Inammissibilità dell’appello penale: la specificità è un requisito non negoziabile
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale penale: la necessità di formulare motivi di appello specifici e dettagliati. Un ricorso generico, che non articola chiaramente le censure mosse alla sentenza impugnata, è destinato all’inammissibilità dell’appello penale, senza che il giudice entri nel merito della questione. Questa pronuncia offre uno spunto essenziale per comprendere come le recenti riforme legislative abbiano rafforzato questo requisito, rendendo ancora più cruciale la precisione nella redazione degli atti di impugnazione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello nei confronti di un imputato per il reato previsto dall’articolo 187, comma 8, del Codice della Strada (guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti). L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: la ‘Manifesta illogicità della sentenza’. Questo motivo, tuttavia, non era accompagnato da un’analisi dettagliata delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che avrebbero dovuto sostenerlo.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’inammissibilità dell’appello penale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sull’articolo 581 del codice di procedura penale, che disciplina la forma dell’impugnazione. Secondo i giudici, il motivo sollevato era del tutto generico e, pertanto, non rispettava l’esigenza di specificità richiesta dalla norma. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
La Corte ha chiarito che l’obbligo di specificità dei motivi di appello è un cardine del sistema processuale. L’articolo 581 c.p.p. prescrive che l’atto di impugnazione debba contenere l’enunciazione specifica delle censure proposte, indicando le ragioni di diritto e gli elementi di fatto a sostegno di ogni richiesta. I giudici hanno sottolineato come questa esigenza sia stata ulteriormente rafforzata da recenti interventi legislativi, in particolare dalla legge n. 103 del 2017 e, più recentemente, dal d.lgs. n. 150 del 2022 (la cosiddetta ‘Riforma Cartabia’).
Queste riforme miravano a rendere più stringente il contenuto dell’atto di impugnazione per garantire l’efficienza del processo e impedire ricorsi meramente dilatori o esplorativi. Limitarsi a denunciare una ‘manifesta illogicità’ senza spiegare in cosa consista tale illogicità, quali passaggi della motivazione della sentenza precedente siano viziati e quali prove siano state travisate, equivale a non formulare un vero motivo di impugnazione. L’appello si trasforma così in una richiesta generica di riesame, che non è consentita nel giudizio di legittimità.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un monito per gli operatori del diritto: la redazione di un atto di impugnazione richiede rigore, precisione e un’analisi approfondita della sentenza che si intende contestare. La superficialità e la genericità non sono tollerate e portano a una declaratoria di inammissibilità dell’appello penale, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. Per l’imputato, ciò significa la definitiva chiusura del processo e la conferma della condanna, senza che le sue ragioni siano state esaminate nel merito. È quindi fondamentale che ogni censura sia supportata da argomentazioni chiare e puntuali, ancorate a specifici elementi fattuali e riferimenti normativi.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo sollevato (‘Manifesta illogicità della sentenza’) era troppo generico e privo delle specifiche ragioni di fatto e di diritto richieste dall’articolo 581 del codice di procedura penale per contestare la decisione impugnata.
Cosa richiede la legge per presentare un appello valido?
La legge, in particolare l’art. 581 c.p.p., richiede che i motivi di appello siano enunciati in modo specifico, indicando chiaramente le censure mosse al provvedimento e le argomentazioni giuridiche e fattuali che le sostengono. Tale requisito è stato reso ancora più stringente da recenti riforme legislative.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33258 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33258 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TERAMO il 12/11/1983
avverso la sentenza del 06/12/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia di condanna resa dal Tribunale di Teramo il 20 marzo 2023 nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 187, comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
Ritenuto che l’unico motivo di appello sollevato (Manifesta illogicità della sentenza) è inammissibile in quanto privo delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. L’art. 581 cod. proc. pen., nel disciplinare la forma dell’impugnazione, prescrive che i motivi debbano essere enunciati con l’indicazione specifica delle censure proposte: esigenza di specificità che – già prima della introduzione del comma 1-bis, ad opera dell’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – era stata rafforzata dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, la quale, nel riformulare l’art. 581 del codice di rito, intendeva disciplinare in modo più stringente il contenuto dell’atto di impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2025