senza che nell’atto l’impugnazione si contrastino le ragioni poste a fondamento della sentenza appellata; non vi è prova, peraltro, che la vittima abbia aggredito gli imputati, e, se anche fosse provato, è evidente che la necessità di difendersi sarebbe scemata rapidamente perché nel corso dell’aggressione la vittima è stata indebolita e sopraffatta.
Il ricorso per Cassazione deduce che l’appello era specifico perché in esso era stato evidenziato che il giudice avrebbe dovuto tener conto delle spontanee dichiarazioni rese dal coimputato che confermavano il litigio tra questi e COGNOME, ed il riferimento alle spontanee dichiarazioni non c’è nella pronuncia del giudice dell’abbreviato né in quella del giudice d’appello; inoltre, la circostanza che sia stata la vittima ad aggredire per prima era stata ritenuta non inverosimile, e alla luce delle circostanze esterne (l’accadimento in piena notte, lo stato di alterazione alcolica della vittima, la cattiva reputazione di questa) avrebbe dovuto ritenersi esistente l’eccesso colposo.
Il collegio ritiene che il motivo di appello fosse effettivamente aspecifico, come ritenuto nella pronuncia di appello, in quanto a fronte degli argomenti spesi dalla sentenza di primo grado che deponevano nel senso della non ipotizzabilità di una situazione di legittima difesa – ovvero che una qualsiasi necessità di difendersi sarebbe comunque venuta meno per effetto dei primi colpi, che gli imputati erano in due mentre la vittima da sola, che questa non ha usato armi improprie, che gli imputati non hanno riportato dalla colluttazione neanche una lesione – il motivo di appello si disinteressa del percorso logico della pronuncia di primo grado, con cui non si confronta in alcun modo e che non prova a confutare, limitandosi ad evidenziare elementi di valutazione che, a giudizio dell’appellante, potevano essergli favorevoli nella valutazione dell’eccesso colposo.
2.2. Il secondo motivo, dedicato alla mancata riqualific:azione del fatto in omicidio preterintenzionale, è anch’esso inammissibile.
Si è detto al punto 1.2. perché il giudice di primo grado ha ritenuto l’esistenza del dolo di omicidio in capo agli imputati.
Nel motivo di appello l’imputato aveva sostenuto che il giudice dell’abbreviato non avesse tenuto conto della regola di esperienza, secondo cui colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, e non ha preso in considerazione, inoltre, al fine di escludere il dolo di omicidio la condotta successiva al fatto, ovvero la circostanza che l’imputato è rimasto all’interno dell’abitazione, dove è stato rinvenuto il giorno dopo dalla Polizia di Stato; anche le conversazioni captate all’interno della cella del carcere consentirebbero di escludere la sussistenza del dolo di omicidio.
La pronuncia di appello ritiene aspecifico anche tale motivo per assoluta genericità, perché il comportamento successivo al fatto tenuto dall’imputato è stato valutato dal giudice di primo grado con un percorso motivazionale che non è confutato nell’atto d’appello.
Nel ricorso per cassazione l’imputato sostiene che l’atto di appello era specifico, perché aveva censurato l’omessa valutazione di elementi militanti in senso favorevole ad escludere la volontà omicida, quali la condotta successiva al fatto dell’imputato, che non era fuggito, e le conversazioni intercorse tra i due imputati e captate all’interno della cella del carcere.
Il ricorso è inammissibile per difetto di specificità, perché, per contestare un giudizio di aspecificità del motivo d’appello, il ricorrente ne deve dimostrare la specificità, e quindi nel caso in esame il ricorso avrebbe dovuto evidenziare in quale passaggio il motivo di appello aveva preso posizione sull’argomento alla base della sentenza di primo grado secondo cui le modalità dell’azione – ed in particolare la quantità di violenza esercitata anche su punti vitali del corpo della vittima – sono
indice dell’esistenza negli imputati di un dolo di omicidio, quantomeno nella forma del dolo eventuale. Il ricorso, invece, si limita a riproporre in modo pedissequo l’argomento speso nel motivo di appello sulla rilevanza del comportamento successivo degli imputati, e non si confronta, pertanto, cori il contenuto della sentenza che impugna.
2.3. Il terzo motivo, dedicato al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche, è anch’esso inammissibile.
Si è detto al punto 1.3. di questa sentenza di quale sia la motivazione attraverso cui il giudice il primo grado ha ritenuto di escludere il riconoscimento delle due attenuanti.
