Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5265 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5265 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA nei confronti di:
COGNOME NOME nato a BOLOGNA il 21/06/1963
avverso l’ordinanza del 04/12/2022 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunziata in data 14 giugno 2022 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, all’esito di udienza camerale a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione per tenuità del fatto, su richiesta del difensore dell’indagato ha respinto la richiesta di archiviazione ex art. 131 bis cod. pen., ravvisando l’interesse prevalente di quest’ultimo alla messa alla prova e ha ordinato al Pubblico ministero di formulare imputazione coatta.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna deducendo l’abnormità del provvedimento impugnato.
2.1. In particolare, evidenzia il pubblico ministero ricorrente che le ragioni a fondamento della opposizione da parte dell’indagato, nell’ipotesi di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, non possono consistere nella volontà
di avere accesso a riti alternativi; è possibile invocare una forma più favorevole di proscioglimento, ma non una forma di estinzione del reato.
Al giudice è consentita l’alternativa fra la definizione del procedimento con archiviazione per tenuità del fatto o la restituzione degli atti per nuove indagini o per la formulazione dell’imputazione perché il fatto-reato non risulta tenue.
Alla luce dei principi affermati da questa Corte, ritiene il ricorrente che il provvedimento impugnato possa essere qualificato quale abnorme in quanto, per la singolarità del suo contenuto e della sua motivazione, si pone al di fuori del sistema organico dell’ordinamento e determina una paralisi del procedimento superabile unicamente con la sua rimozione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Questa Corte a Sezioni unite ha chiarito e delimitato la nozione di atto abnorme, stabilendo che è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, di là di ogni ragionevole limite.
L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep.2000, COGNOME, Rv. 215094).
Il provvedimento impugnato non presenta alcuno dei profili descritti nella pronunzia richiamata.
2.1. L’art. 411 comma 1-bis cod. proc. pen. stabilisce che: ” Se l’archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Li.”
Il comma richiamato – introdotto dal D.Igs. 28/2015 – prevede che, a fronte di una richiesta di archiviazione proposta dal Pubblico ministero per particolare tenuità del fatto, l’indagato nel presentare l’atto di opposizione esprima “le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.”
La espressione utilizzata dalla norma rimanda evidentemente ad un interesse della parte ad ottenere una decisione in senso a lui più favorevole.
Se questo appare evidente nell’ipotesi in cui l’interesse è quello di dimostrare l’insussistenza del reato, può tuttavia ravvisarsi egualmente un interesse rilevante
e oggetto di tutela laddove la decisione più favorevole che si intende ottenere consenta di evitare l’iscrizione nel casellario giudiziale, quale effetto dell’archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto.
Al riguardo, infatti, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, ferma restando la non menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell’interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione. (S.U. n. 38954 del 30/05/2019, PM c. De Martino, Rv. 276463).
Dunque, ben può il ricorrente avere interesse all’accesso ad un procedimento che consenta, quale esito definitorio, l’estinzione del reato e non invece l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, in ragione degli effetti più favorevoli che sono collegati al primo dei due percorsi descritti.
Nel caso in esame l’indagato ha rappresentato nell’atto di opposizione l’interesse di presentare domanda di sospensione del procedimento, con contestuale richiesta di messa alla prova, evidenziando gli effetti più favorevoli che deriverebbero dall’esito di tale procedimento (in caso di superamento positivo della messa alla prova) rispetto all’archiviazione per particolare tenuità del fatto.
Diversamente da quanto sostenuto dal pubblico ministero ricorrente, non vi è alcuna disposizione di legge che impedisca all’indagato di richiedere con l’atto di opposizione una forma di definizione del procedimento più favorevole dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto quale una diversa modalità di estinzione del reato. Quest’ultima, per le ragioni già chiarite, è comunque una forma di definizione più favorevole.
2.2. A fronte, dunque, di siffatta richiesta, il giudice per le indagini preliminari ha esercitato legittimamente un potere che rientra nell’alveo dei casi consentiti dalla legge: quello, cioè, previsto dall’art. 409 comma quinto cod. proc. pen. che disciplina la cd. imputazione coatta.
Anche in tal caso la formulazione dell’art. 409 comma quinto cod. proc. pen. (“il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che, entro dieci giorni, il pubblico ministero formuli l’imputazione. “) si riferisce a tutti i casi in cui il giudice non accolga la richiesta di archiviazion salvo che non ritenga che il pubblico ministero debba compiere ulteriori investigazioni ai sensi dell’art. 409 comma quarto cod. proc. pen.
L’imputazione coatta si presenta, in realtà, nel caso di specie, atto necessario e funzionale a decidere sulla suddetta richiesta di messa alla prova.
Il provvedimento impugnato, preso atto che in virtù del principio del favor rei la richiesta avanzata dall’indagato era meritevole di accoglimento, ha evidenziato che ” l’unico modo per poter dar seguito alla richiesta dell’indagato è formulare
l’ordinanza di imputazione coattiva, permettendo così poi al difensore di presentare correttamente richiesta di elaborazione del programma UEPE .”
Né può ritenersi dal punto di vista funzionale che l’ordinanza determini una ipotesi di indebita regressione del procedimento ad una fase precedente.
Alcuna regressione, infatti, può ravvisarsi, atteso che il procedimento camerale che si instaura a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione ha inizio e si esaurisce nella fase delle indagini preliminari.
Inoltre, il potere che esercita il giudice per le indagini preliminari è legittimamente finalizzato a permettere l’esercizio di un diritto spettante all’indagato e non determina la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.
2.3. Né siffatte conclusioni risultano in contrasto con quanto affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, l’opposizione dell’indagato, il cui interesse è quello di dimostrare l’insussistenza del reato, deve essere informata, a pena di inammissibilità, agli stessi requisiti di concretezza e pertinenza previsti, per l’opposizione della persona offesa, dall’art. 410 cod. proc. pen., sia pur con riferimento alle ragioni del dissenso contemplato dall’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen. rispetto alla fondatezza della notizia di reato (Sez.3, n. 14740 del 19/12/2019, dep.2020, Terzo, Rv. 279380).
In motivazione la sentenza richiamata, nel respingere la censura GLYPH del ricorrente di non avere potuto fruire – a seguito del provvedimento di archiviazione per tenuità del fatto – della possibilità di accedere all’oblazione e dell’estinzione del reato che da essa deriva, ha affermato che “non possono essere addotte al fine di paralizzare la disposta archiviazione cause estintive in fieri, peraltro legate ad una condizione meramente potestativa in quanto dipendente da una futura ed incerta manifestazione di volontà dello stesso indagato. In tanto può essere invocata la causa estintiva in quanto si siano realizzate in concreto le condizioni per accedervi “.
Dunque, la sentenza non ha certo escluso che possano essere fatte valere cause estintive del reato in sede di opposizione ex art. 411 comma 1-bis cod. proc. pen., ma ha ritenuto che in quel caso esaminato la semplice manifestazione della volontà di “oblare” ex art. 162- bis cod. pen. non potesse essere interpretata come interesse effettivo e concreto.
Con riferimento al caso in esame va invece evidenziato che il pubblico ministero non ha censurato il provvedimento impugnato in relazione all’effettività e alla concretezza con cui si è espressa la volontà dell’indagato di definire il procedimento in via alternativa, ma ha escluso in radice la possibilità che siffatta strada potesse essere percorsa; possibilità che invece la sentenza di questa Corte richiamata non esclude affatto.
Il ricorso va dunque respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.
Così deciso in Roma in data 8 gennaio 2025
esidente