Nel motivo di appello l’imputato sosteneva, quanto alla provocazione, che era stato COGNOME il primo ad aggredire e che sussisteva il rapporto di causalità psicologica tra offesa e reazione; infatti, in conseguenza dell’imprevedibile comportamento di COGNOME, l’imputato ha perso il controllo di se stesso, mentre, in ordine alle generiche, nessuna considerazione ha effettuato il giudice di primo grado sulla incensuratezza dell’imputato e sul comportamento successivo alla commissione del fatto, ovvero la circostanza che l’imputato è rimasto a casa e non è fuggito.
La pronuncia di appello ha ritenuto anche tale motivo inammissibile, perché lo stesso non aveva preso posizione sull’argomento usato dal giudice dì primo grado sulla evidente sproporzione fra l’asserito fatto ingiusto e la successiva reazione, mentre, quanto alle attenuanti generiche, il motivo di appello non si misura con la motivazione della sentenza e si limita a richiamare lo stato di incensuratezza, che è insufficiente per il riconoscimento di tali attenuanti.
Nel ricorso per cassazione, con riferimento alla provocazione, si deduce che nell’atto di appello era stata evidenziata la aggressione da parte della vittima e, quanto alle generiche, nell’atto di appello ne era stata richiesta la concessione sulla base dell’assenza dei precedenti penali e sulla base del comportamento successivo alla commissione del fatto, perché l’imputato era rimasto nella casa in cui aveva commesso il fatto.
Il collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per difetto di specificità perché, come ricordato più volte nei punti precedenti, per contestare un giudizio di aspecificità del motivo d’appello, il ricorrente ne deve dimostrare la specificità, mentre il ricorso, invece, anche in questo caso si limita a riproporre in modo pedissequo gli argomenti spesi nel motivo di appello senza prendere posizione sulle considerazioni della Corte di assise d’appello sulla totale sproporzione tra l’asserita aggressione di COGNOME (che peraltro è rimasta puramente congetturale, ed il motivo formulato su elementi meramente ipotetici o congetturali è inidoneo
a determinare una manifesta illogicità della motivazione; cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237) e la reazione dei due imputati, nonché della irrilevanza dello stato di incensuratezza ai fini della concessione delle attenuanti generiche.
2.4. Il quarto motivo, dedicato alla condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili, è anch’esso inammissibile.
Nella sentenza di primo grado il giudice aveva condannato gli imputati in solido tra loro al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite rimettendole davanti al giudice civile per la liquidazione, e assegnando una provvisionale pari ad euro 80.000 per ciascuna di esse. La provvisionale era stata determinata in ragione delle concrete modalità del fatto e del ‘vincolo che univa le parti civili costituite alla vittima. Il giudice aveva inoltre liquidato le spese costituzione ed assistenza delle parti civili in 4.850 euro per ciascuna di esse.
Nell’atto di appello la difesa dell’imputato aveva sostenuto che le somme “appaiono eccessive” ed aveva chiesto alla Corte di assise di appello di ridurne gli importi.
La sentenza d’appello aveva giudicato inammissibile anche tale motivo per assoluta genericità, a fronte di un provvedimento che aveva invece richiamato i criteri che avevano condotto alla determinazione del quantum della provvisionale.
Nel ricorso per cassazione si deduce che l’onere di specificità è direttamente proporzionale alla specificità con cui le ragioni sono esposte nel provvedimento impugnato e che il giudice di primo grado aveva quantificato il quantum del risarcimento ricorrendo a forme di stile. Nel ricorso si aggiunge che nell’atto di appello la difesa del ricorrente aveva chiesto anche la riduzione degli importi delle spese di costituzione e difesa delle parti civili, e su questo specifico motivo la Corte di merito non si era pronunciata.
Il collegio ritiene che il motivo di appello fosse effettivamente aspecifico, perché consisteva in una sola espressione (“tali somme appaiono eccessive”) che non integra una critica argomentata alla pronuncia di primo grado, quale dovrebbe essere quella che introduce un grado successivo di giudizio.
Essa, pertanto, non radicava alcun obbligo di decidere nel giudice di secondo grado, il che rende inammissibile anche la deduzione spesa nel motivo di ricorso secondo cui mancherebbe ogni pronuncia con riferimento alla quantificazione delle spese di lite (Sez. 5, Sentenza n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808: Il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità
originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione).
Dall’aspecificità del motivo di appello consegue la manifesta infondatezza anche di questo motivo del ricorso per cassazione.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 gennaio 2024
Il consigliere estensore
Il presidente